In tema di risarcimento del danno da nascita indesiderata, la prova, incombente sulla danneggiata, della volontà di esercitare la facoltà di interrompere la gravidanza può essere fornita anche mediante presunzioni (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 27 gennaio 2025, n. 1903).
In occasione della ecografia morfologica, del 19 dicembre 2008, dopo i primi 90 giorni di gravidanza e precisamente in corrispondenza della 20° settimana, presso il presidio ospedaliero di Massafra, i medici avevano indicato come visualizzata la vescica. Quindi, non avevano colposamente rilevato l’estrofia vescicale, di cui il feto era affetto.
La scelta di interruzione della gravidanza e il danno da nascita indesiderata
In tal modo, avevano precluso la possibilità ai genitori di indirizzarsi con scelta consapevole verso l’interruzione della gravidanza.
Il piccolo, una volta nato (il 5 maggio 2009), proprio a causa della suddetta grave patologia, era stato immediatamente sottoposto ad un importante intervento ricostruttivo (purtroppo risultato non risolutivo).
Quindi i genitori chiamano a giudizio la ASL di Taranto e la Casa di Cura Bernardini per colposa mancata rilevazione ed informazione della grave patologia concernente il nascituro.
Il primo grado nega il diritto risarcitorio del nascituro
Il Tribunale di Taranto, con sentenza n. 3165/2016, rigetta la domanda degli attori, in quanto:
- a) i coniugi non avevano allegato, nei termini preclusivi previsti dagli artt. 163 e 183 c.p.c., la sussistenza del grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna (e, in particolare, la sussistenza di manifestazioni depressive).
- b) Comunque, detto presupposto non era stato in alcun modo provato e affermarne l’esistenza sulla base della generica deduzione contenuta in comparsa conclusionale (ove si leggeva che nel caso di specie, non può dubitarsi di quelle che sarebbero state le ripercussioni sulla salute psichica della madre, ove questa avesse saputo che il piccolo aveva una gravissima malformazione in zona urogenitale …), avrebbe determinato l’abrogazione surrettizia del predetto presupposto normativo, dovendo pervenirsi in tal modo alla conclusione che sempre e comunque una notizia (certamente affliggente), quale quella della malformazione del feto, provochi una rilevante probabilità (tale essendo il grave pericolo) per la salute psichica della donna.
- c) Negava, infine, la configurabilità di un diritto risarcitorio del nascituro.
La CTU medico legale
La Corte d’appello di Lecce istruisce la causa con CTU medico legale al fine di accertare se, avuto riguardo all’epoca di gestazione della donna, sussistevano le condizioni cliniche e strumentali per formulare la diagnosi della riscontrata patologia di cui è affetto il minore al momento del rispettivo intervento di ciascuno dei professionisti appellati, specificando se sussistano e quali profili di responsabilità medica, a chi siano imputabili ed eventualmente in quale misura percentuale. Quindi con sentenza n. 119/2020, in accoglimento dell’impugnazione, riformava integralmente la sentenza di primo grado.
- Nello specifico, i Giudici di appello hanno ritenuto provato per presunzione il pericolo per la salute fisica o psichica della donna e hanno ritenuto provato il colposo inadempimento dei sanitari, in quanto:
- a) il referto della ecografia morfologica del 19 dicembre 2008 indicava la visualizzazione della vescica fetale, mentre il piccolo era nato affetto da estrofia vescicale.
- b) L’Azienda convenuta non aveva prodotto fotografie della suddetta ecografia morfologica, dalla quale risultasse effettivamente indagata la vescica del nascituro (e, quindi, l’eventuale errore incolpevole dei sanitari).
La ASL ricorre in Cassazione
La ASL ricorre per la cassazione della decisione lamentando, da un lato, l’essere stati ritenuti provati per presunzione i presupposti per l’interruzione della gravidanza della donna, e, dall’altro, ha ritenuto sussistente il suo inadempimento, pur dando atto che era stato genericamente allegato, senza neppure considerare le risultanze della CTU da essa disposta.
In definitiva, secondo l’ASL, la corte di secondo avrebbe erroneamente ritenuto provati sia i presupposti alla cui sussistenza l’articolo 6 della Legge n. 194/1978 subordina la possibilità per la donna di procedere ad interruzione volontaria della gravidanza dopo i primi 90 giorni della stessa (e, in particolare, il grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna); sia la volontà della stessa di interrompere la gravidanza nel caso in cui fosse stata informata della malformazione del feto che portava nel grembo. Sottolinea che il CTU aveva dato una analitica spiegazione del perché la condotta dei sanitari fosse esente da censura ed in particolare aveva rilevato che la diagnosi “basata sulla mancata visualizzazione della vescica è difficile e frequenti sono i falsi negativi. In letteratura sono indicati almeno cinque aspetti diagnostici associati con l’estrofia vescicale…”.
La donna avrebbe dovuto provare la sua volontà di ricorrere all’interruzione della gravidanza, se fosse stata informata delle malformazioni del concepito
In definitiva, secondo l’azienda ricorrente, l’accertamento peritale ha definitivamente accertato che nessun inadempimento colpevole è attribuibile alle Strutture sanitarie che ebbero in cura la donna durante la gravidanza. Ad ogni modo, quand’anche il CTU avesse ravvisato la colpa dei sanitari nella mancata diagnosi della malformazione, la donna, per vedere accolta la domanda risarcitoria inerente la presunta lesione del suo diritto all’autodeterminazione, avrebbe dovuto provare precisamente: che la diversa condotta dei sanitari avrebbe consentito la diagnosi precoce della patologia; che sussistevano i presupposti indicati dall’art. 6 della Legge n. 194/1998; che sarebbe stata sua volontà ricorrere all’interruzione della gravidanza, se fosse stata informata delle malformazioni del concepito).
La Cassazione accoglie le censure e preliminarmente sottolinea la rilevanza dell’onere di allegazione – inteso quale situazione giuridica soggettiva processuale consistente nel dovere gravante sull’attore e sul convenuto di allegare ritualmente e tempestivamente, rispettivamente, i fatti costitutivi del diritto azionato e i fatti impeditivi, modificativi od estintivi di tale diritto, in funzione dell’interesse ad ottenere una pronuncia sul merito della domanda proposta e delle eccezioni in senso proprio eventualmente sollevate.
Le Sezioni Unite sul risarcimento del danno da nascita indesiderata e aborto terapeutico
In punto, le Sezioni Unite:
- – hanno evidenziato che l’onere probatorio posto a carico della gestante, che voglia accedere all’aborto c.d. terapeutico, concerne:
- a) la rilevante anomalia del nascituro.
- b) l’omessa informazione da parte del medico.
- c) il grave pericolo per la salute psico-fisica della donna.
- d) la scelta abortiva di quest’ultima, dando atto del fatto che “la prova verte anche su un fatto psichico: e cioè, su uno stato psicologico, un’intenzione, un atteggiamento volitivo della donna, che la legge considera rilevanti”, del quale “non si può dire che esso sia oggetto di prova in senso stretto”.
- – hanno statuito che: i presupposti della fattispecie facoltizzante non possono che essere allegati e provati dalla donna ex art. 2697 c.c., con un riparto che appare del resto rispettoso del canone della vicinanza della prova.
- – hanno statuito che la prova della malattia grave, fisica o psichica, che giustifichi il ricorso all’interruzione della gravidanza, nonché della sua conforme volontà di ricorrervi può essere data per praesumptio hominis, rispondente ai requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ.; in altri termini, hanno statuito che è possibile ricostruire la sussistenza dei suddetti fatti, «sulla base non solo di correlazioni statisticamente ricorrenti, secondo l’id quod plerumque accidit (…) ma anche di circostanze contingenti, eventualmente anche atipiche emergenti dai dati istruttori raccolti, tra i quali, hanno indicato ad esempio il ricorso al consulto medico proprio per conoscere le condizioni di salute del nascituro; le precarie condizioni psico-fisiche della gestante, eventualmente verificabili tramite consulenza tecnica d’ufficio; pregresse manifestazioni di pensiero, in ipotesi, sintomatiche di una propensione all’opzione abortiva in caso di grave malformazione del feto.
La giurisprudenza sul tema del risarcimento del danno da nascita indesiderata
Ebbene, sul solco tracciato dalla evoluzione giurisprudenziale degli ultimi 10 anni, la successiva giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare, sempre con specifico riferimento al tema del risarcimento del danno da nascita indesiderata, che: “In tema di risarcimento del danno da nascita indesiderata, la prova, incombente sulla danneggiata, della volontà di esercitare la facoltà di interrompere la gravidanza può essere fornita anche mediante presunzioni, le quali devono essere valutate dal giudice secondo un modello atomistico-analitico, fondato sul rigoroso esame di ciascun singolo fatto indiziante e sulla successiva valutazione congiunta, complessiva e globale, degli stessi, da compiersi alla luce dei principi di coerenza logica, compatibilità inferenziale e concordanza.”
Ribadito ciò, la S.C. rammenta anche che le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno efficacia vincolante per il Giudice e, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del CTU.
I giudici di secondo grado non hanno indicato le ragioni per cui si sono discostati dalla CTU
Tali principi di diritto non sono stati rispettati nel caso di specie perché il secondo grado non ha indicato le ragioni per le quali detta mancata allegazione e detta mancata deduzione sarebbero state erroneamente ritenute: e, così, con motivazione mancante. Risulta anche contraddittorio il ragionamento che ha ritenuto provato che la donna, se avesse conosciuto le malformazioni da cui era purtroppo affetto il feto, avrebbe interrotto la gravidanza, sulla base di manifestazioni di pensiero, che la stessa corte di merito stessa ha ritenuto non assolutamente precise.
È stata erroneamente data rilevanza probatoria esclusiva alla circostanza che la donna si era sottoposta a più di una visita di controllo e a più ecografie, senza considerare che tale elemento di per sé non è univocamente indicativo di volontà abortiva, potendo invece essere astrattamente indicativo della volontà della donna di gestire al meglio la propria gravidanza.
Responsabilità medica e di risarcimento del danno da nascita indesiderata
Conclusivamente, il ricorso viene deciso sulla base dei seguenti principi di diritto:
“In tema di Responsabilità medica e di risarcimento del danno da nascita indesiderata, poiché l’interruzione volontaria della gravidanza è legittima in evenienze che restano eccezionali, l’impossibilità della scelta della madre di determinarsi a quella, che sia imputabile a negligente carenza informativa del medico curante, può essere fonte di responsabilità civile, sempre che: a) ricorrano i presupposti normativi di cui all’art. 6 della legge 22 maggio 1978 n. 194; b) risulti la volontà della donna di non portare a termine la gravidanza. Il relativo onere della prova ricade sulla gestante, ma può essere assolto anche per via presuntiva, sempre che i presupposti della fattispecie facoltizzante siano stati tempestivamente allegati e siano rispettati i requisiti di cui all’art. 2729 c.c.”
“In tema di ragionamento presuntivo, quando il giudice di merito sussume erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione semplice ex art. 2729 c.c. (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti accertati che non sono invece rispondenti a quei caratteri, il suo ragionamento probatorio è censurabile alla stregua dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e compete, dunque, alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta dal giudice di merito, lo sia stata anche a livello di applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta”.
Il ricorso viene accolto e la sentenza rinviata
“In tema di presunzioni semplici, di cui all’art. 2729 cod. civ., è deducibile come vizio di violazione e falsa applicazione di norma di diritto ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. l’ipotesi in cui il giudice di merito fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza da esso della conseguenza ignota, così sussumendo sotto la norma dell’art. 2729 cod. civ. fatti privi di quelle caratteristiche e, quindi, incorrendo in una sua falsa applicazione, giacché dichiara di applicarla assumendola esattamente nel suo contenuto astratto, ma lo fa con riguardo ad una fattispecie concreta che non si presta ad essere ricondotta sotto tale contenuto, cioè sotto la specie della gravità, precisione e concordanza”.
La sentenza viene cassata con rinvio alla stessa corte territoriale in altra composizione, perché proceda a nuovo esame.
Avv. Emanuela Foligno