Artroprotesi ginocchio sinistro e infezione a carico della protesi (Tribunale Agrigento, Sentenza n. 1423/2023 pubblicata il 24/10/2023).

Il paziente espone che subito dopo l’intervento di artroporesi ginocchio sinistro, accusando acuti dolori e non riuscendo a programmare una visita di controllo presso l’Ospedale ove veniva operato, si rivolgeva ai sanitari di altra Struttura, dove veniva sottoposto a visita medica in data 30.01.2009.

Permanendo uno stato di impotenza funzionale al ginocchio sinistro, e in seguito ad ulteriori accertamenti, nella specie attraverso l’esame di scintigrafia globale corporea con cellule autologhe marcate, gli veniva diagnosticata una grave infezione a carico della protesi, che lo costringeva a sottoporsi ad un intervento chirurgico d’urgenza di rimozione della protesi e di impianto di spaziatore antibiotato nel novembre del 2019 e successiva installazione di una nuova protesi nel febbraio del 2020.

Afferma, in sintesi, che l’infezione alla protesi e i successivi interventi erano conseguenza immediata e diretta della malpractice medica dei sanitari consistente nella mancata somministrazione di una adeguata profilassi antibiotica post-operatoria in grado di prevenire il rischio di infezione alla protesi.

La Struttura convenuta deduce l’assenza di condotta censurabile in capo ai sanitari dell’Ospedale  poiché era stata posta in essere la profilassi antibiotica richiesta per la tipologia di intervento.

La espletata CTU ha appurato la correttezza dell’operato dei medici sia nella fase preoperatoria che post intervento.

Nello specifico il Tribunale da atto che “ il management pre-operatorio da parte dei sanitari era stato sufficientemente completo e correttamente condotto relativamente all’attuazione di corretta profilassi antibiotica delle possibili infezioni post-chirurgiche, anche mediante l’uso di un cemento antibiotato, atto a minimizzare l’eventuale infezione dei tessuti peri protesici, al monitoraggio clinico-laboratoristico del paziente nel post-intervento (“effettuato puntualmente sino al momento della dimissione che non ha evidenziato chiari segni locali e sistemici di infezione”).

Ciò posto, i CTU hanno rilevato “l’assenza di un esame colturale e di un esame istologico sui campioni prelevati in corso di intervento chirurgico, accertamenti fondamentali ai fini della ricostruzione di un nesso causale, e da soli idonei a individuare indefettibilmente la sussistenza di un nesso di causa immediato e diretto (e quindi stabilire con certezza se la sintomatologia lamentata dall’attore fosse riconducibile ad una infezione peri-protesica o a una intolleranza ai materiali utilizzati nell’intervento chirurgico)”.

 In mancanza di tale riscontro, deve procedersi ad una ricostruzione del nesso causale col criterio probabilistico del “più probabile che non” premettendo che l’infezione dell’artroprotesi è una complicanza postchirurgica che si verifica con un’incidenza che va dal 2% rispettivamente negli interventi di impianto e va annoverata tra le c.d. complicanze dell’intervento e che a fronte della c.d. complicanza medica si tratta di capire se tale evento dannoso pur rilevabile in astratto nella statistica sanitaria (ma priva di rilievo sul piano giuridico), fosse un fatto o prevedibile ed evitabile, e dunque ascrivibile a colpa del medico, ovvero non prevedibile o non evitabile, sì da integrare gli estremi della causa non imputabile.                                                                    

Ebbene, il decorso  post operatorio del paziente era stato regolare, in assenza di segni clinici, sistemici e/o locali, e di laboratorio di complicanza infettiva post-chirurgica. Veniva, difatti, dimesso in data 18/12/2008. Medesimo decorso regolare veniva riferito telefonicamente dallo stesso attore a distanza di un mese alla Capo Sala della Sala Operatoria (cd follow up telefonico).

Solo a seguito di controlli specialistici effettuati presso altra e diversa struttura a distanza di circa un mese dall’intervento di artroprotesi ginocchio sx (fine gennaio 2009) veniva documentata la presenza di idrarto reattivo e per questo effettuata artrocentesi, ma anche in tale occasione venivano esibiti

esami ematochimici che non rilevavano criticità degne di nota.

Solo dopo 6 mesi dall’intervento di posizionamento di artroprotesi e 5 mesi dalla procedura di artrocentesi, in corso di nuova visita ortopedica, nasceva il sospetto della complicanza infettiva tale da giustificare la prescrizione di una terapia antibiotica empirica domiciliare risultata inefficace.

A fronte di tali riscontri fattuali, viene escluso che, da un lato, i sanitari avrebbero dovuto porre in essere altri e più approfonditi controlli rispetto a quelli effettuati, dall’altro che l’infezione protesica fosse sussistente al momento delle dimissioni. Infatti, l’infezione veniva confermata dopo l’esame di scintigrafia eseguito a distanza di 10 mesi dall’intervento.

Conseguentemente non è possibile affermare, in ragione del criterio del più probabile che non, che la sintomatologia lamentata e l’intervento di revisione protesica, fosse riconducibile ad un’infezione peri-protesica contratta in occasione dell’intervento del giorno 4/12/2008.

Per tali ragioni la domanda viene rigettata con condanna alle spese di lite e di CTU.

Avv. Emanuela Foligno

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