L’interessante decisione a commento tratta della responsabilità del Consulente tecnico d’Ufficio nominato dal Giudice. Se la condotta contestata al CTU non ha contribuito a creare un antecedente causale necessario alla condanna dell’imputato, il Consulente non può essere dichiarato responsabile (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 19 maggio 2025, n. 13334).
I fatti
Nel 2001, l’imputato viene sottoposto a procedimento penale per il reato di estorsione aggravata dalla partecipazione ad associazione di tipo camorristico, per avere, in concorso con altre persone appartenenti al “Clan L.T.”, estorto a un imprenditore caseario la somma di Lire 3.500.000, sotto la minaccia, reiterata più volte, di “Fare saltare in aria il caseificio e di attentare all’incolumità fisica sua e dei suoi familiari”.
Poiché il giorno 2 luglio 2001, erano state intercettate due telefonate partite da una cabina pubblica, il PM nel corso del procedimento per le indagini preliminari, affidò una consulenza tecnica a un ingegnere, con l’incarico di accertare se la voce registrata nelle due telefonate fosse appunto quella dell’imputato. All’esito il Consulente tecnico d’Ufficio identificava la voce dell’autore delle telefonate con quella dell’imputato.
Successivamente, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dispone perizia fonica sulle due telefonate, dando l’incarico ad altro consulente che utilizzava per la comparazione le medesime telefonate effettuate dai due indagati e utilizzate dal Consulente del PM. All’esito della sua indagine, anche il perito del Giudice dibattimentale ha ritenuto che le telefonate del 2 luglio 2001 fossero state fatte dall’imputato.
Il terzo Consulente tecnico d’ufficio
La Corte d’appello di Napoli, adita con impugnazione dell’imputato, dispone il rinnovo della perizia, nominando un terzo Consulente tecnico d’Ufficio, cui concesse di svolgere sull’imputato quel saggio fonico che i Consulenti precedenti non erano stati autorizzati ad eseguire.
All’esito della seconda perizia (e del terzo accertamento tecnico), il Consulente ha ritenuto che la voce delle due telefonate non fosse quella dell’imputato, pur evidenziando che essa presentava accento e cadenza “comuni” rispetto a quella dell’imputato appellante.
Sulla scorta di questo diverso esito, la Corte d’appello, con sentenza del 30 gennaio 2009, assolve l’imputato per non aver commesso il fatto e ne ordina la scarcerazione dopo circa undici mesi di custodia cautelare.
La citazione in giudizio dei Consulenti tecnici d’Ufficio
Ergo, l’imputato cita in giudizio risarcitorio dinanzi al Tribunale di Napoli i primi due Consulenti (quello del PM e quello del Tribunale) deducendo che avessero svolto in modo negligente e con esito erroneo il loro incarico, causando la sua ingiusta condanna in sede penale ad oltre otto anni di reclusione, e quantifica il risarcimento spettantegli nel complessivo importo di Euro 252.166,72.
Il Tribunale civile di Napoli svolge un ulteriore accertamento tecnico (il quarto), attraverso due consulenze d’ufficio affidate ad altri 2 Consulenti che ribadiscono il giudizio già espresso dal perito della Corte d’appello penale, secondo cui la voce delle due telefonate non apparteneva all’imputato.
Per tale ragione il Tribunale accoglie parzialmente la domanda condannando i due Consulenti a pagare all’imputato la somma complessiva di Euro 122.464,20.
La decisione della Corte di Appello
Invece, la Corte d’appello di Napoli accoglie i gravami dei 2 Consulenti e rigetta la domanda risarcitoria svolta dall’imputato.
I Giudici di appello hanno osservato che:
- 1) alla circostanza che in tutte le relazioni tecniche, anche quelle con esito diverso rispetto alle indagini svolte dai convenuti, era stato dato atto che la voce di un individuo è cangiante in relazione al contingente stato d’animo, alle condizioni di salute, all’eventuale assunzione di una bevanda, al trascorrere del tempo, alla tipologia del canale di trasmissione (telefono o altro).
- 2) alla non fondatezza del rilievo circa la scarsità del materiale utilizzato dai 2 Consulenti per svolgere i loro accertamenti, posto che anche gli altri tecnici avevano osservato che invece il materiale era sufficiente, ai fini delle indagini da svolgere.
- 3) alla circostanza che il Consulente nominato dalla Corte d’appello penale, pur ribaltando l’esito dei precedenti due accertamenti, aveva tuttavia dichiarato che nel caso di specie le voci avevano comune accento e cadenza e che egli aveva potuto accertare l’estraneità dell’imputato alle telefonate del 2 luglio 2001 solo attraverso la pronuncia di alcune parole.
- 4) mancava la riferibilità causale del rinvio a giudizio e della condanna penale dell’imputato all’esito delle indagini tecniche svolte dai 2 Consulenti chiamati a giudizio, dal momento che il PM aveva chiesto il rinvio a giudizio e il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva emesso la sentenza penale di condanna sulla base di diversi elementi probatori.
Il ricorso in Cassazione
L’imputato impugna la sentenza di appello dinanzi la Corte di Cassazione, che rigetta.
L’imputato assume esserci stata violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. in relazione all’ipotesi di responsabilità del CTU per “colpa grave” e/o “colpa lieve». La sentenza di appello avrebbe, per un verso, attribuito in base all’art. 64 cpc la responsabilità civile del CTU che sarebbe limitata alla colpa grave; per altro verso, che la domanda risarcitoria fosse stata fondata solo sulla colpa grave dei 2 CTU in questione.
Quanto lamentato dall’imputato non si confronta con la ratio decidendi della decisione di secondo grado.
La Corte d’appello, infatti, pur ritenendo, in senso generale, che l’esatta interpretazione dell’art. 64 cpc limiterebbe la responsabilità civile del CTU all’ipotesi di colpa grave, in concreto ha rigettato la domanda, non già sul rilievo della mancata integrazione di tale grado di colpa, bensì sul diverso presupposto della assoluta insussistenza sia della colpa (anche nella forma lieve) sia del nesso causale e, dunque, sul rilievo della assoluta mancanza dei requisiti sia oggettivi che soggettivi del dedotto comportamento illecito.
La Cassazione osserva che l’esigenza di specificità del motivo di ricorso esige la sua riferibilità alla decisione di cui si chiede la cassazione, non essendo ammissibili nel giudizio di legittimità doglianze non aventi specifica attinenza alle ragioni che sostengono la sentenza sottoposta ad impugnazione.
In sostanza, tutto quanto censurato sull’accertamento di merito compiuto dalla Corte d’appello, in ordine all’assenza della colpa dei convenuti e alla mancanza del nesso di causalità tra la condotta tenuta nel procedimento e nel processo penale a carico dell’attore e l’evento dannoso, è inammissibile.
La condotta dei due Consulenti non presenta profili di negligenza o imperizia
Viene “sollecitato” alla S.C. un nuovo giudizio di fatto in contrapposizione a quello espresso dalla Corte di appello, omettendo di considerare che tanto l’accertamento dei fatti, quanto l’apprezzamento – ad esso funzionale – delle risultanze istruttorie è attività riservata al Giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi alla domanda.
La Corte di appello ha correttamente ritenuto che la condotta tenuta dai 2 Consulenti citati a giudizio non presentasse alcun profilo di negligenza o imperizia e che, inoltre, sul piano oggettivo, non avesse concretato un antecedente causale necessario della condanna dell’imputato, condanna che è stata coniugata con una serie di cospiranti elementi probatori, costituiti dalle dichiarazioni della persona offesa dal reato di estorsione, da quelle del collaboratore di giustizia, da quelle degli ufficiali di polizia giudiziaria che avevano condotto le intercettazioni telefoniche e da quelle di coloro che avevano posto in essere l’arresto di due latitanti in un deposito di proprietà dell’attore, prima di rinvenire nella disponibilità di quest’ultimo le chiavi di un’autovettura rubata parcheggiata nei pressi, in cui era contenuto materiale incendiario e uno stoppino.
In definitiva, la Cassazione dichiara il ricorso inammissibile.
Avv. Emanuela Foligno