Anche a ritenere tempestivamente acquisita la condotta omissiva del Ginecologo in merito all’assistenza post-operatoria della donna, il primo Giudice non avrebbe correttamente valutato il materiale probatorio in merito alla dimostrazione del nesso eziologico tra le suddette omissione ed i danni lamentati (Tribunale di Latina, Sez. II, Sentenza n. 1686/2021del 17/09/2021 – RG n. 5904/2018)

Viene appellata la sentenza del Giudice di Pace di Latina n. 1069/018 pubblicata in data 13.12.2017 che accoglieva l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1103/2013 emesso dal Giudice di Pace di Latina con il quale la paziente danneggiata era stata condannata a pagare in favore del Ginecologo la somma di euro 3.069,92 oltre interessi legali ed accessori, quale corrispettivo per l’operazione chirurgica di revisione della cavità uterina, effettuato in data 11.05.2012, presso una Casa di Cura romana, a seguito di un ricovero urgente per aborto interno.

Nel formulare opposizione l’appellata deduceva la non corretta esecuzione del suddetto intervento, atteso che a seguito di esami specialistici effettuati in data 26.07.2012 presso altra Casa di Cura Privata romana, veniva riscontrava la presenza di residui abortivi dello spessore di circa tre cm, localizzati a livello della zona cornuale di sinistra post intervento della revisione della cavità uterina.

L’attrice veniva quindi sottoposta ad un secondo intervento chirurgico necessario per l’asportazione dei suddetti residui, con conseguente disagio morale e fisico, di cui chiedeva il ristoro in via riconvenzionale.

Nel corso del giudizio di prime cure veniva espletata CTU medico-legale che escludeva la responsabilità del sanitario convenuto, sulla base della circostanza che l’esame istologico effettuato nel corso del secondo intervento, non evidenziava la presenza di residui abortivi, si trattava di mucosa endometriale interessata da danno calorico e non da residui abortivi; evidenziava inoltre come nella fattispecie non si ravvisassero profili di responsabilità sanitaria, atteso che l’ inquadramento diagnostico, l’intervento di revisione della cavità uterina e l’assistenza post-chirurgica (prescrizione di una prassi antibiotica ad ampio spettro) risultavano conformi alle leges artis.

Il Giudice di primo grado, pur rappresentando di volere condividere le conclusioni del CTU in punto di accertamento di adeguatezza dell’ intervento, tuttavia affermava la sussistenza di una responsabilità del sanitario convenuto con riferimento ad un’omessa assistenza post-operatoria, atteso che il Ginecologo avrebbe omesso di monitorare fino a completa guarigione il decorso post-operatorio del paziente.

Pertanto, l’opposizione veniva accolta e il decreto ingiuntivo veniva revocato condannando in via riconvenzionale il sanitario convenuto al risarcimento dei danni morali ed esistenziali subiti dall’attrice, per euro 4.000,00, oltre spese di giudizio.

Il Medico propone appello eccependo qualsivoglia responsabilità professionale e la non corretta valutazione del materiale probatorio acquisito.

La decisione viene assunta secondo la regola della ragione più liquida, secondo cui la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio.

Il Tribunale considera meritevole di accoglimento il motivo di appello con il quale è stato dedotta la violazione da parte del primo Giudice dell’ art 112 cpc.

La violazione del principio fondamentale di corrispondenza tra chiesto e pronunziato si verifica non soltanto nei casi in cui il Giudice pronunci oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni delle parti, ma anche quando, esorbitando dai limiti della mera qualificazione della domanda sostituisce l’azione proposta con una diversa, perché fondata su fatti diversi o su una diversa causa petendi, con la conseguente introduzione di un diverso titolo accanto a quello posto a fondamento della domanda, e di un nuovo tema di indagine, o su una realtà fattuale non dedotta in giudizio dalle parti e sulla quale, pertanto, non si è realizzato il contraddittorio.

La donna ha dedotto in primo grado la responsabilità professionale del Ginecologo sotto il profilo di una non corretta esecuzione dell’intervento chirurgico di revisione della cavità uterina, atteso che sarebbe residuato all’esito del materiale abortivo, circostanza che aveva reso necessario l’esecuzione di un secondo intervento, con conseguente patimento d’ animo, disagio fisico e psicologico della paziente.

Nulla la donna ha eccepito in relazione ad eventuali e diversi profili di responsabilità di natura omissiva relativi all’assistenza post – operatoria.

Il Giudice di prime, ponendo alla base della decisione fatti storici diversi da quelli rappresentati dall’ attrice sui quali non si è instaurato alcun contraddittorio e che non sono stati oggetto di accertamento medico -legale.

In ogni caso, il CTU per completezza di indagine, ha rappresentato, contrariamente a quanto evidenziato dal Giudice di prime cure, una corretta assistenza post-operatoria, in ragione dell’ adeguatezza delle prescrizione di antibiotici ad ampio spettro.

Irrilevante è la circostanza che nella note critiche alla CTU si faccia riferimento ad un non corretto percorso assistenziale (omessa esecuzione di un controllo ecografico a distanza dall’ intervento), atteso che, anche in tal caso, sarebbe stato precluso al giudicante di fondare la decisione in relazione a fatti storici diversi da quelli prospettati dalla parti nei termini di legge previsti in relazione alle preclusioni assertive e probatorie.

Ed ancora, le critiche mosse alla CTU in ordine all’ inattendibilità delle risultanze dell’ esame istologico con riferimento all’ omesso rinvenimento di residui abortivi, non appare condivisibile, attesa l’ esaustività della risposta fornite sul punto dal CTU, in merito alla piena attendibilità ai fini dell’ indagine peritale delle risultanze del suddetto esame.

Conseguentemente è da dichiararsi da parte del Giudice di prime cure violazione dell’ art 112 cpc, avendo fondato la propria decisione su fatti storici e su di un tema di indagine estraneo alla originaria prospettazione delle parti.

Ed ancora, la decisione del primo Giudice è censurabile nella parte in cui ha ritenuto provato il nesso eziologico tra l’ omessa assistenza post-operatoria (peraltro non motivata), ed il secondo intervento di revisione della cavità uterina.

Non è presente un percorso logico-motivazionale nella pronuncia impugnata che dia conto delle ragioni secondo cui, in caso di corretta assistenza post-operatoria, pur “accademicamente” ipotizzando che la stessa non sia stata prestata, si sarebbe potuto evitare il secondo intervento, la cui esecuzione è posto alla base della pretesa risarcitoria.

In tal senso la paziente nulla ha dedotto nelle osservazioni alla CTU, rimarcando la sussistenza di un inadeguato percorso assistenziale post operatorio, senza alcun riferimento al nesso di causalità tra le eventuali omissioni del sanitario in tale fase e la necessità del secondo intervento.

E’ onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del più probabile che non, causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata.

Dunque, quand’anche si ritenesse tempestivamente acquisita la condotta omissiva del Ginecologo in merito all’ assistenza post-operatoria della donna, il primo Giudice non avrebbe correttamente valutato il materiale probatorio in merito alla dimostrazione del nesso eziologico tra le suddette omissione ed i danni lamentati.

In conclusione, l’appello viene accolto con conferma del decreto ingiuntivo (non essendovi stata contestazione in relazione all’ importo pattuito per l’ intervento) con conseguente rigetto della domanda riconvenzionale.

Le spese di doppio grado di giudizio, in ragione del rigetto della riconventio -riconventinis proposta da parte opposta appellante, meritano compensazione per la metà, la restante quota segue la regola della soccombenza e viene posta a carico di parte appellata.

Avv. Emanuela Foligno

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