Tra le ipotesi in cui l’assicuratore della responsabilità civile può essere tenuto al pagamento di indennizzi eccedenti il massimale vengono in rilievo la mora e la mala gestio

La vicenda

Dopo circa un anno dalla nascita dei loro figli, i genitori scoprivano che questi erano affetti da “tetraparesi spastica conseguente a grave sofferenza neonatale”.

Quindici anni dopo decidevano di agire in giudizio contro l’ospedale e i medici della struttura (rispettivamente pediatra, ginecologo e primario di ostetricia dell’ospedale in cui erano stati partoriti i due gemelli) assumendo che la tetraparesi patita dai loro figli fosse ascrivibile a responsabilità dei sanitari.

Tutti i convenuti, ad eccezione di uno, chiamarono in causa i rispettivi assicuratori della responsabilità civile al fine di essere manlevati in caso di soccombenza.

In primo grado il Tribunale di Como ritenne prescritto il diritto al risarcimento azionato dai due coniugi in proprio. Il Tribunale accertò che la condotta dei sanitari, con riguardo ai fatti oggetto di causa, fu colposa e consistette principalmente nell’aver accettato di ricoverare in una struttura inadeguata una gestante che lasciava presumere il rischio di un parto distocico e che quindi la tetraparesi sofferta dai germani fosse stata causata da una condotta colposa dei convenuti.

Nel giudizio d’appello furono introdotti quattro temi:

  • Se il diritto dei due coniugi fosse prescritto;
  • Se vi fosse nesso di causa tra l’operato dei sanitari e la tetraplegia;
  • Se vi fosse stata colpa dei sanitari;
  • Limitatamente al rapporto di garanzia tra l’assicurazione ed i suoi due assicurati, quale fosse la misura dell’obbligo indennitario dell’assicuratore.

la Corte d’appello di Milano nel 2016 decise che:

  • Medici ed ospedale dovessero rispondere a titolo contrattuale nei confronti dei neonati e che di conseguenza il diritto di credito di questi ultimi era soggetto a prescrizione decennale;
  • Tale termine iniziò a decorrere da quando i genitori vennero ufficialmente informati che i loro figli erano affetti da tetraparesi “conseguente a sofferenza neonatale”; ciò sul presupposto che, prima di tale diagnosi, questi ultimi non potessero sapere, alla stregua dell’ordinaria diligenza da essi esigibile, se la tetraparesi fosse dovuta ad errore dei sanitari o ad altre causa;
  • Entrambi i sanitari tennero una condotta colposa nel trattenere la gestante nell’ospedale nonostante questo non fosse attrezzato per gestire eventuali complicanze richiedenti rianimazione neonatale;
  • L’ospedale era responsabile anche per l’insufficiente monitoraggio del battito cardiaco fetale;
  • In ogni caso i gemelli non ricevettero adeguata assistenza rianimatoria per 75 minuti dopo la nascita;
  • Dunque, la condotta dei sanitari fu la causa preponderante del danno, considerato anche che all’epoca dei fatti erano già note e diffuse le linee-guida che imponevano, in casi come quello di specie, il trasferimento della gestante in strutture attrezzate per la rianimazione neonatale.

Sul piano del rapporto assicurativo la corte d’appello ridusse nel quantum la condanna inflitta in primo grado alla compagnia assicurativa dei due assicurati, sostenendo che:

  1. L’obbligazione dell’assicuratore della responsabilità civile ha natura di obbligazione di valuta;
  2. L’assicuratore è in mora nei confronti del proprio assistito, dal momento in cui, con l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto stimare il danno causato dall’assicurato al terzo e liquidare il relativo indennizzo;
  3. Nel caso di specie, l’assicuratore era in grado di compiere tali operazioni dal 90° giorni successivo alla denuncia di sinistro, perché a tale data (1/11/2002) sarebbe stata certamente in grado di avvedersi dell’esuberanza del danno causato dall’assicurato rispetto al limite del massimale.

Per tali ragioni la corte d’appello condannò l’assicuratore a tenere indenne i due assicurati in misura eccedente il massimale, ma non già come aveva ritenuto il Tribunale, rivalutando quest’ultimo dalla data del fatto (1991), ma soltanto dal 1 novembre 2002, ovvero alla data in cui l’assicuratore era in grado di stimare il sanno causato dall’atto compiuto dal proprio assicurato.

La vicenda è giunta sino in Cassazione. Per quel che qui interessa, sono state affrontate le seguenti questioni di diritto:

  1. Quando, nell’assicurazione della responsabilità civile, l’assicuratore può essere condannato in misura eccedente il massimale;
  2. Da quando, nell’assicurazione della responsabilità civile, decorre la mora debendi dell’assicuratore;
  3. Quali sono, nell’assicurazione della responsabilità civile, le conseguenze della mora debendi.

Preliminarmente i giudici della Suprema Corte hanno chiarito che nell’assicurazione della responsabilità civile il limite dell’obbligo indennitario dell’assicuratore non è il valore della cosa assicurata (come avviene per le altre assicurazioni contro i danni), ma è un tetto convenzionalmente fissato, detto massimale.

Tale massimale, essendo frutto di convenzione, non è necessario né invalicabile: esso da un lato potrebbe anche mancare senza che ciò comporti la nullità del contratto; dall’altro può, a determinate condizioni, essere superato per effetto di determinate condotte dell’assicuratore.

Le ipotesi in cui l’assicuratore della responsabilità civile può essere tenuto al pagamento di indennizzi eccedenti il massimale sono in alcun i casi espressamente previsti dalla legge (art. 1917, comma terzo c.c.), in altri casi sono state ricavate in via interpretativa dalla giurisprudenza e tra queste vengono in rilievo: la mora e la mala gestio.

La mora è ascrivile a un fatto proprio dell’assicuratore non dipende dalla condotta (illecita) dell’assicurato.

L’assicuratore della responsabilità civile può essere altresì tenuto al pagamento di somme eccedenti il massimale quando, trascurando di attivarsi con la diligenza da lui esigibile ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., pregiudichi la copertura di cui l’assicurato avrebbe beneficiato, in caso di esatto adempimento da parte dell’assicuratore: la c.d. mala gestio, il caso di scuola è il rifiuto colposo, da parte dell’assicuratore di una vantaggiosa offerta transattiva avanzata dal terzo danneggiato). E ciò in quanto l’assicuratore è tenuto a salvaguardare gli interessi del proprio assicurato.

In definitiva la Terza Sezione Civile della Cassazione (n. 28811/2019) ha stabilito che:

Ad ogni modo si tratta di due istituti diversi: la responsabilità per mala gestio prescinde dalla mora e non la presuppone.

  1. L’obbligo dell’assicuratore di indennizzare l’assicurato sorge nel momento in cui quest’ultimo causi un danno a terzi;
  2. L’assicuratore può ritenersi in mora rispetto a tale obbligo solo una volta che:
    1. Sia decorso il tempo ordinariamente necessario, alla stregua della diligenza professionale cui l’assicuratore è tenuto, ad accertare la sussistenza della responsabilità dell’assicurato e liquidare il danno;
    1. Vi sia stata una efficace costituzione in mora da parte dell’assicurato.

Nel caso in esame, nessuno dei due assicurati aveva formulato una domanda di condanna dell’assicuratore al risarcimento del danno per mala gestio, e correttamente tale assenza di domanda era stata evidenziata dalla corte d’appello.

La rivalutazione del massimale

Per altro verso, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di merito, la Cassazione ha rilevato che il semplice fatto che l’assicuratore sia in mora non lo obbliga a pagare la rivalutazione del massimale.

L’obbligo dell’assicuratore della responsabilità civile di pagamento dell’indennizzo è infatti una obbligazione di valuta. Il ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, espone il debitore al pagamento dei soli interessi moratori di cui all’art. 1224, comma primo, c.c.

Se il creditore, quindi, intende ottenere un risarcimento maggiore, ivi compreso quello del danno causato dalla svalutazione monetaria, ha l’onere di domandarlo e di provarlo, anche in via presuntiva.

In altre parole, il massimale rivalutato dovrà essere pagato dall’assicuratore soltanto se l’assicurato deduca e dimostri, anche con presunzioni semplici, che un tempestivo adempimento lo avrebbe messo al riparo dagli effetti dell’inflazione: circostanza che nel caso di specie la corte d’appello non aveva accertato.

La sentenza impugnata è stata perciò, cassata nella parte in cui aveva liquidato il danno da mora ascritto alla assicurazione.

È stata invece rigettata la censura volta ad accertare se alla data del 1 novembre 2002 l’assicurazione fosse in grado di stimare il danno causato dal proprio assicurato e adempiere di conseguenza alla propria obbligazione indennitaria, trattandosi di valutazione di puro fatto, come tale riservata al giudice di merito.

Avv. Sabrina Caporale

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