Responsabile il Pneumologo per non avere avuto “fiuto diagnostico” (Cassazione civile, sez. III, 22/02/2022, n.5762).

Responsabile il Pneumologo, unitamente alla Azienda sanitaria e ad altri Sanitari, nella causazione dei danni subiti dal paziente.  

La vicenda è stata attivata dal ricorso, ex art. 702 bis c.p.c., con cui il paziente aveva convenuto, dinanzi al Tribunale di Chieti, il Pneumologo e l’Azienda sanitaria locale di Pescara, perché fossero condannati a risarcirle i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti, quantificati in Euro 150.000,00.

Il Tribunale di Chieti, espletata CTU, accertava e dichiarava la responsabilità concorrente dei convenuti e li condannava, in solido, al risarcimento dei danni, alla refusione delle spese di lite e di CTU.

Interponevano appello, dinanzi alla Corte d’Appello di L’Aquila, l’Azienda sanitaria e il Pneumologo,  il quale lamentava che il Giudice di prime cure avesse considerato responsabile il Pneumologo, mentre avrebbe dovuto escludere ogni sua responsabilità, atteso che, quando aveva avuto in cura la pazienza non era presente un quadro clinico che lasciasse presagire nulla di molto serio e comunque, atteso che la paziente non era più tornata a visita come le era stato prescritto, chiedendo che il risarcimento fosse se non escluso almeno ridotto, in applicazione dell’art. 1227 c.c..

Anche l’ASL di Pescara si costituiva in giudizio per resistere all’appello principale dell’azienda sanitaria  ed a quello incidentale del Pneumologo e, con appello incidentale, chiedeva la riforma della ordinanza nella parte in cui l’aveva riconosciuta responsabile della produzione del fatto dannoso, in quella in cui aveva ripartito le percentuali di responsabilità attribuite alle ASL convenute e in punto di determinazione e di quantificazione del danno.

Riuniti gli appelli, la Corte d’Appello di L’aquila, ai fini che qui interessano, ha respinto l’impugnazione nella parte in cui sosteneva che il CTU, nei chiarimenti offerti all’udienza, avrebbe dichiarato che, all’epoca in cui la paziente si recò al pronto soccorso dell’ospedale, la diagnosi della neoplasia non era probabilmente possibile, traendone la conseguenza della insussistenza del nesso di causa tra il presunto comportamento omissivo del Pneumologo ed il danno sofferto dall’attrice.

La sentenza impugnata ha rigettato il motivo di appello rilevando che il CTU aveva ritenuto responsabile il Pneumologo poiché avrebbe dovuto avere maggior “fiuto diagnostico”, anche in considerazione del fatto che la paziente non aveva tratto giovamento dalla terapia farmacologica cui si stava sottoponendo già da mesi, ed anzi il suo quadro clinico era peggiorato, il che indicava la presenza di qualcosa di molto serio che meritava approfondimento.

Nello specifico, la Corte territoriale evidenzia: “In assenza di specifici accertamenti diagnostici e di relativi referti, è evidente che la diagnosi di neoplasia non era possibile, ciò non significa però che il tumore non esistesse già visto i sintomi…, tuttavia il Penumologo, quale medico specialista, ben avrebbe potuto agire con la perizia adeguata alla natura dell’attività esercitata e suggerire di compiere indagini mirate volte a scongiurare malattie più serie rispetto a quella refertata… consigliando esami strumentali specifici oltre a quelli prescritti (eco tiroide e esami ormonali tiroidei), così da poter avere, eventualmente anche dopo 15 giorni, un quadro clinico più esaustivo e poter centrare una diagnosi più appropriata”.

Con un unico motivo la ricorrente deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, derivante da travisamento di prova decisiva.

La ricorrente espone che, nel respingere il suo atto di appello, la Corte territoriale ha affrontato due temi, logicamente tra loro subordinati, decisivi in ordine alla responsabilità della struttura sanitaria: I) l’individuazione della prestazione esigibile e la prova dell’inadempimento; II) la prova del nesso di causa tra l’asserita omissione e l’evento di danno e che per entrambi, la Corte territoriale avrebbe travisato le prove acquisite.

Nello specifico, la Corte territoriale avrebbe travisato l’informazione emergente dalla relazione peritale, ritenendo che il CTU avesse rimproverato al Pneumologo di non avere dimostrato la capacità diagnostica che era legittimo attendersi, e che, quando aveva affermato che “la diagnosi della neoplasia non era probabilmente possibile”, avesse inteso dire che la diagnosi non era possibile sulla scorta degli accertamenti diagnostici inadeguati posti in essere, ma non avesse anche voluto escludere che i sintomi del tumore fossero evidenti e che uno specialista, considerata la storia clinica e l’anamnesi della paziente, agendo con la perizia adeguata all’attività esercitata, non fosse tenuto a suggerire indagini mirate volte a scongiurare patologie più serie di quella refertata.

Il motivo di censura non viene accolto.

La tesi della ricorrente è che il Pneumologo aveva eseguito la radiografia al torace, cioè proprio l’accertamento diagnostico che gli era stato addebitato di non avere eseguito, e che non essendo in discussione il quomodo della suddetta prestazione diagnostica, ma il se essa fosse stata eseguita, il giudice a quo avrebbe dovuto considerare irrilevante la mancata produzione delle singole immagini radiografiche; di conseguenza, avrebbe errato nel trarre dalla CTU la conclusione di ritenere responsabile il Pneumologo per la mancata diagnosi e che a detta mancata diagnosi fosse eziologicamente collegato, secondo la regola del più probabile che non, l’evento di danno.

La ricorrente non ha colto il senso della statuizione con cui la Corte territoriale l’ha ritenuta responsabile, ai sensi dell’art. 1176 c.c., anche in ordine alla scelta difensiva di non produrre documenti potenzialmente idonei ad integrare l’esimente di responsabilità, osservando che detta scelta non poteva tradursi in un danno per chi usufruisce della prestazione sanitaria e che anzi consentiva il ricorso giudiziale alla prova presuntiva in ordine alla sussistenza del nesso causale tra prestazione medica ed evento dannoso. La statuizione si riferisce proprio alla mancata produzione in giudizio delle immagini della radiografia del torace al fine di dimostrare che la neoplasia non fosse effettivamente apprezzabile e, conseguentemente, non responsabile il Pneumologo e l’Azienda sanitaria.

Il ragionamento della Corte territoriale è lineare e speculare rispetto a quello prospettato dalla ricorrente: per quanto riguarda il Pneumologo, in quanto specialista, in considerazione della storia clinica della paziente, dell’anamnesi, della riscontrata refrattarietà alle cure farmacologiche già prescritte, il giudizio della Corte territoriale, suffragato dalla CTU, è che egli avrebbe dovuto eseguire gli accertamenti più approfonditi che le circostanze concrete indicavano come utili. La scelta di non produrre in giudizio le immagini radiografiche, allo scopo di supportare la tesi secondo cui la neoplasia non era diagnosticabile all’epoca del ricovero della paziente presso il pronto soccorso,  lo rendeva responsabile di inadempimento e rappresentava una circostanza da cui presumere, sulla base di un’inferenza logico-probabilistica, la ricorrenza del nesso causale tra l’inesatto adempimento e l’evento di danno.

La sentenza impugnata ha chiaramente affermato “non sono state prodotte le immagini della radiografia al torace al fine di dimostrare – anche attraverso l’esame da parte di altri esperti e segnatamente del fiduciario del Giudice – che la lesione neoplastica non fosse effettivamente apprezzabile”.

Il referto della radiografia, sottolineano gli Ermellini, è l’interpretazione dell’immagine radiografica che, in assenza di quest’ultima, non è stata evidentemente ritenuta dalla Corte territoriale, così come dal CTU e dalla sentenza del Giudice di prime cure, idonea ad integrare l’esimente della responsabilità.

Il ricorso, pertanto, viene dichiarato inammissibile con conferma della statuizione che ha ritenuto responsabile il Pneumologo e la Struttura.

Avv. Emanuela Foligno

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