Nocività delle mansioni svolte dal lavoratore

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La pronuncia della Cassazione sulla nocività delle mansioni svolte dal lavoratore chiarisce i limiti della responsabilità del datore di lavoro rispetto ai rischi non ancora pienamente riconosciuti dalla scienza medica al momento dei fatti, con particolare riferimento all’obbligo di prevenzione ex art. 2087 c.c. e alla conoscibilità del rischio prima del 2007 (Corte di Cassazione, IV – Lavoro civile, ordinanza 16 maggio 2025, n. 13036).

Nocività delle mansioni e responsabilità del datore di lavoro prima del 2007

La Corte d’appello di Venezia accoglie il gravame proposto dal Comune di Venezia e rigetta la domanda avanzata dalla dipendente (dal 1980 fino al 2007, educatrice di asilo nido), ed in seguito, per riscontrata inidoneità alla mansione, di impiegata amministrativa – per ottenere il risarcimento dei danni per violazione di norme di sicurezza tipiche e in generale dell’obbligo prevenzionale di cui all’art. 2087 c.c., lamentando di aver sviluppato una malattia professionale (sofferenza discale lombare con lieve rigidità rachidea) nello svolgimento delle mansioni di operatrice di asilo nido, patologia riconosciuta di origine professionale da parte dell’INAIL.
I Giudici di appello hanno ritenuto che il Comune avesse adottato tutti i comportamenti e le cautele che la tecnica e la scienza suggerivano nel momento storico per il periodo relativo al caso concreto, considerato che dalle risultanze di causa era emerso che il Comune avesse avuto conoscenza di un possibile rischio specifico soltanto a far data dal 2007. Conseguentemente, prima di tale data, non era configurabile un obbligo di sicurezza di questo tipo, trattandosi di carichi inferiori ai limiti di legge e di movimenti per i quali on esistevano prescrizioni specifiche.

Interventi successivi al 2007 e insussistenza della colpa del datore

A partire dal 2007, la lavoratrice, che aveva seguito già dal 1997 corsi di sicurezza, era stata dichiarata non idonea alla mansione specifica (dapprima temporaneamente e poi in via definitiva dal 20 febbraio 2008 con modifica del profilo professionale) e il Comune aveva introdotto misure organizzative volte alla riduzione del rischio non appena era emerso ciò, quindi poteva escludersi l’imputabilità ha fatto e colpa del datore di lavoro della patologia in menzione, peraltro di natura multifattoriale, avendo lo stesso posto in essere tutto “quanto richiedibile” per prevenirla.

Il giudizio della Corte di Cassazione

La lavoratrice censura la sentenza per omesso esame di un fatto decisivo, perché la Corte avrebbe erroneamente escluso l’esistenza di dati scientifici o epidemiologici aventi ad oggetto la nocività delle mansioni delle educatrici di asili nido e quindi la conoscibilità del rischio prima del 2007.
In realtà, la donna prospetta un’ipotesi di travisamento della prova, riportando analiticamente i passaggi dei documenti in base ai quali, secondo la sua ricostruzione, risulterebbe dimostrata l’esistenza del rischio specifico per la lavorazione in esame prima del 2007. Tuttavia, la censura, come dedotta, non vale a configurare un’ipotesi di travisamento della prova denunciabile bensì una critica valutativa degli elementi addotti dal Giudice di merito per addivenire al proprio convincimento, insindacabile, nei ridetti termini, in sede di legittimità.

Interpretazione dell’art. 2087 c.c. e valutazione delle conoscenze scientifiche

Ed ancora, addebita ai Giudici di appello di avere male interpretato la “norma di chiusura” del sistema perché, pur dando atto della intrinseca nocività delle mansioni svolte, non avrebbero individuato la responsabilità del Comune per omesse misure atte a prevenire la patologia, anche prima del 2007, visto che la letteratura scientifica aveva individuato nella movimentazione dei carichi e nelle posture incongrue fattori di rischio specifici.
Le critiche sono inammissibili.
I Giudici di secondo grado non hanno erroneamente interpretato, né violato, l’art. 2087 c.c. in quanto hanno accertato che, prima del 2007, le conoscenze dell’epoca non suggerivano particolari cautele in relazione all’attività lavorativa di educatrice degli asili nido, tanto più che il rischio si riduceva in ragione dell’età dei bambini accuditi.

Giurisprudenza e limiti della responsabilità datoriale

Ragionando in tale modo la Corte veneta ha fatto corretta applicazione dei principi secondo cui “in materia di tutela della salute del lavoratore, l’art. 2087 cod. civ. non delinea un’ipotesi di responsabilità oggettiva del datore di lavoro, i cui obblighi, oltre a dover essere rapportati alle concrete possibilità della tecnica e dell’esperienza, vanno parametrati alle specificità del lavoro e alla natura dell’ambiente e dei luoghi in cui il lavoro deve svolgersi, particolarmente quando vengono in questione attività che per loro intrinseche caratteristiche (svolgimento all’aperto, in ambienti sotterranei, in gallerie, in miniera, ecc.) comportano dei rischi per la salute del lavoratore (collegati alle intemperie, all’umidità degli ambienti, alla loro temperatura, ecc.), ineliminabili, in tutto o in parte, dal datore di lavoro.
Rispetto a detti lavori – importanti una necessaria accettazione del rischio alla salute del lavoratore, legittimata sulla base del principio del bilanciamento degli interessi – non è configurabile una responsabilità del datore di lavoro, se non nel caso in cui questi, con comportamenti specifici ed anomali, da provarsi di volta in volta da parte del soggetto interessato, determini un aggravamento del tasso di rischio e di pericolosità ricollegato indefettibilmente alla natura dell’attività che il lavoratore è chiamato a svolgere” (Cass. Sez. L, 25/01/2021, n. 1509).

Valutazione probatoria e limiti della responsabilità prima del 2007

Il Giudice d’appello, all’esito dell’accertamento di fatto, ha evidenziato che “nel periodo anteriore al 2007 non sono emersi elementi probatori sufficienti per ritenere che da parte del datore di lavoro fosse conoscibile ed esigibile la necessità di adottare misure organizzative finalizzate alla riduzione del rischio di sovraccarico delle educatrici, anche a fronte della natura multifattoriale della patologia per cui è causa, riscontrabile anche in soggetti non svolgenti questa tipologia di prestazioni” (così, specificamente, a § 14 della sentenza).
“Ed ha poi aggiunto, che la consapevolezza anche da parte degli operatori – medici competenti e medici del lavoro – che l’adozione di determinate posture ovvero di arredi ergonomici potesse ridurre il verificarsi del danno in soggetti che svolgevano la stessa professione della ricorrente era stata acquisita soltanto in anni recenti (dopo il 2011 secondo il convegno di Venezia), anche a fronte di dati statistici non rilevanti”.

L’obbligo datoriale di valutazione il rischio lavorativo

Pertanto, la Corte veneta non aveva alcuna necessità di richiamare i fattori di oscuramento disposto pericolosità indicati nell’Allegato VI del D.Lgs. n. 626 del 1994, atteso che era emerso in concreto come, prima del 2007 l’attività delle educatrici non fosse comunque ritenuta a rischio.
Non a caso, la Corte territoriale ha richiamato l’art. 3 comma 1 lettera b) del D.Lgs. n. 626 del 1994 laddove viene imposto un obbligo datoriale di valutazione ed eliminazione o, se non possibile, di riduzione del rischio lavorativo, ma pur sempre in relazione “alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico”, che sole consentono di cogliere quei fattori di rischio della lavorazione e di approntare i dovuti interventi precauzionali per eliderli o ridurli, in base all’allegato VI.

In definitiva, dalle argomentazioni dei Giudici di appello si desume che, ove pure si volesse individuare uno specifico inadempimento datoriale del Comune rispetto alla mancata predisposizione del documento di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 626 del 1994, questo sarebbe irrilevante, in quanto avrebbe carattere meramente formale e se ne dovrebbe escludere l’incidenza sostanziale, atteso che prima del 2007 non era stato ancora acclarato dalla scienza medica il rischio specifico connesso alle mansioni solitamente svolte dalle educatrici.

In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso. L’oggettiva incertezza delle questioni di fatto rilevanti nel caso ex art. 92 c.p.c., per compensare le spese di legittimità.

Avv. Emanuela Foligno

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