Va segnalata una interessantissima sentenza del 20.10.2016, la n. 21230, della terza sezione civile della Corte di Cassazione la quale si è trovata ad affrontare un tema di non poco momento  quale la risarcibilità del danno non patrimoniale subito dai prossimi congiunti di un soggetto deceduto in occasione di un grave occorso lesivo. Nello specifico, gli Ermellini hanno affrontato il tema con riferimento al novero dei soggetti estranei al ridotto nucleo dei prossimi congiunti più intimi (legati, cioè, da un rapporto di parentela molto stretto con la vittima primaria). Si parla, quindi, di  nonni, nipoti, genero e nuora. Nel caso di specie, il giudice di secondo grado aveva negato il risarcimento alla nipote di un’anziana deceduta in occasione di un sinistro stradale: nipote non convivente con la nonna passata a miglior vita.

In particolare, la Corte di Appello – la cui sentenza era stata impugnata avanti la Suprema Corte – si era rifatta a un principio di diritto avallato da un precedente pronunciamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. 160312 n. 4253) che poneva come prerequisito imprescindibile – ai fini della risarcibilità del danno – proprio la condizione di stabile convivenza tra soggetto istante e vittima primaria.

Ebbene, la Cassazione – con la sentenza del 21 ottobre scorso  – ha capovolto l’indirizzo precedente sostenendo expressis verbis che “non può essere condiviso l’orientamento restrittivo della giurisprudenza di legittimità  (…) secondo cui il fatto illecito, costituito dall’uccisione del congiunto,  dà luogo a un danno non patrimoniale presunto” solo rispetto ai prossimi congiunti legati da uno stretto vincolo di parentela mentre, per gli altri, sarebbe necessario “che sussista una situazione di convivenza”.

Il ragionamento della Corte  muove da un assunto di elementare buonsenso: se è condivisibile l’esigenza di evitare il pericolo di una dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati ‘secondari’, tuttavia non è accettabile che il mero elemento della convivenza  diventi il discrimine tra la risarcibilità e la non risarcibilità del danno subito dalle cosiddette vittime riflesse dell’accadimento da cui è scaturito il decesso della vittima principale.

La sentenza in commento si richiama alle celeberrime pronunce gemelle della Cassazione 8827 e 8828 del 31.05.2003 e alle altrettanto famose sentenze di San Martino del 2008 le quali hanno esteso la tutela risarcitoria a tutti i casi di danno  non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili alla persona  riconosciuti dalla nostra carta costituzionale riconducendoli sotto la copertura giuridica dell’art. 2059 CC anche – se non soprattutto – con riferimento ai soggetti dei quali sia stato vulnerato il nucleo familiare così come concepito, disciplinato e tutelato dagli articoli 2, 29 e 30 della Costituzione.

Più specificatamente, la Corte ha sottolineato che non si può limitare la società naturale della famiglia all’ambito angusto della cosiddetta ‘famiglia nucleare’ strutturata sulla classica triade coniuge-genitori-figli.

Non solo: a bene vedere, l’ordinamento giuridico italiano include tra i parenti anche i discendenti in linea diretta (art. 75 c.c.) e connota la relazione tra nonna e nipote alla stregua di un rapporto vincolato da stretta parentela (cfr. art. 76 c.c.) prevedendo, addirittura, a carico dei discendenti e degli ascendenti, una individuata sequela di diritti, doveri e facoltà.

Secondo l’estensore della sentenza n. 21230/16 non ha alcun senso escludere aprioristicamente il diritto del nipote non convivente a conseguire il risarcimento del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale sulla base di un elemento (quale la convivenza) giustamente definito come “estrinseco, transitorio e del tutto casuale”.

Del resto, non occorre essere versati nella conoscenza approfondita delle norme giuridiche e nell’assiduo esercizio della loro ermeneutica per comprendere che possono esistere convivenze  non basate su vincoli affettivi, ma solo su contingenze strumentali o egoistiche così come – per contro – possono sussistere rapporti caratterizzati  da un alto tasso di densità emotiva e di corrispondenza psicologica tra soggetti i quali, pure, non convivono sotto lo stesso tetto.

Senza contare che la stessa Corte di Cassazione ha più volte ribadito la risarcibilità del  danno non patrimoniale  a favore del coniuge legalmente separato quando si accerti l’effettiva presenza  di quel dolore e di quelle sofferenze morali che inevitabilmente accompagnano la morte di una persona cara.

In conclusione, il nuovo arresto giurisprudenziale ci mette in guardia dal considerare la convivenza come connotato minimo  ovvero cartina di tornasole imprescindibile dell’intimità dei rapporti parentali. La coabitazione potrà costituire, al più, un elemento probatorio utile a comprovare  ampiezza e profondità della relazione affettiva tra la vittima e i parenti sopravvissuti.

Ci permettiamo, per concludere – e giacché di stretta attinenza con il tema affrontato -, di segnalare e censurare la diffusione di una  scarsa sensibilità (frequentemente rinvenibile nelle aule di giustizia  e nei provvedimenti giudiziari) tesa  a sottostimare la monetizzazione del danno subito dai prossimi congiunti “alla lontana” di un soggetto deceduto o macroleso.

Ora, è ben vero che – nella entificazione di un danno connotato, per sua natura, dalla cifra della ‘immaterialità’ – è imprescindibile il ricorso alla stima prudenziale del giudicante; è, però, altrettanto vero che tale valutazione equitativa non deve scadere in una liquidazione ‘a gettone’ che non tenga minimamente in conto l’intensità di una sofferenza spesso difficilmente traducibile in parole e la dignità delle vittime che abbiano  dovuto sperimentarla sulla propria pelle.

Avv. Francesco Carraro

Foro di Padova

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui