Responsabilità medica e risarcimento del danno in sede penale (Cassazione penale, sez. IV, dep. 16/11/2022, n.43465).
Responsabilità medica e risarcimento del danno in sede penale.
Con sentenza del 10 ottobre 2018, all’esito di giudizio abbreviato, il G.U.P. del Tribunale di Trani ha assolto i tre imputati dall’accusa di avere cagionato per colpa la morte del paziente.
Contro la sentenza hanno proposto ricorso il Pubblico Ministero e le parti civili costituite in persona della moglie e dei figli della persona offesa.
La Corte di Appello di Bari ha dichiarato inammissibili gli appelli: quanto all’appello proposto dal Pubblico Ministero, per sopravvenuta carenza di interesse conseguente al decorso del termine di prescrizione; quanto all’appello proposto dalle parti civili perché, “alla stregua di quanto evidenziato nella memoria e nella documentazione prodotta dalla difesa gli eredi della vittima erano stati integralmente risarciti in sede civile sicché l’appello da loro proposto era inammissibile per carenza di interesse”.
I congiunti ricorrono in Cassazione e lamentano violazione di legge e vizi di motivazione sottolineando che il risarcimento del danno in sede civile, sulla base del quale è stata ritenuta la carenza di interesse all’appello, riguarda voci di danno “macroscopicamente diverse rispetto a quelle, poi, oggetto di domanda nel processo penale”.
In altri termini, i ricorrenti sostengono che la sentenza con la quale il Giudice civile ha accertato la responsabilità della ASL per i danni cagionati nell’esercizio di prestazioni sanitarie, riconosce solo una parte dei danni morali patiti e sono rimaste escluse “diverse voci del medesimo danno morale e i danni patrimoniali”.
Ed ancora sostengono che l’azione civile è stata esercitata nei confronti della sola ASL e non nei confronti dei Medici imputati che sono rimasti estranei all’accertamento giudiziale avvenuto in sede civile. L’inammissibilità per carenza di interesse dell’impugnazione della parte civile può essere dichiarata solo quando vi sia completa coincidenza tra la domanda civile e quella penale e, nel caso di specie, l’azione civile esercitata nel processo penale a carico dei Medici non è una duplicazione dell’azione proposta in sede civile contro l’ASL. Rilevano, infine, che l’azione civile è stata iniziata nel 2013, prima della costituzione di parte civile nel processo penale (avvenuta il 23 settembre 2015), e che, proprio perché non vi era identità di petitum e causa petendi l’azione civile non è stata trasferita nel processo penale ai sensi dell’art. 75 c.p.p., comma 1.
I motivi di ricorso sono fondati.
All’esito dell’appello proposto dalla parte civile avverso la sentenza di assoluzione, il Giudice d’appello, anche qualora sia intervenuta la prescrizione del reato contestato, deve valutare la sussistenza dei presupposti per una dichiarazione di responsabilità limitata agli effetti civili e può condannare l’imputato al risarcimento del danno o alle restituzioni qualora reputi fondata l’impugnazione, in modo da escludere che possa persistere la sentenza di merito più favorevole all’imputato.
L’art. 576 c.p.p., conferisce al Giudice dell’impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto, nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia, su impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, può condannare l’imputato al risarcimento dei danni in favore di quest’ultima.
L’inammissibilità dell’appello proposto dalla parte civile non è stata dichiarata in ragione dell’intervenuta prescrizione del reato, bensì sull’assunto che l’interesse ad impugnare sarebbe venuto meno in virtù dell’avvenuto integrale risarcimento del danno in sede civile.
L’integrale risarcimento del danno è stato ritenuto sussistente sulla base della sentenza del Tribunale civile di Trani con la quale è stata decisa la causa promossa contro la ASL. La suddetta azione è stata promossa, come detto, solo nei confronti della ASL al fine di ottenere il ristoro dei danni patiti jure proprio e jure hereditatis.
All’udienza preliminare del 23 settembre 2015 (quando ancora nel giudizio civile non era stata pronunciata sentenza) le medesime persone fisiche che avevano agito nei confronti della ASL si sono costituite parti civili nel processo penale a carico dei Sanitari al fine di vedersi riconosciuto “il diritto al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti” in conseguenza della condotta degli imputati. Non vi è stato trasferimento dell’azione civile in sede penale ai sensi dell’art. 75, comma 1, c.p.p..
Secondo la Corte territoriale, l’appello proposto dalle parti civili contro la sentenza di assoluzione pronunciata dal G.U.P. di Trani il 10 ottobre 2018 è inammissibile perché il 25 gennaio 2017 la causa promossa nei confronti della ASL è stata definita con sentenza di condanna, il danno liquidato in quella sentenza è stato pagato, e ciò comporta la sopravvenuta carenza di interesse al gravame.
La giurisprudenza civile ha affermato che “in tema di responsabilità medica, nel regime anteriore alla L. n. 24 del 2017, la responsabilità della struttura sanitaria, integra, ai sensi dell’art. 1228 c.c., una fattispecie di responsabilità diretta per fatto proprio, fondata sull’elemento soggettivo dell’ausiliario, la quale trova fondamento nell’assunzione del rischio per i danni che al creditore possono derivare dall’utilizzazione di terzi nell’adempimento della propria obbligazione contrattuale, e che deve essere distinta dalla responsabilità indiretta per fatto altrui, di natura oggettiva, in base alla quale l’imprenditore risponde, per i fatti dei propri dipendenti, a norma dell’art. 2049 c.c.” (Cass. Civ. Sez. 3, n. 29001 del 20/10/2021, Rv. 662914).
La giurisprudenza penale è più volte intervenuta sul tema dei rapporti tra azione civile e azione penale affermando che, se ha esercitato l’azione risarcitoria nel processo civile, il danneggiato dal reato non è legittimato, “dopo la pronuncia di una sentenza di merito anche non passata in giudicato in tale sede, a costituirsi parte civile nel processo penale per far valere profili di danno diversi ed ulteriori rispetto a quelli già accertati in sede civile, ma derivanti dalla medesima causa” (Sez. 4, n. 24215 del 19/05/2015, Petteruti, Rv. 263735; Sez. 2, n. 37296 del 28/06/2019, Inzitari, Rv. 277039).
Nel caso di specie i danni fatti valere in sede penale derivano dalla medesima causa di quelli già accertati in sede civile, ma i soggetti nei cui confronti quei danni vengono fatti valere sono diversi. La circostanza che possa esservi vincolo di solidarietà tra la ASL condannata al risarcimento dei danni in sede civile e gli odierni imputati non rileva perché, in concreto, non vi è stata condanna degli obbligati solidali.
Ai sensi dell’art. 1306 c.c., “la sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solido, o tra il debitore e uno dei creditori in solido, non ha effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori. La sentenza pronunciata nei confronti della ASL, dunque, anche nel caso in cui vi fosse una obbligazione solidale tra la Azienda e i Medici imputati, non avrebbe effetto nei confronti di questi ultimi che potrebbero solo opporla al creditore in un eventuale giudizio civile.
Nel caso in esame, l’art. 75 c.p.p., non può trovare applicazione. La dichiarazione di inammissibilità della costituzione di parte civile – motivata in virtù della preclusione sancita dall’art. 75 c.p.p., – è illegittima, “allorché tra l’azione civile e quella penale sussista diversità di soggetti e di causa petendi” (Sez. 4, n. 35604 del 28/05/2003, Crabbi, Rv. 226370).
La sentenza impugnata non motiva sul punto: si limita a riferire che gli eredi della vittima sono stati “risarciti integralmente in sede di civile” e non spiega perché l’avvenuto risarcimento da parte della ASL abbia fatto venir meno l’interesse della parte civile a impugnare una sentenza che ha escluso la responsabilità dei sanitari “perché il fatto non sussiste” e, una volta divenuta irrevocabile, ai sensi dell’art. 652 c.p.p., farebbe stato nel giudizio civile.
Conclusivamente, la Suprema Corte annulla la sentenza impugnata agli effetti civili e rinvia al Giudice civile competente.
Avv. Emanuela Foligno
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