La Corte di Cassazione ha confermato il provvedimento di sequestro della prima casa appartenente a un soggetto indagato per reati tributari

La vicenda

Il Tribunale di Varese, in sede di riesame, aveva confermato l’ordinanza con la quale il Tribunale di Busto Arstizio aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta delle giacenze attive sui conti della società della quale l’indagato era legale rappresentante, nonché alla confisca per equivalente su beni dello stesso indagato fino alla concorrenza di 950.000 euro quale profitto del reato di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74/2000 (legge sui reati tributari).

Contro tale ordinanza l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, lamentando la mancanza assoluta della motivazione in relazione alla non confiscabilità della propria abitazione che costituiva “prima casa”.

Secondo la difesa, il Tribunale non avrebbe dovuto sottoporre a sequestro detta abitazione alla luce di quanto disposto dall’art. 52 del d.l. n. 69 del 2013 (che impedirebbe la confisca e dunque, il prodromico sequestro della “prima casa”) e di quanto sostanzialmente affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 22581/2019.

Ma i giudici della Suprema Corte (sentenza n. 8995/2020) hanno rigettato il ricorso perché infondato.

In particolare, il Supremo Collegio ha rilevato che l’art. 52 del d.l. n. 69 del 2013 ha modificato il comma 1, lettera a) dell’art. 76 (Espropriazione immobiliare) del d.P.R. n. 602/1973. Dalla formulazione letterale di detta norma emerge, in primo luogo, che il limite posto dal legislatore all’espropriazione immobiliare non riguarda la “prima casa” ma “l’unico immobile di proprietà del debitore”. Si tratta di un concetto evidentemente diverso da quello di “prima casa”, perché ha a che vedere con la consistenza complessiva del patrimonio del debitore e non semplicemente con la qualificazione del singolo immobile oggetto di pignoramento. Ne consegue che, per invocare l’applicazione della disposizione in tema di espropriazione immobiliare, il debitore no può limitarsi a prospettare che l’immobile pignorato sia la sua “prima casa”, perché una tale prospettazione non esclude di per sé che lo stesso debitore sia proprietario di altri immobili.

Peraltro, la Cassazione ha chiarito che la disposizione in questione non fissa un principio generale di impignorabilità, perché si riferisce solo alle espropriazioni da parte del fisco per debiti tributari e non a quelle promosse da altre categorie di creditori per debiti di altro tipo. Né la disposizione in questione può trovare applicazione in relazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, perché l’oggetto della confisca è il profitto del reato e non il debito verso il fisco.

La nozione di profitto nei reati tributari

E i due concetti devono essere tenuti distinti, perché il profitto di delitti consistenti nell’evasione dell’imposta per mezzo di omessa, infedele o fraudolenta dichiarazione o di omesso versamento, che può essere oggetto di sequestro preventivo funzionale alla confisca, è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale e non comprende né le sanzioni dovute a seguito dell’accertamento del debito, che rappresentano il costo del reato stesso, derivante dalla sua commissione, né gli interessi maturati in favore dello Stato; mentre il debito verso il fisco è sempre comprensivo dell’originario debito tributario, degli interessi e delle sanzioni.

Per queste ragioni, il ricorso è stato rigettato e confermata in via definitiva la sentenza del Tribunale del riesame.

Avv. Sabrina Caporale

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