La ripartizione del debito solidale nella responsabilità sanitaria: la Casa di Cura risarcisce oltre 1 milione di euro ai genitori del neonato che ha riportato gravi danni a causa dell’aumento della bilirubina (Corte di Cassazione, III civile, sentenza 16 maggio 2025, n. 13063).
I fatti: danni neurologici al neonato a causa dell’aumento della bilirubina
Il 13/2/2004, nella Clinica Villa Bianca di Napoli, è nato il piccolo. Durante la gravidanza la gestante è stata assistita dal dott. R.C., ginecologo, mentre durante la degenza è stata seguita dal dott. A.M., pediatra neonatologo.
Secondo la tesi della donna, il bambino avrebbe subito danni neurologici gravi a causa dell’aumento della bilirubina, di cui i sanitari non si sarebbero accorti e non avrebbero adeguatamente trattato.
Seguiva un processo a carico dei due suddetti medici, nel quale sono stati citati quali responsabili civili sia la Casa di Cura che la ASL di Teramo, che hanno concluso una transazione con i genitori del bambino, corrispondendo, come già detto, 1 milione di euro.
Il risarcimento danni: un milione di euro
A seguito di ciò, la assicurazione HDI, che ha corrisposto il risarcimento, ha agito in regresso verso i due medici, davanti al Tribunale di Napoli, che, a seguito di una CTU medico-legale, li ha ritenuti responsabili entrambi in solido per il risarcimento del danno: il ginecologo per non essersi accorto delle condizioni della gestante e della situazione del feto, il pediatra per non avere trattato l’ittero con adeguata terapia (la fitoterapia) in modo da far ridurre la bilirubina.
La Corte di Appello di Napoli ha dichiarato nulla la sentenza quanto al ginecologo per un vizio della citazione in giudizio, rimettendo la causa al primo Giudice, mentre ha deciso nel merito quanto al pediatra, confermando la condanna di costui in solido verso HDI Assicurazioni.
Errata attribuzione di responsabilità
Il pediatra si rivolge alla Corte di Cassazione lamentando, in sintesi, errata attribuzione della responsabilità.
Secondo la sua tesi il caso è di litisconsorzio necessario, essendo le due cause inscindibili, con la conseguenza che anche la causa inerente esso pediatra andava rimessa in primo grado, insieme a quella del ginecologo. Detto in altri termini, pur trattandosi di responsabilità solidale, le due posizioni erano dipendenti l’una dall’altra, con la conseguenza che ora un eventuale giudicato favorevole al ginecologo contrasterebbe con la responsabilità solidale ritenuta in capo pediatra.
Il ragionamento è errato e infondato. Anche laddove non vi sia questione di ripartizione interna del debito solidale, la non scindibilità può derivare dal fatto che per accertare la responsabilità dell’uno debba accertarsi quella dell’altro. Ossia che le due posizioni siano inscindibili non già rispetto al quantum, ma rispetto all’an.
Tuttavia, una situazione simile è da escludersi nel caso concreto.
La ripartizione del debito solidale nella responsabilità sanitaria
L’obbligazione solidale passiva, di regola, non dà luogo a litisconsorzio necessario, nemmeno in sede di impugnazione, in quanto non fa sorgere un rapporto unico e inscindibile, neppure sotto il profilo della dipendenza di cause, bensì rapporti giuridici distinti, anche se fra loro connessi, in virtù dei quali è sempre possibile la scissione del rapporto processuale, potendo il creditore ripetere da ciascuno dei condebitori l’intero suo credito; tale regola, peraltro, trova deroga – venendo a configurarsi una situazione di inscindibilità di cause e, quindi, di litisconsorzio processuale necessario – quando le cause siano tra loro dipendenti, ovvero quando le distinte posizione dei coobbligati presentino obiettiva interrelazione, alla stregua della loro strutturale subordinazione anche sul piano del diritto sostanziale, sicché la responsabilità dell’uno presupponga la responsabilità dell’altro.
È evidente, nel caso che stiamo discutendo, che l’unico evento è stato causato da due condotte indipendenti, l’una dall’altra, e tra le quali non c’è necessaria interrelazione, nel senso che non necessariamente l’accertamento che la condotta di uno dei medici è stata causalmente ininfluente comporta che debba esserlo stata anche l’altra: l’eventuale esclusione di responsabilità per uno dei due medici non ha come implicazione necessaria l’esclusione anche per l’altro. Uno è intervenuto nelle visite ginecologiche preliminari, l’altro durante il parto ed in un contesto diverso.
La responsabilità solidale del ginecologo
Ad ogni modo, la Corte ha pur sempre affermato la responsabilità solidale del ginecologo, che emergeva come univoca, ossia non equivoca.
Sul mancato riconoscimento della richiesta di graduazione di responsabilità, la Corte di Appello ha dichiarato tardiva questa domanda poiché proposta solo in secondo grado.
Il ricorrente contesta questa decisione, asserendo che invece la domanda di graduazione della responsabilità non può dirsi domanda nuova, spettando al giudice di accertare comunque il grado di responsabilità di ciascuno.
Anche questa doglianza non è fondata.
Il Giudice di merito adito dal danneggiato può e deve pronunciarsi sulla graduazione delle colpe solo se uno dei condebitori abbia esercitato l’azione di regresso verso gli altri, o se comunque abbia chiesto l’accertamento di tale ripartizione interna in vista del regresso; ne consegue che, qualora il presunto autore dell’illecito si limiti a negare la propria responsabilità senza chiedere espressamente, seppure in via graduata, l’accertamento della percentuale di responsabilità propria e altrui in ordine al verificarsi del fatto dannoso, non propone alcuna domanda nei confronti degli altri convenuti, e tale domanda, ove proposta per la prima volta in appello, deve ritenersi domanda nuova, come tale inammissibile (in tal senso vengono richiamate Cass. 3803/2004; Cass. 5475/2023).
Ad ultimo, sulla censura riguardante la legittimità dell’ordine di esibizione della cartella clinica e della conseguente ammissione della CTU, il Giudice di primo grado, precisate le conclusioni, ha poi ritenuto necessario istruire ulteriormente la causa, ha dunque emesso ordine di esibizione della cartella e dato incarico al CTU.
La legittimità dell’ordine di esibizione della cartella clinica
Secondo il ricorrente, l’ordine di esibizione sarebbe illegittimo, poiché non è ammissibile quando la prova cui esso è finalizzato può essere reperita aliunde. Delle due l’una: o l’una- la cartella è indispensabile, ed allora non può non avere influito sulla CTU, o l’altra- non è indispensabile- ed allora non andava acquisita.
Se è vero che l’ordine di esibizione va evitato quando la prova che esso fornisce può ricavarsi aliunde, è altresì vero che il ricorrente non dice come ciò potesse accadere, ossia come le informazioni che ha dato la cartella clinica avrebbero potuto essere ricavate diversamente, tenendo conto del fatto che HDI Assicurazioni non aveva accesso a quella cartella, ossia non era legittimata a richiederla alla clinica, con la quale non aveva avuto alcun rapporto e dunque l’ordine di esibizione era l’unico modo per acquisire l’atto.
Non c’è contraddizione, sancisce la Cassazione, nell’avere, da un lato, ritenuto indispensabile la cartella clinica, e dall’altro, di avere ammesso che la CTU abbia potuto farne a meno, in quanto la Corte di Appello ha sostenuto una cosa differente: che la CTU sarebbe stata ammessa comunque, poiché resa necessaria da quanto emergeva dai documenti in atti. In altri termini, la cartella clinica non era necessaria ad ammettere la CTU, ma tornava utile per il Consulente, ossia non ha influito sulla nomina del consulente, basata su altri elementi, ma ha contribuito al convincimento di costui e dunque all’accertamento dei fatti.
Conclusivamente, il ricorso del pediatra viene integralmente rigettato e le spese seguono la soccombenza.
Avv. Emanuela Foligno