Riposizionamento di catetere epidurale e lesioni (Cassazione civile, sez. III, 28/02/2023, n.5970).

Riposizionamento di catetere epidurale e lesione del midollo spinale.

Viene citata a giudizio la Struttura sanitaria e due Medici per ottenerne la condanna a risarcire i danni subiti dal de cuius, nonché quelli subiti dagli attori, quale conseguenza di colpa medica.

La paziente veniva ricoverata per il riposizionamento di catetere epidurale e a seguito dell’intervento aveva subito una lesione del midollo spinale, con conseguenze gravissime – inclusa la paraplegia – che le avevano poi reso impossibile compiere anche le terapie necessarie per una recidiva tumorale, in forza della quale, dimessa dalla clinica, era deceduta.

Il Tribunale dichiarava la responsabilità della convenuta e di uno dei due Medici convenuti, condannandoli in solido a risarcire la somma di oltre 900.000,00 euro.

Proponevano distinti appelli la Struttura e le Assicurazioni e  la Corte d’appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza di primo grado, diminuiva l’entità della condanna, riducendo la quantificazione del danno non patrimoniale subito dalla paziente in un totale di Euro 56.458,50 e del danno parentale.

I congiunti della vittima impugnano in Cassazione lamentando errata quantificazione del danno jure hereditatis essendo stato parametrato non alla Tabelle milanesi ma al tempo della effettiva sopravvivenza.

Osservano i ricorrenti che non sussisterebbero norme specifiche sulla liquidazione del danno iure hereditatis quando il danneggiato decede anteriormente alla liquidazione stessa per una causa indipendente, e deducono che la paziente, se non fossero avvenute le complicanze del ricovero, avrebbe potuto sopravvivere molti più anni rispetto ai 18 mesi intercorsi dall’evento lesivo alla morte.

La paziente, infatti, all’epoca dell’evento aveva già superato i cinque anni di sopravvivenza della pregressa neoplasia, e sottoponendosi ad ulteriori cicli di chemioterapia avrebbe potuto sopravvivere per altri anni, come dimostrerebbe il fatto che, pur non avendo subito la necessaria chemioterapia in quanto paraplegica, era sopravvissuta per diciotto mesi.

Pertanto, sempre secondo i ricorrenti, “se non è possibile affermare che la morte… è sopraggiunta direttamente per il fatto illecito che ha prodotto la paraplegia, è altrettanto possibile affermare che l’evento morte è comunque riconducibile alla patologia causata da tale illecito”. L’aspettativa di vita della paziente sarebbe, pertanto, stata drasticamente diminuita proprio dalla paraplegia, pertanto il danno non doveva essere ancorato alla vita, bensì alla aspettativa di vita ridotta per la sussistenza della malattia come deciso dal Giudice di primo grado.

Infine, i ricorrenti segnalano che non sarebbe accettabile “una disparità di trattamento in peius per coloro che muoiono prima della sentenza, rispetto a tutti coloro che invece sopravvivano alla pronuncia che liquida danno”, in tal modo divenendo “più vantaggioso procrastinare il più possibile il momento del risarcimento”.

A proposito della determinazione dell’importo in relazione alla durata concreta della vita posteriore all’illecito, gli Ermellini segnalano che la scelta dei Giudici di Appello risulta allineata a giurisprudenza consolidata.

Nel caso in cui il decesso sopravvenga per una causa non ricollegabile all’illecito in relazione al quale viene chiesto il risarcimento del danno biologico, l’ammontare del danno spettante agli eredi del defunto “iure successionis” va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato, e non a quella probabile, in quanto la durata della vita futura, in tal caso, non costituisce più un valore ancorato alla mera probabilità statistica, ma è un dato noto ( in tal senso : Cass. sez. 3, 26 maggio 2016 n. 10897, Cass. sez. 3, 30 ottobre 2019 n. 23053 e da ultimo Cass. sez. 3, ord. 29 dicembre 2021 n. 41933, Cass. sez. 3, 18 gennaio 2016 n. 679).

Ciò posto, quanto alla seconda censura, viene rilevato che il Giudice d’appello afferma che la liquidazione del danno parentale,  in base alle tabelle di Milano del 2018,  deve tenere in considerazione che tra i 2 figli e la de cuius, vi era grave compromissione del rapporto parentale.

Risultano, in tal senso, seppur concisamente, estrnati in modo chiaro e completo i criteri valutativi che hanno condotto la Corte territoriale alla riduzione della quantificazione della posta risarcitoria in parola.

Il ricorso viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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