La rottura della cuffia dei rotatori va inquadrata come malattia professionale, per il compimento di frequenti movimenti dell’arto superiore, in presenza di carichi pesanti (Corte d’Appello di Roma, Sez. III Lavoro, sentenza n. 329/2021 del 15 febbraio 2021)

Il lavoratore conveniva in giudizio dinanzi il Tribunale di Viterbo l’Inail onde vedere accertata e dichiarata la malattia professionale.

Deduceva di avere lavorato in proprio, dal 1986 al 2004, come meccanico – artigiano, e a decorrere dal mese di marzo 2005 di lavorare alle dipendenze di ATAC S.p.a. con mansioni di “operaio meccanico specializzato” addetto alla riparazione degli autobus.

In particolare, deduceva di eseguire tutte le attività di riparazione e di manutenzione dei mezzi intervenendo sia sui motori che sulle altre componenti quali supporti motore, freni, sospensioni, pneumatici, ecc.

Iniziava a lamentare nel corso del lavoro, progressivamente, forti algie e limitazione articolare alla spalla sinistra, cui seguiva l’accertamento della rottura della cuffia dei rotatori e di una “lesione del CLB “, per cui in data 10 marzo 2014 veniva sottoposto ad intervento chirurgico di artroscopia alla spalla sinistra.

In data 26 settembre 2014 veniva sottoposto a visita medica periodica di idoneità al lavoro al cui esito veniva giudicato ” idoneo con prescrizione limitazione: non adibire a lavori gravosi e di sovraccarico per gli arti superiori “.

In data 14 ottobre 2014, proponeva domanda all’Inail per il riconoscimento della malattia professionale, ma la richiesta veniva respinta per insussistenza del nesso causale tra il rischio lavorativo e la patologia denunciata.

La causa veniva istruita con CTU Medico-Legale e il Tribunale di Viterbo dichiarava l ‘origine professionale della malattia con un danno biologico nella misura dell’8% e condannava l’Inail a corrispondere l’indennizzo di cui all’articolo 13 del d.lgs. 38/2000 nelle forme e misura di legge.

Il Giudice di primo grado motiva la condanna dell’Inail richiamando le conclusioni della CTU: “il lavoratore è stato adibito a mansioni che hanno causato la malattia professionale per cui è causa. La malattia da sovraccarico biomeccanico alla spalla sn contratta dal ricorrente risulta tabellata e quindi conferma il nesso eziologico tra attività lavorativa e tecnopatia per lavorazioni svolte in modo non occasionale con movimenti ripetuti, mantenimento di posture incongrue e impegno di forza. Il grado di menomazione dell’integrità psicofisica conseguito a tale patologia è quantizzabile in misura dell’8%, secondo le nuove tabelle”.

L’Inail propone appello adducendo errata considerazione delle mansioni svolte dal lavoratore e recepimento acritico della CTU.

Il primo motivo d’appello è infondato.

Il Tribunale di Viterbo dà atto che la domanda azionata è inerente la malattia “eziologicamente connessa all’attività lavorativa espletata in qualità di operaio meccanico specializzato addetto alla riparazione degli autobus … “.

Anche il CTU ha tenuto presente, nello svolgimento della perizia e nella redazione dell’elaborato, l’attività di meccanico specializzato svolta dal lavoratore.

Relativamente al recepimento acritico della CTU, l’Istituto rileva che nel DVR non è contemplata l’esposizione al rischio di sovraccarico biomeccanico delle spalle.

Evidenzia, inoltre, che tale mansione può comportare operazioni con elevazione delle spalle ed impegno di forza nell’ambito della giornata lavorativa, ma è pur vero che si tratta di una piccola porzione delle diverse attività svolte dal meccanico, configurandosi come una situazione di occasionalità ben diversa da quanto necessario per ritenere tabellata la malattia denunciata.

Anche tale motivo d’appello viene considerato infondato.

All’interno dell’officina dello stabilimento ove il lavoratore è addetto, gli autobus vengono sospesi mediante appositi sollevatori o ponti con un’alzata da terra variabile tra i 10 cm ed i 2 mt.

Quando lavora ai motori, il ricorrente sta al di sotto degli autobus, che sono sollevati ad un’altezza di 1,90 – 2 metri da terra. Accede alle parti meccaniche dal basso, stando con le braccia sollevate, ed esegue tutte le riparazioni in tale posizione.

Estrae e poi ricolloca manualmente i singoli pezzi del motore nei rispettivi alloggi, ciò sia a pressione, facendo forza con le proprie braccia per estrarli e ricollocarli – come nel caso dei supporti motore – sia svitando ed avvitando i bulloni che fissano i singoli pezzi al tutto, come nel caso del cambio, dell’albero di trasmissione e così via. Le singole componenti del motore pesano circa 30 chilogrammi ciascuna.

Il tutto utilizzando, anche, avvitatori elettrici e manuali e chiavi inglesi.

Quando si procede alla sostituzione di freni e pneumatici, il ricorrente sta abbassato sui mezzi, collocati a terra ovvero ad un’altezza tra i 10 ed i 100 centimetri dal pavimento. Sta in ginocchio o seduto e si adopera con le braccia allungandole in modo tale da raggiungere anche i punti non visibili e più lontani. L’attività lavorativa si svolge in maniera prevalente, almeno per due terzi della giornata lavorativa, con il mezzo in sospensione e dunque con le braccia e le spalle alzate che si muovono continuativamente per effettuare le riparazioni e per afferrare e movimentare i pezzi del motore mantenendo la postura sollevata delle braccia .

Ciò posto, osserva la Corte, che l’Istituto non ha mai contestato le modalità di svolgimento delle mansioni dedotte dal lavoratore e, tale accertamento avrebbe dovuto essere oggetto d’impugnazione unitamente alla decisione.

Non avendo, quindi, l’Inail proposto critiche al riguardo, le modalità di svolgimento delle mansioni, descritte nel ricorso introduttivo, si devono ritenere definitivamente acclarate.

Il ricorrente ha dedotto, senza contestazione da parte dell’Inail, che l ‘attività con posture incongrue ed impegno delle spalle e delle braccia con lavori in elevazione costituisce almeno i 2/3 della sua giornata lavorativa, ne deriva che è condivisibile quanto affermato dal CTU che “il paziente quindi svolge un ‘attività lavorativa prettamente manuale e talora anche pesante che impegna gli arti in movimenti frequenti e ripetuti assumendo anche posizioni incongrue “…..”la patologia muscolo scheletrica della spalla sinistra lamentata dal ricorrente va inquadrata come malattia professionale, risultato del compimento di frequenti e ripetuti movimenti di abduzione dell ‘arto superiore, mantenimento di posture incongrue ed esposizione a microtraumi ripetuti sull ‘articolazione della spalla in presenza di carichi pesanti per un periodo prolungato nel tempo e cioè per più di 10 anni “.

Ciò posto, la Corte afferma di condividere appieno anche le conclusioni del CTU che ” la malattia da sovraccarico biomeccanico alla spalla sn contratta dal ricorrente risulta tabellata e quindi conferma il nesso eziologico tra attività lavorativa e tecnopatia per lavorazioni svolte in modo non occasionale con movimenti ripetuti, mantenimento di posture incongrue e impegno di forza “.

In conclusione, La Corte d’Appello di Roma rigetta il gravame dell’Inail e lo condanna alla rifusione delle spese di lite e al versamento dell’ulteriore importo del contributo unificato, se dovuto, pari a quello versato per l’iscrizione del ricorso.

Avv. Emanuela Foligno

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