La mancanza di tempestività e la superficialità degli esami diagnostici integrano una condotta decisiva per l’affermazione della responsabilità sanitaria

La morte del neonato per aspirazione massiva di liquido amniotico e la responsabilità sanitaria del medico e dell’ostetrica. Questo è il tema, particolarmente denso e spinoso, affrontato dalla sentenza n.30350/2015 della Suprema Corte di Cassazione.

La vicenda giuridica ha inizio quando il Tribunale penale di Monza ha ritenuto responsabili il ginecologo e l’ostetrica per l’omicidio colposo della neonata**** , nata con taglio cesareo, deceduta per sindrome da aspirazione massiva di liquido amniotico.

La contestazione mossa al ginecologo e all’ostetrica è quella di aver ritardato il taglio cesareo, sottovalutando i segni di rottura dell’utero della partoriente e inducendo il parto naturale con modalità di rilascio dell’ossitocina non corrette.

Il giudice dell’appello assolveva con la formula  “non aver commesso il fatto” il ginecologo e confermava la responsabilità dell’ostetrica.

Gli elementi centrali di questa vicenda, al fine di una corretta analisi giuridica sono due: da un alto la condotta omissiva e dall’altro il nesso causale.

La condotta omissiva del medico e dell’ostetrica è accertata. Significa quindi che a causa di una errata rappresentazione della realtà i due sanitari non hanno ritenuto necessario anticipare il taglio cesareo, ma hanno continuato con il tentativo di induzione; il momento in cui si sono determinati a fare il cesareo era ormai tardi per la bambina, che non aveva più possibilità di essere salvata.

Il tratto distintivo di questa condotta omissiva è che produce esse stessa i danni che dovrebbe prevenire; altrimenti detto i danni non sono stati cagionati da altri ma dalla stessa condotta inadeguata, imperita e profondamente negligente dei due sanitari.

E’ possibile quindi definire tale condotta come omissiva-attiva, perché se da un lato i soggetti agenti non intervengono a porre fine al danno, dall’altro la loro condotta è essa stessa generativa del danno, che, infatti, promana unicamente dal protrarsi della condotta errata e negligente dei due sanitari.

L’altro dato è l’accertamento del nesso causale.

Questo comporta verificare quale sia il legame tra quanto accaduto e la condotta degli imputati, ma anche valutare se e quanto il risultato finale sarebbe stato diverso a fronte di una diversa condotta del medico e dell’ostetrica, cioè a dire: sarebbe stata sufficiente una condotta diversa dei due soggetti agenti o comunque la sopravvivenza della bambina sarebbe stata in pericolo?

Per dare risposta a queste domande la Suprema Corte ha rinviato alla Corte d’Appello per un nuovo e più approfondito esame della triste vicenda.

                                                                              Avv. Claudia Poscia

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