Non sussiste un nesso di causa tra la rottura delle acque e il parto pretermine e i danni subiti dal piccolo, da ascriversi ad altre cause tenuto conto anche del fatto che il parto pretermine è avvenuto alla 31esima settimana (Tribunale di Rieti, Sentenza n. 600/2021 del 17/11/2021 RG n. 1315/2017-Repert. n. 1139/2021 del 17/11/2021)

Con atto di citazione gli attori, in proprio e in quanto esercenti la responsabilità genitoriale sul minore, hanno citato in giudizio la Dottoressa (ginecologa) deducendone la responsabilità per avere trascurato la positività per Ureaplasma urealyticum.

In particolare, la donna:

  • nell’anno 2005 iniziava la sua seconda gravidanza, dopo aver avuto, nel 2001, un primo aborto avvenuto alle 21esima settimana;
  • in data 19 -10 -2005, alla sesta settimana di gestazione, l’attrice accedeva al Pronto Soccorso dell’ospedale di Rieti con la diagnosi di minaccia d’aborto;
  • immediatamente ricoverata presso il predetto presidio, era sottoposta a controlli ematochimici ed esami ecografici ed ECG (nella norma) commentati in diaria con grafia non del tutto comprensibile ma riportanti l’assenza di distacchi;
  • in data 2-11-2005 veniva dimessa ed inviata alla ginecologa di fiducia per esami di controllo;
  • il 7 -11 -2005 accedeva nuovamente al Pronto Soccorso del predetto Ospedale per perdite ematiche e sospetto di nuova minaccia d’aborto, ove veniva sottoposta a controlli seriali ed esami ecografici che mostravano la presenza di battito cardiaco fetale e assenza di distacco e veniva dimessa il 18-11-2005;
  • il 2.12.2005 eseguiva tampone vaginale per l’esame colturale risultato positivo per Ureaplasma urealyticum, sensibile alla quasi totalità degli antibiotici testati;
  • il 28-12-2005 alla 15esima settimana di gestazione eseguiva ecografia ostetrica presso la dott.ssa cosi refertata ” situazione longitudinale; presentazione podalica, impianto placenta post -basso; movimenti fetali presenti, attività cardiaca presente. Conclusioni: i parametri biometrici fetali rilevato depongono per una gravidanza alla 15 settimana in regolare evoluzione ecografica”;
  • il 2.1.2006 veniva nuovamente eseguito il tampone vaginale per l’esame colturale che risultava ancora positivo per Ureaplasma urealyticum sensibile alla quasi totalità degli antibiotici testati;
  • il 18-1-2006 veniva nuovamente visitata dalla dott.ssa che certificava ” collo mm 37; BCF presente, CU corrispondente; kg 60,500; PA 120/70;
  • il 23.4.2006, si presentava presso l’Ospedale di Rieti riferendo della avvenuta rottura delle membrane alle ore 6.30, con conseguente trasferimento presso l’Ospedale Belcolle di Viterbo ove sarebbe stato eseguito il taglio cesareo urgente per la nascita prematura del piccolo;
  • in data 16.10.2006, il minore sarebbe stato ricoverato presso la Divisione di Neurologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma con diagnosi di accettazione di “Sindrome di West sintomatica”.

Gli attori lamentano sostanzialmente che la dottoressa, sottovalutando per ben tre volte nel corso della gravidanza (alle date del 02.12.2005, del 02.01.2006 e del 03.02.2006), la positività del tampone vaginale all’Ureaplasma urealyticum, non avrebbe prescritto all’esito una adeguata terapia antibiotica e che in conseguenza di questa omissione sarebbero derivati la rottura prematura delle membrane ed il parto pretermine che, a loro volta, avrebbero causato i danni neurologici nel piccolo.

I CTU hanno evidenziato che a seguito degli esami colturali dei tamponi vaginali e degli antibiogrammi effettuati in data 2.12.2005, 2.01.2006 e 3.02.20 06 (in tale occasione era rilevata anche la presenza di Streptococcus faecalis), non risulta essere stata prescritta o effettuata terapia antibiotica specifica finalizzata all’eradicazione dell’infezione in atto (Ureaplasma Urealyticum).

Non rileva, hanno precisato i CTU, “la circostanza che sull’antibiogramma del 2.12.2005 sia stata apposta a penna accanto alla dicitura Josamycina la seguente annotazione “1000 2 al g x 7 g” in quanto la paternità di tale prescrizione, priva di firma e/o di timbro, non è accertabile. Non è dimostrabile, quindi, che la Dott.ssa P****J o altro sanitario, preso atto delle risultanze laboratoristiche, abbia prescritto la terapia antibiotica in parola. Appare inoltre del tutto ininfluente, il fatto che nel corso dei ricoveri occorsi il 19.10.2005 ed il 7.11.2005 siano state assunte terapie antibiotiche (prima Augmentin e poi Zitromax) in quanto i tamponi vaginali eseguiti in epoca successiva (2.12.2005 , 2.01.2006 e 3.02.2006) davano atto della persistenza dell’Ureaplasma Urealyticum.”

Ad ogni modo, partendo dal dato di fatto certo che la ginecologa aveva fatto eseguire più tamponi vaginali, e a prescindere dai dubbi in merito al fatto che all’esito dei tamponi fosse stata prescritta terapia antibiotica e che persistesse anche l’infezione, i CTU, dopo aver illustrato le varie ipotesi di parto pretermine che possono determinarsi e i fattori di rischio che possono determinarlo, hanno rilevato che la “vaginosi batterica asintomatica non diminuisce il rischio di parto pretermine e di altri esiti avversi della gravidanza, ma che il trattamento antibiotico non risulta associato alla prevenzione di esiti avversi di gravidanza e che i vantaggi di un trattamento antibiotico sarebbero circoscritti al sottogruppo con precedente parto pretermine, nel quale riduce il rischio di basso peso neonatale (1.500 -2.499 g)”.

In altri termini, anche un eventuale trattamento antibiotico, comunque esigibile nel caso in esame tenuto conto dell’anamnesi della paziente, avrebbe potuto influire maggiormente sulla riduzione del rischio di basso peso neonatale che non sul rischio di parto pretermine in quanto la presenza di vaginosi rappresenta di per s é (a prescindere dall’effettuazione di terapie specifiche e dalla sua eradicazione) fattore di rischio di parto pretermine.

I CTU, aggiungono “Il parto prematuro, infatti, è una complicanza relativamente frequente e può essere distinto in base all’epoca gestazionale in: parto prematuro estremamente precoce (travaglio prima della 24a settimana); parto prematuro precoce (travaglio tra la 24a e la 32a settimana); parto prematuro tardivo (travaglio tra la 32a e la 36° settimana) o classificato facendo riferimento al peso alla nascita in parto prematuro con neonati LBW (Low Birth Weight): peso alla nascita tra 1,501 kg e 2,5 kg; parto prematuro con neonati VLBW (Very Low Birth Weight): peso alla nascita inferiore a 1,5 kg; parto prematuro con neonati ELBW (Extremely Low Birth Weight): peso alla nascita inferiore a 1 kg, o secondo il criterio basato sul peso nascita in rapporto al periodo gestazionale: parto prematuro con neonati AGA (Appropriate for Gestational Age): peso appropriato all’età gestazionale compreso tra il 10° e il 90° percentile; parto prematuro con neonati SGA (Small for Gestational Age): peso basso per l’età e inferiore al 10° percentile; parto prematuro con neonati LGA (Large for Gestational Age): peso maggiore al 90° percentile. Tra le cause che possono determinare un parto prematuro e tra i principali fattori di rischio: gli esiti di gravidanze precedenti quali aborto, decesso neonatale e soprattutto un precedente caso di parto prematuro, quest’ultimo rappresenta probabilmente il fattore di rischio più importante, età materna, presenza di determinate patologie materne, problemi fetali (ritardo d i crescita uterina e malformazioni), gravidanze troppo ravvicinate nel tempo, fecondazione in vitro, gravidanza gemellare, problemi placentari o annessiali (annidamento anomalo dell’ovulo, distacco di placenta, placenta previa, rottura precoce delle membra ne, polidramnios, oligoamnios, etc.)…(..).. la prevenzione del parto pretermine si avvale anche della terapia farmacologica e i farmaci utilizzati sono i cosiddetti tocolitici (per esempio il solfato di magnesio, gli inibitori della sintesi di prostaglandine, i calcio – antagonisti, il progesterone, i beta -mimetici, gli antagonisti recettoriali dell’ossitocina etc.), utilizzati anche in caso di minaccia d’aborto sebbene i benefici degli interventi atti a prolungare il periodo di gravidanza vengono tuttavia soppesati valutando anche i rischi di effetti collaterali a carico del feto o della madre. I nati pretermine alla 31a settimana di gravidanza (caso di specie) non presentano problemi di rilievo in quanto i polmoni sono in grado di espandersi autonomamente, la produzione di surfactante è sufficiente, ma in alcuni casi è necessario ricorrere anche alla ventilazione CPAP e in questa fase l’intubazione si rende necessaria solo raramente e la permanenza nell’incubatrice ha solo una funzione di supporto e protegge il bambino dal contatto con gli agenti patogeni esterni. Dunque, valutando tutte le circostanze, i danni neurologici riportati dal piccolo non appaiono comunque riconducibili di per sé alla rottura prematura delle membrane che ha portato ad un parto pretermine che comunque è avvenuto alla 31a settimana.”

Secondo i CTU, “i danni neurologici riportati dal minore sono con verosimiglianza rapportabili ad una sofferenza acuta insorta a distanza di molte ore. Essi evidenziano, infatti, un tracciato cardiotocografico nella norma fino alle ore 22, 45 quando, a seguito di evidenza di decelerazione del battito cardiaco fetale i sanitari decidevano per un taglio cesareo d’urgenza. Alla nascita, peraltro, il bambino, del peso di 1950 gr, presentava cianosi periorale e frequenza cardiaca rallentata a fronte di annotazioni nella cartella clinica neonatologica riportanti Apgar al 1° minuto pari a 7 e Apgar al 5° minuto pari a 9…… i dati clinici sopra descritti rimandano ad una sofferenza di natura ipossica acuta in epoca perinatale insorta dopo oltre 16 ore dal momento della rottura prematura delle membrane…., è ipotizzabile che la sofferenza fetale improvvisamente insorta, che ha spinto i Sanitari dell’Ospedale di Viterbo a ricorrere ad un taglio cesareo d’urgenza, possa essere stata in parte determinata da una brevità assoluta di funicolo. E proprio la sofferenza ipossico -ischemica ha determinato il quadro clinico presentato dal piccolo successivamente inquadrato come Paralisi Cerebrale Infantile di tipo diplegico. Infatti, già all’esame ecografico cerebrale effettuato in data 24.04.2006 erano presenti segni riferibili ad un danno di natura ipossico -ischemica: Cavo del setto pellucido. Iperecogenicità peritrigonale in sede periventricolare bilaterale in seguito confermato dall’esame RM.”

Dunque, una terapia antibiotica, sebbene opportuna vista la storia clinica e il pregresso della donna, che già aveva subito un aborto alla 21esima settimana e non essendo emerso in modo certo dagli atti che la stessa fosse stata prescritta dalla ginecologa, non avrebbe ridotto il rischio della rottura delle membrane che ha condotto poi al parto pretermine.

In ogni caso, non sarebbe ravvisabile un nesso di causa tra la rottura delle acque e il parto pretermine (rischio che, come detto, non sarebbe stato ridotto da una eventuale terapia antibiotica seppure opportuna) e i danni subiti dal piccolo da ascriversi ad altre cause tenuto conto anche del fatto che il parto pretermine è avvenuto alla 31 esima settimana .

La domanda dell’attrice viene rigettata poiché non è possibile ascrivere alla ginecologa convenuta, secondo l’id quod plerumque accidit , le conseguenze dannose occorse al minore.

La particolarità della vicenda ha condotto il Giudice a compensare integralmente le spese di lite.

Avv. Emanuela Foligno

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