Nel caso in cui i lavori di riparazione del veicolo siano commissionati da un soggetto terzo compete alla parte creditrice provare il potere di rappresentanza conferito a quest’ultimo

Con l’ordinanza n.15454/2020 la Cassazione ha posto fine al contenzioso tra il titolare di un’autofficina e il proprietario di un veicolo, in relazione al pagamento di lavori dì riparazione dello stesso.

L’automobile era stata consegnata all’autofficina da un soggetto terzo e il proprietario negava di aver conferito l’incarico della riparazione. Il Tribunale, tuttavia, pronunciandosi quale giudice d’appello su sentenza del Giudice di pace, lo aveva condannato a saldare l’importo richiesto, valorizzando la circostanza che l’opponente non aveva negato che il terzo presentatore agisse nel suo interesse, con ciò potendosi presumere che il medesimo agisse quale mandatario con rappresentanza del proprietario ai fini della conclusione del contratto di riparazione del veicolo ed assunzione in capo al rappresentato dell’obbligazione di pagamento.

La Cassazione ha invece ritenuto di non condividere la decisione dei Giudici del merito.

Gli Ermellini hanno chiarito che – nell’ambito della ripartizione dell’onere probatorio sui fatti costitutivi e su quelli estintivi ed impeditivi della pretesa di pagamento delle riparazioni di un veicolo appartenente a persona diversa da quella che procede alla consegna del mezzo all’autofficina richiedendo l’intervento –  “qualora sorga contestazione sull’esistenza del potere di rappresentanza del soggetto che abbia speso il nome altrui, l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza di tale potere compete al terzo contraente che pretenda di addossare al rappresentato gli effetti del contratto concluso a suo nome”.

In altri termini compete alla parte creditrice che chiede il pagamento della riparazione, dinanzi alle contestazioni della controparte, provare che il proprietario del veicolo abbia conferito al terzo presentatore la procura necessaria per commissionare a suo nome l’effettuazione delle riparazioni.

Nel caso in esame la sentenza impugnata non appariva conforme a tale principio di diritto perché il giudice d’appello aveva ritenuto sufficiente, ai fini della prova della titolarità passiva del credito, la mera circostanza, ammessa, dell’ interesse alla riparazione in capo al proprietario del veicolo.

Tuttavia – specificano dal Palazzaccio – “il fatto di avere interesse alla riparazione non si identifica con il fatto di aver conferito un mandato con rappresentanza alla conclusione di un contratto d’opera avente ad oggetto l’effettuazione della riparazione”; la mera titolarità dell’interesse non è quindi sufficiente ad integrare la prova del fatto costitutivo posta a carico del creditore.

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