Obbligazione solidale tra Medico e Struttura sanitaria (Cassazione civile, sez. III,  05/01/2023, n.223).

Gradazione della responsabilità di Medico e Struttura secondo le regole dell’obbligazione solidale.

La Struttura sanitaria ricorre per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Napoli esponendo che:

– con sentenza parziale era stata condannata, in solido con il Medico suo dipendente a risarcire i danni cagionati all’attore per le lesioni subite al momento della nascita a causa di malpractice;

– con successiva sentenza, a compiuta definizione del giudizio, l’assicurazione chiamata in causa dal medico, era stata condannata a manlevarlo dagli importi dovuti al danneggiato;

– la deducente aveva provveduto al pagamento;

– ciò posto, assumendo il suo diritto in rivalsa nei confronti del Medico proprio dipendente, indicato come esclusivo responsabile del danno accertato, e del proprio assicuratore, chiedeva la condanna del Medico e dell’Assicurazione a rifonderle le somme erogate in favore della parte danneggiata;

– il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, condannando il Medico al pagamento dell’importo corrispondente alla differenza tra quanto pagato dalla Clinica e la sua quota, pari alla metà, in quanto, in mancanza di una diversificata gradazione delle responsabilità di Medico e Struttura sanitaria, nella ripartizione interna tra condebitori dovesse farsi applicazione della presunzione di cui all’art. 1298 c.c., comma 2.

La ricorrente, in altri termini, lamenta che la Corte di Appello avrebbe errato affermando il vincolo del giudicato interno sul riparto delle responsabilità, poiché, nel giudizio  non era stata formulata alcuna domanda per la ripartizione in parola e deduce la esclusiva responsabilità del Medico.

Gli Ermellini evidenziano che la Corte territoriale, così come il Giudice di prime cure, ha dato atto che non era emersa una diversificazione della responsabilità tra Struttura e Medico, con conseguente operatività della presunzione di pari responsabilità di cui all’art. 2055 c.c., comma 3, poi affiancata al principio parimenti evincibile dall’art. 1298 c.c., comma 2.

Tale conclusione è coerente con il presupposto del motivo per cui non sarebbe stata fatta alcuna diversa domanda per stabilire il riparto della responsabilità, non potendo, pertanto, scendere alcun giudicato nel perimetro segnato per la corrispondente pronuncia che nulla abbia statuito o si debba ritenere aver implicitamente statuito sul punto. E’ per questa ragione che i Giudici di Appello hanno affrontato il tema della possibile diversificazione delle responsabilità, ipotizzabile in relazione ai fatti.

In altri termini, il giudicato è sceso sulle condotte quali accertate, oltre che sulla responsabilità solidale nei confronti della vittima, e non sulle conseguenze in punto di riparto che se ne debbono far derivare.

La Suprema Corte ribadisce che la più frequente ricostruzione dell’istituto, oggi definitivamente smentita dalla Legge c.d. Gelli, n. 24 del 2017, art. 7, comma 1, sovrappone, erroneamente, la fattispecie di responsabilità diretta per fatto proprio ex art. 1228, c.c., dell’ente impersonale, con la responsabilità indiretta per fatto altrui (concordemente ritenuta di tipo oggettivo) dell’imprenditore per i fatti dei propri dipendenti, disciplinata dall’art. 2049 c.c..

Ai sensi dell’art. 1228 c.c., l’attività dell’ausiliario è incardinata nel programma obbligatorio originario che è diretto a realizzare, e per la cui realizzazione il debitore contrattuale si è necessariamente avvalso dell’incaricato, essendogli preclusa ogni possibilità di adempimento “diretto”.

Ai sensi dell’art. 2049 c.c., la condotta pregiudizievole non si traduce nella mancata o inesatta esecuzione di un contenuto obbligatorio del committente verso un creditore, quanto piuttosto nello svolgimento di mansioni dannose per un terzo privo di una pregressa relazione qualificata con il debitore.

Nella fattispecie di cui all’art. 2049 c.c. i due soggetti, “padrone e commesso”, rispondono per titoli distinti, uno solo di essi è l’autore del danno, non si verifica l’ipotesi del concorso nella produzione del fatto dannoso e la conseguente ripartizione dell’onere risarcitorio secondo i criteri fissati dall’art. 2055 c.c.: ferma la corresponsabilità solidale nei confronti del danneggiato, il preponente responsabile per il fatto altrui, può agire in regresso contro l’effettivo autore del fatto per l’intero e non “pro quota”. Ciò spiega la necessità di differenziare la fattispecie di cui all’art. 1228 c.c.. Il Medico opera nel contesto dei servizi resi dalla Struttura presso cui svolge l’attività, che sia stabile o saltuaria, per cui la sua condotta negligente non può essere isolata, in modo “impermeabile”, dal più ampio complesso delle scelte organizzative, di politica sanitaria e di razionalizzazione dei propri servizi operate dalla Struttura, di cui il medico stesso è parte integrante. Invece, l’art. 1228 c.c., fonda, a sua volta, l’imputazione al debitore degli illeciti commessi dai suoi ausiliari sulla libertà del titolare dell’obbligazione di decidere come provvedere all’adempimento, accettando il rischio connesso alle modalità prescelte, secondo la struttura di responsabilità da rischio d’impresa (“cuius commoda eius et incommoda”) ovvero, descrittivamente, secondo la responsabilità organizzativa nell’esecuzione di prestazioni complesse.

In altri termini,  se la Struttura si avvale  dei sanitari,  si trova a dover rispondere dei pregiudizi da costoro eventualmente cagionati: la responsabilità di chi si avvale dell’esplicazione dell’attività del terzo per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale trova radice non tanto in una colpa “in eligendo” degli ausiliari o “in vigilando” circa il loro operato, bensì soprattutto nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento, realizzandosi l’avvalimento dell’attività altrui per l’adempimento della propria obbligazione, comportante l’assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino.

Per ritenere superato l’assetto descritto, non basta ritenere che l’inadempimento fosse ascrivibile alla condotta del Medico, pur imperito o imprudente, ma occorre considerare il composito e duplice titolo in ragione del quale la Struttura risponde solidalmente del proprio operato, sicché sarà onere del debitore:

a) dimostrare – per escludere del tutto una quota di rivalsa – non soltanto la colpa esclusiva del Medico rispetto allo specifico evento di danno, ma la derivazione causale di quell’evento dannoso da una condotta del tutto dissonante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione dei servizi di spedalità, in un’ottica di ragionevole bilanciamento del peso delle rispettive responsabilità sul piano dei rapporti interni;

b) dimostrare che alla descritta colpa del Medico si affianchi l’evidenza di un difetto di correlate trascuratezze nell’adempimento del contratto di spedalità da parte della Struttura, comprensive di controlli atti a evitare rischi dei propri incaricati, da valutare in fatto, da parte del Giudice di merito, in un’ottica di duttile apprezzamento della fattispecie concreta.

Sulla base di tali principi la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Avv. Emanuela Foligno

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