Il ritardo diagnostico dell’empiema epidurale cervicale ha provocato la perdita dell’uso degli arti inferiori del paziente (Corte d’Appello di Milano, Sez. II, Sentenza n. 3551/2021 del 09/12/2021 RG n. 1309/2020)

Il Tribunale di Milano con sentenza n. 17373/20, riteneva sussistente la condotta colposa dei sanitari in relazione alla ritardata diagnosi dell’empiema epidurale cervicale di cui era affetto all’ingresso in Ospedale, limitatamente alla perdita dell’uso degli arti inferiori con conseguente condanna a pagare: a) in favore dell’attore, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, la somma complessiva di euro 357.319,72 di cui: i) a titolo di danno non patrimoniale: euro 91.664,00, quale invalidità permanente al 25%; euro 58.336,00 quale personalizzazione; euro 50.000,00 a titolo di danno morale; euro 16.200,00 quale invalidità temporanea per un totale di euro 216.200,00 ; ii) a titolo di danno patrimoniale: euro 2.552,81 , per esborsi per spese mediche; euro 4.697,00 per spese sostenute per consulenti tecnici di parte ; euro 133.869,91 quale danno da incapacità lavorativa specifica ; b) in favore dei congiunti a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale al coniuge la somma di euro 100.000,00; alle figlie la somma di euro 40.000,00 ciascuna .

L’ appellante ha proposto due motivi di appello.

Censura la decisione del Tribunale nella parte in cui, discostandosi dalle conclusioni dei CTU ha escluso la sussistenza del nesso di causalità materiale fra il ritardo diagnostico e la paresi agli arti inferiori, alvo e vescica, o quantomeno l’aggravamento della paresi.

Sotto un secondo profilo, censura l’individuazione operata dal Tribunale nella percentuale del 5% dell’entità della lesione riconducibile alla paresi degli arti inferiori, vescica ed alvo, come frazione dell’entità dei danni totali imputabili alla condotta colposa dei sanitari determinata dai CTU nella misura del 30%, comprensiva sia della paresi degli arti inferiori, vescica e alvo, sia della paresi agli arti superiori.

Con il secondo motivo censura la liquidazione del danno differenziale operata dal Tribunale nella misura del 25% pari alla perdita degli arti superiori partendo dal “punto 0”, ossia valutando come situazione preesistente la piena integrità del distretto inciso dalla condotta colposa in quanto: a) alla condotta iatrogena è imputabile anche l’aggravamento dell’infermità agli arti inferiori, vescica e alvo con necessità di riconoscere all’appellante l’intero danno riconosciuto dai CTU nella misura del 30%, da determinarsi per differenza di valori monetari; b) anche nel denegato caso dovesse essere confermata l’entità della lesione nella misura del 25%, il criterio di liquidazione utilizzato dal tribunale sarebbe comunque errato. Infatti i postumi preesistenti -la paralisi degli arti inferiori, vescica e ano – sono stati aggravati da quelli sopravvenuti -paralisi arti superiori – in quanto la perdita degli arti inferiori ha reso più penosa la menomazione preesistente impedendo, ad esempio, al paziente di spostarsi autonomamente su una carrozzella, di aiutarsi nell’indursi la minzione. Conseguentemente la menomazione preesistente non può essere ritenuta coesistente, ma concorrente con la menomazione successivamente intervenuta, con conseguente liquidazione del danno in termini di differenza di valori monetari.

In sostanza, il danneggiato il 3.10.2011, alle ore 17.30, veniva operato alla colonna vertebrale con diagnosi di “Empiema cervicale in grave spondiloartrosi”, ad intervento di: Laminoplastica “open door” C2 -C6, evacuazione di materiale puruloide.

In realtà era affetto da “empiema cervicale in grave spondiloartrosi “, ovverosia infezione del rachide cervicale con formazione di pus che comprime il midollo spinale e/o delle radici nervose spinali, con conseguenti danni neurologici permanenti.

La corretta patologia di cui era affetto è stata diagnosticata alle ore 9.51 del 3.10.2011 dopo l’esecuzione di una risonanza magnetica. Alle ore 17.30 dello stesso giorno veniva sottoposto ad intervento chirurgico per rimuovere la compressione del midollo spinale.

I CTU ritengono che l’elemento differenziale fra le due diagnosi, quella iniziale di meningite, e quella di empiema cervicale sia dato dalla manifestazione di danni neurologici, inequivocabilmente attribuibili esclusivamente alla seconda patologia.

Solo a seguito della presenza di deficit neurologico (a completamento quindi della triade sintomatologica rappresentata – dolore rachideo – febbre), vi era indicazione alla esecuzione di intervento chirurgico di evacuazione/decompressione.

Alle ore 9.30 del 3.10.2011 si è con certezza manifestata la paralisi ai quattro arti. Infatti, pochi minuti dopo veniva sottoposto alla RNM che consentiva di accertare con esattezza la patologia di cui era affetto il paziente. Tuttavia, i Consulenti affermano che un deficit neurologico si era manifestato in modo inequivoco già alle ore 20.00 del 2.10.2011. Infatti, in quel momento era stata constatata l’impossibilità di urinare con la presenza di un litro di urina nella vescica -“paziente anurico eseguito ecovescicale con 1000 cc di ristagno, posizionato catetere vescicale ” e tale impossibilità di urinare era imputabile esclusivamente ad un danno neurologico.

Infatti “l’indicazione anurico -riportata nel diario infermieristico – non è corretta , in quanto con la stessa si intende la mancata produzione di urina. Invece , in questo caso , l’urina era presente nella misura di un litro . Quindi la ritenzione di urina per l’impossibilità di espellerla poteva essere espressione solo di un danno neurologico alla vescica , incompatibile con la meningite ed invece espressivo della patologia poi diagnosticata. La conclusione risulta logica e congruente con i dati. Inoltre, posto che la suddetta annotazione era contenuta nel diario infermieristico è anche plausibile che sia stato utilizzato un termine tecnicamente impreciso e non corretto per indicare la ritenzione di urina. Ciononostante il ritardo diagnostico è da collocarsi ancora antecedentemente rispetto alle ore 20.00 del 2.10.2011. Infatti, si ritiene tuttavia di dovere poter considerare la sussistenza di un ritardo diagnostico che deve essere posto, almeno inizialmente, almeno tra le ore 19.22 del 01.10.2011, momento in cui il paziente venne ricoverato in reparto di neurologia con diagnosi di “febbre, cervicalgia” senza la esecuzione della TAC cervicale proposta (ma descritta in documentazione clinica come “negativa”), ed il momento in cui la sintomatologia si mostra completa sotto il profilo dell’interessamento midollare (punto “zero”), ovvero le ore 20 del 2.10.2011. Tale punto “zero” non è facilmente identificabile, ma è collocabile precedentemente alle ore 20 del 02.10.2011 allorché, in diario infermieristico, viene descritto: “paziente anurico eseguito ecovescicale con 1000 cc di ristagno, posizionato catetere vescicale . Appare evidente che la ritenzione delle urine, per potersi esprimere con un globo vescicale di 1000 cc, deve essere iniziata alcune ore prima. Al mattino del giorno 02.10.2011 (non è indicato in cartella clinica l’orario) veniva descritto: ” T°38,6. Lamenta dolore cervicale, comunque, ridotto rispetto a ieri e parestesie alle mani, già presenti ieri. Obiettivamente rigor nucalis, disartria e lieve emiparesi dx in esiti si richiedono esami ematici urgenti” . Va rilevata una scarna descrizione della evoluzione neurologica nelle annotazioni in cartella clinica, tuttavia alla visita (ora di scrittura ignota) del mattino del 02.10.20111 la presenza di parestesie alle mani, febbre e dolore rachideo, in associazione a TAC rachide “negativo per ernie” poteva e doveva porre indicazione ad approfondimento diagnostico con MNR del rachide cervicale. ”

Ancora: “La compromissione midollare, poteva, infatti, essere già sospettata nella mattinata del 2.10.2011 : in quel momento furono segnalate le parestesie alle mani, vi era il dato noto di una TAC cervicale negativa ( seppur tale indagine non fosse stata effettuata , vi era comunque il dato della negatività della stessa che faceva comunque parte di quelli noti in quel frangente) e , con ogni probabilità, a d un attento esame del paziente si sarebbero potuti rilevare i primi segni di ritenzione urinaria. Tali dati, nel loro complesso, erano quantomeno indicativi di una probabile compromissione midollare. Ed era in tale frangente, pertanto, ovvero la mattina del 2.10.2011, che i Sanitari avrebbero dovuto effettuare approfondimenti diagnostici adeguati, ovvero un RMN del rachide cervicale che avrebbe consentito, in termini di maggior probabilità che non, di evidenziare la raccolta epidurale cervicale ed intervenire chirurgicamente limitando, in tal modo, il danno residuo. Da quanto sopra deriva che la diagnosi corretta di empiema epidurale cervicale esitato “in tetraplegia incompleta da spondiloiscite da stafilococco aureo” non poteva essere posta né all’atto del l’arrivo al pronto soccorso, né del ricovero nel reparto di neurologia ma, in termini di maggior probabilità che non, nella mattinata del 2.10.2011.”

Le conclusioni dei CTU vengono integralmente condivise dal Giudice.

Ciò posto, sulla determinazione del danno differenziale imputabile alla errata condotta dei Sanitari, i CTU hanno indicato che l’intervento avrebbe dovuto essere eseguito nel c.d. punto zero, ossia in prossimità dell’accertamento della compromissione midollare che era accertabile già dalla mattina del 2.10. e comunque si era già di per sé manifestata alle ore 20.00 dello stesso giorno quando si era palesata la ritenzione di un litro di urina imputabile esclusivamente ad un danno neurologico incompatibile con la diagnosi di meningite.

L’appellante censura la decisione del Tribunale nella parte in cui, discostandosi dalle conclusioni dei CTU, ha escluso la sussistenza del nesso di causalità materiale fra il ritardo diagnostico dei sanitari e la paresi agli arti inferiori, alvo e vescica o quantomeno all’aggravamento degli stessi, ritenendo provato lo stesso limitatamente alla paresi degli arti superiori.

In proposito il Tribunale ha ritenuto:

1) non sia sufficientemente chiaro il percorso scientifico che ha condotto i CTU ad affermare che anche l’aggravamento della paresi agli arti inferiori, alvo e vescica sia imputabile alla ritardata diagnosi, in quanto: i) i periti non hanno fornito una “chiara descrizione” dell’aggravamento relativo agli arti inferiori, alvo e vescica; ii) ulteriormente, per quanto concerne la vescica, lo stato della stessa veniva definito di “paralisi” già dalla serata del 2.10.2021 senza che venisse prospettata una sua possibile regressione a seguito dell’intervento chirurgico;

2) i dati della letteratura scientifica riportati dai CTU, pur relativi ad una patologia rara, escludono che un tempestivo intervento chirurgico avrebbe potuto portare ad un miglioramento del paziente ma solo ad una stabilizzazione.

La Corte osserva che i termini dell’aggravamento sono stati indicati dai Consulenti: Il ritardo diagnostico/terapeutico chirurgico ha, quindi, con alta probabilità, condizionato il permanere di un maggiore grado di paraparesi agli arti inferiori rispetto a quello che sarebbe comunque residuato (peraltro non meglio precisabile) in caso di tempestiva diagnosi e la comparsa della compromissione motoria agli arti superiori.

In altri termini, appare altamente probabile che a seguito di un trattamento anticipato, il danno in esiti sarebbe rimasto stabile rispetto al quadro clinico del giorno 02.10.2011 “T°38,6. Lamenta dolore cervicale, comunque, ridotto rispetto a ieri e parestesie alle mani, già presenti ieri. Obiettivamente rigor nucalis, disartria e lieve emiparesi dx in esiti si richiedono esami ematici -.

Quindi, si evince che secondo i CTU l’intervento tempestivamente eseguito nella giornata del 2.10.2011 avrebbe stabilizzato i danni neurologici già presenti la mattina del 2.10.2011.

La paresi agli arti inferiori si è manifestata alle 9.30 del 3.10.2011.

Posto che l’ intervento avrebbe dovuto essere effettuato nella giornata del 2 ottobre, quando la paresi agli arti inferiori e all’alvo non si erano manifestate, e posto che l’intervento tempestivamente eseguito sulla base dei dati esposti dai CTU nel 58,6 % dei casi un effetto stabilizzante – e nel 34,4 % migliorativo -, si evince che, se lo stesso fosse stato eseguito in quella giornata, avrebbe comunque consentito al paziente di mantenere una parziale funzionalità dell’alvo e degli arti inferiori -impossibile da quantificare con ulteriore precisione stante l’assenza di dati più specifici nella documentazione sanitaria.

Per quanto concerne la vescica, il danno risulta essere già conclamato alle ore 20.00 del 2.10.2011.

Ciò è sufficiente per affermare che un intervento chirurgico effettuato nella giornata del 2 ottobre in prossimità dell’insorgenza della sofferenza neurologica avrebbe potuto, anche in questo caso, stabilizzare la compromissione neurologica prima che la stessa divenisse completa, anche se non è possibile quantificare esattamente il danno che si sarebbe potuto evitare.

Risultano, pertanto, corrette le conclusioni dei Consulenti che hanno ritenuto imputabile a colpa dei sanitari la integrale compromissione della funzionalità degli arti superiori e un maggior grado di paraparesi agli arti inferiori, alvo e vescica rispetto a quello residuato, ancorché in termini non meglio precisabili.

Viene quindi riconosciuto al danneggiato un danno biologico differenziale imputabile a colpa medica pari alla misura del 30% come determinato dai CTU in primo grado.

Sussistente, infine, una sofferenza soggettiva patita dal danneggiato in conseguenza dell’errore iatrogeno che non deriva dal dolore scaturente dalle lesioni anatomiche -risultante dalla documentata necessità di sottoporsi alla terapia del dolore, bensì, propriamente, dal sentimento di vergogna, di umiliazione, di disistima di sé che deriva dal fatto di essere divenuto completamente dipendente dagli altri.

Infatti, il danneggiato è privo dell’uso degli arti superiori e inferiori e quindi, in ambiente esterno può spostarsi solo in carrozzina con l’ausilio di altre persone.

In casa, per brevi tratti si muove con un deambulatore, è costantemente assistito dalla moglie e da una badante presente in casa 24 ore al giorno.

È assistito per l’alvo tre volte alla settimana -due volte dalla moglie ed una volta dall’infermiere -, inoltre deve sottoporsi a sei cateterismi giornalieri, senza possibilità, non avendo l’uso delle braccia, di aiutarsi da solo nello svolgimento di tali attività. Necessita di assistenza per lo svuotamento dell’alveo, oltre che per lavarsi e vestirsi.

Ciò origina una sofferenza interiore, particolarmente acuta e costantemente presente, che non ha una base organica e che, quindi, integra un distinto pregiudizio che deve essere autonomamente risarcito.

Applicando le Tabelle del Tribunale di Milano, viene liquidato a titolo di danno non patrimoniale differenziale l’importo di euro 397.704,00.

Importo a cui viene aggiunto il danno patrimoniale liquidato dal Tribunale nella misura di euro 141.119,72.

Avv. Emanuela Foligno

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