Interessanti chiarimenti giungono dalla Cassazione sulla compensazione delle spese di lite in caso di rottamazione delle cartelle. Ecco cosa hanno stabilito gli Ermellini.

La Corte di Cassazione, sezione tributaria, nella sentenza n. 10198/2018 ha fatto chiarezza sul tema della compensazione delle spese di lite laddove vi sia rottamazione delle cartelle.

Per i giudici, se il contribuente rinuncia alla causa dopo aver aderito alla rottamazione delle cartelle avrà diritto alla compensazione delle spese processuali.

Spese che, pertanto, non dovrà sostenere da solo ma dividere con il Fisco.

È questa la conclusione a cui è giunta la Corte di Cassazione nella sentenza in commento.

Nel caso di specie, una s.a.s., destinataria di una cartella di pagamento di maggiori imposte, aveva in un primo momento impugnato il provvedimento del Fisco.

In seguito, aveva rinunciato al ricorso dopo aver aderito alla definizione agevolata di cui all’art. 6 del d.l. n. 193/2016, convertito con modificazioni dalla legge n. 225/2016.

Questa adesione, hanno specificato i giudici, è idonea a determinare l’estinzione del giudizio, che può conseguire quando la rinuncia sia stata regolarmente notificata alla controparte.

Cosa che può avvenire anche in assenza di formale accettazione.

Più in particolare, la Cassazione ricorda la disciplina delle spese di rito in una simile situazione.

Come noto, la regola generale di cui all’art. 391, comma 2, c.p.c. (“il decreto, l’ordinanza o la sentenza che dichiara l’estinzione può condannare la parte che vi ha dato causa alle spese”) va coordinata con la previsione dell’art. 6 del decreto legge sulla rottamazione delle cartelle.

Per tali ragioni, non trova applicazione il quarto comma dell’art. 391 c.p.c. (“La condanna non è pronunciata, se alla rinuncia hanno aderito le altre parti personalmente o i loro avvocati autorizzati con mandato speciale”).

E questo perché l’Agenzia delle entrate o l’Avvocatura dello Stato non ha espressamente accettato la rinuncia al ricorso dei ricorrenti.

Tuttavia, ricordano gli Ermellini, condannare i ricorrenti alle spese di lite porrebbe una questione “in aperto contrasto con la stessa ratio legis sottesa alla definizione agevolata, laddove si chiede al contribuente, ai fini dell’operatività della stessa, una rinuncia ai giudizi pendenti”.

Risulta infatti evidente come un aggravio di spese si tradurrebbe in un maggior onere di definizione agevolata rispetto a quanto previsto dalla disposizione.

La Cassazione sostiene quindi di concludere affermando un nuovo principio di diritto.

In base a esso “in tema di definizione agevolata ex art. 6 del dl n. 193 del 2016, come con modif. nella l. n. 225 del 2016, la rinuncia al giudizio da parte del contribuente ai sensi del comma 2 della menzionata disposizione costituisce un’eccezione alla previsione di cui all’art. 391, secondo comma, cod. proc. civ., e implica la necessaria compensazione delle spese di lite“.

 

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