La pronuncia della Cassazione sul ricorso di un imputato accusato di ricettazione per aver tentato di incassare il premio non dovuto di un tagliando della lotteria contraffatto
Con la sentenza n. 12412/2020 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso presentato da un uomo condannato in sede di appello per ricettazione ai sensi dell’art. 648 del codice penale. L’imputato era accusato di aver acquistato ovvero ricevuto, consapevole della sua illecita provenienza, un biglietto della lotteria “Sbanca Tutto” frutto di contraffazione, ponendo poi in essere atti idonei, diretti in modo non equivoco, a riscuotere il premio in realtà non dovuto. Nello specifico, al fine di riscuotere la vincita, si era recato prima dal direttore di banca e poi dal notaio per procedervi nelle forme di legge.
In primo grado il Tribunale aveva assolto l’imputato dal delitto di tentata truffa segnalando, sulla scorta della testimonianza del funzionario della Lottomatica, che i controlli successivi alla presentazione del biglietto avrebbero certamente escluso la possibilità di riscuotere la vincita.
In altri termini si sarebbe trattato di un reato “impossibile” per assoluta ed oggettiva inidoneità della condotta a realizzare l’evento di danno voluto dall’agente.
Quanto al delitto di ricettazione, il primo giudice aveva sostenuto che non poteva affatto ritenersi inverosimile che l’uomo, come da lui riferito, avesse trovato causalmente il biglietto il cui aspetto, peraltro, non aveva insospettito né il notaio né il direttore della banca cui egli si era rivolto e che avevano iniziato ad attivare le necessarie ordinarie procedure per la riscossione della vincita. Pertanto aveva tenuto una condotta a sua volta di certo non coerente con la consapevolezza della provenienza delittuosa del biglietto.
La sentenza era stata impugnata limitatamente alla assoluzione per il delitto di ricettazione dal Pubblico Ministero, che nel suo appello, aveva sottolineato come nel caso di specie dovesse ritenersi certamente sussistente l’elemento materiale del reato.
Rilievo accolto dalla Corte di appello che aveva riformato la sentenza fondando la propria decisione di condanna sul carattere manifesto della anomalia “fisica” del biglietto formato dall'”assemblaggio” di due tagliandi diversi oltre che recante una vincita (apparente) superiore a quella massima prevista per quel tipo di lotteria. Tali evidenti e manifeste anomalie erano in definitiva tali da denunciarne la avvenuta contraffazione e da obbligare l’imputato “ad astenersi dal ricevere o comunque acquistare il titolo medesimo” laddove, invece, egli ne aveva “fatto un consapevole uso presentandolo all’incasso”.
Nell’impugnare la sentenza della Collegio territoriale davanti alla Suprema Corte, il ricorrente eccepiva che il Giudice a quo non avesse spiegato in alcun modo per quale motivo il direttore di banca ed il notaio non si fossero avveduti della materiale alterazione del biglietto di cui, invece, avrebbe dovuto accorgersi lo stesso imputato.
Per gli Ermellini il ricorso è fondato.
La Corte territoriale, infatti, aveva totalmente omesso di confrontarsi con la ‘ratio’ della motivazione del Tribunale relativa alla falsità del biglietto, ovvero non aveva spiegato come fosse conciliabile la affermazione del carattere assolutamente “evidente” della contraffazione con il fatto che, invece, né il direttore di banca e nemmeno il notaio si fossero avveduti della alterazione del tagliando dando corso alle procedure di incasso della vincita che non era stata corrisposta soltanto a séguito degli ulteriori e successivi controlli eseguiti dall’Ufficio dei Monopoli. Da li la decisione di rinviare il caso alla Corte di appello per un nuovo esame.
La redazione giuridica
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