Le tematiche connesse alla procreazione, sia essa naturale o medicalmente assistita, sono particolarmente complesse e delicate. Nel concetto stesso di genitorialità, infatti, si estrinsecano esigenze profonde dell’individuo, emozioni innate, speranze e sogni.
Non è esagerato affermare che per la maggior parte degli individui, l’essere genitori è gradino più elevato della propria realizzazione personale. In tale concetto, inoltre, sono racchiuse una serie di aspettative, di pretese, che vanno al di là di ogni concetto espresso fino ad ora, e che riguardano le nostre proiezioni mentali sul nascituro, sul suo aspetto, la sua salute, la sua crescita, il suo futuro. Pensieri, questi, che assumono nella mente del futuro genitore caratteristiche di certezza, di obbligatorietà, in una parole, di vero e proprio diritto.
Sono avvocato, difendo ed assisto medici ginecologi e centri di PMA, inoltre, e più di ogni altra cosa al mondo, sono genitore.
Non è difficile, per chi ha a che fare con ambiti particolari quali quelli della ostetricia o della fecondazione assistita, ascoltare potenziali genitori che si convincono così profondamente che la vita del nascituro sarà esattamente come quella che immaginano, da sottovalutare o arrivare a rifiutare il pensiero stesso che, nell’idillio da loro pensato, si inserisca una complicanza imprevista, una deviazione, una brusca svolta che possa rivelare una realtà completamente dissimile dalla loro idea di genitorialità e di figlio.
La perfezione ipotetica, diviene allora pretesa, diritto acquisito, da difendere ed esercitare e che si traduce in un dovere comportamentale per tutti coloro che in qualsiasi modo possono interferire durante il cammino che porta alla nascita, primi fra tutti, i medici e gli operatori sanitari che hanno, durante la gravidanza, a che fare con la coppia di futuri genitori.
In un tale contesto, arricchito dalla miriade di cause riguardanti presunte responsabilità mediche in tema di ostetricia, ginecologia e procreazione medicalmente assistita, appare naturale chiedersi se questo ipotetico diritto esista realmente o no. Appare lecito, insomma, chiedersi se esista, si sia previsto, prevedibile quanto addirittura non sancito, un diritto alla saluta del nascituro inteso come diritto a nascere sano. La portata di un tale interrogativo è dirompente!
Rispondere in maniera affermativa, infatti, significherebbe ammettere che il nascituro sia portatore di un diritto all’essere sano, al nascere in piena e perfetta salute e, del pari, significherebbe ammettere che in caso sia accertabile la presenza di una qualsiasi condizione di infermità del feto che si tradurrebbe in una futura e certa malattia, esista un diritto al non nascere che non potrebbe che tradursi in un aborto obbligatorio. Tali riflessioni, potrebbero apparire superflue, mere elucubrazioni prive di fondamento pratico ma così non è.
Basta pensare all’ultima decisione della Corte Costituzionale n°96/2015 riguardante la procreazione medicalmente assistita, con la quale sono stati affermati il diritto all’accesso alle tecniche di procreazione anche per i soggetti in grado di procreare naturalmente se esiste la possibilità che gli stessi siano portatori di malattie geneticamente trasmissibili, così come pure è stato affermato il diritto alla selezione degli embrioni creati mediante PMA onde evitare il transfer di embrioni che presentino “ab origine” anomalie cromosomiche o malattie genetiche.
A corollario di tale decisione, occorre dire che la valutazione dei rischi è rimessa al medico il quale potrà consigliare, piuttosto che guidare, la coppia alla esecuzione di test pre-impianto sugli embrioni. Una lettura della decisione della Corte effettuata in modo superficiale o, magari, scientemente malizioso, potrebbe portare ad affermare che la selezione degli embrioni (prima vietata dalla Legge 40/2004) mirata alla ricerca di embrioni sani, sia l’affermazione di un diritto dell’embrione e/o del nascituro a nascere assolutamente sano.
Ma v’è di più! Tale convinzione è così radicata che vi sono in corso più giudizi contro medici e strutture, riguardanti il diritto nel nato con malformazioni o patologie genetiche al risarcimento del danno per il solo fatto di essere nato malato. In una sentenza di qualche anno fa, gli Ermellini, erano giunti alla conclusione che il nascituro fosse titolare di un diritto a non nascere se malato, quale estrinsecazione del danno da frustrazione per non poter, lo stesso nascituro, estrinsecare appieno le potenzialità nella sua vita già condizionata da una malattia.
Recentissimamente, un medico ginecologo, è stato condannato a risarcire il danno derivante dalla non effettuazione di esami diagnostici più approfonditi ai quali è seguita la nascita di un bimbo down non voluto dai genitori che, difatti, non lo hanno riconosciuto sulla base di una presunta omissione diagnostica. In tutti i casi suddetti, invece, i giudicanti di merito avevano escluso qualsivoglia forma di risarcimento. Per fare chiarezza, si spera in maniera definitiva sulla questione, sono recentissimamente intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione il 23/12/2015 ponendo alcuni punti fermi in tema di diritto alla salute del nascituro.
In particolare, sottolineano le Sezioni Unite, nel nostro ordinamento non è in alcun modo previsto il diritto del feto a non nascere se non si è sani. Ancora, proseguono gli Ermellini, non esiste una obbligazione per lo Stato (e di conseguenza per il S,S,N, e tutti i propri membri) di garantire l’esenzione da malattie per il nascituro, intesa nel senso, di obbligo a far nascere un individuo solo se sano. Questo significa che, anche in caso di omessa o errata diagnosi di malattie genetiche del feto, il medico e la struttura non sono tenuti a rispondere nei confronti del nascituro stesso così come dei genitori che non sono titolari di alcun diritto reale sulla vita del nascituro.
Al fine di evitare pericolose derive da parte di Tribunali, Corti d’Appello e delle stessa Cassazione, le Sezioni Unite si sono spinte oltre, affermando che non può essere concepito un diritto ad un suicidio tutelato, un diritto alla non vita, un diritto che obblighi altri soggetti a porre fine ad una vita sulla cui opportunità il titolare della vita stessa nulla può dire essendo solo i genitori portatori di istanze rispetto ad un soggetto terzo ed alla sua vita, quale che essa sarà.
Ammettere il contrario, secondo i supremi giudici e secondo il sottoscritto, significherebbe riportare alla luce teorie eugenetiche e pratiche assolutamente disumane. Significherebbe ammettere che risponde per danno chiunque non abbia correttamente diagnosticato o, facendolo non sia intervenuto interrompendo la gravidanza, una malattia genetica. Lo stesso avvertire la necessità, da parte della Cassazione, di ribadire con forza tali concetti, mostra quanto i concetti inizialmente espressi dal sottoscritto siano attuali e diffusi e quanto possa diventare pericoloso trasformare le speranze e gli auspici in diritti.
A questo punto, ci si potrebbe chiedere quale sia allora il diritto da tutelare? Quale il fondamento concreto e giusto di una eventuale azione? Ebbene, la risposta a tali quesiti è da rivenirsi in una norma che ha ormai quasi quarant’anni. Parlo della Legge n°194/78 meglio conosciuta come Legge sull’aborto. L’unico diritto tutelato, in modo diretto e per analogia, è quello riguardante la salute della genitrice.
E’ interessante notare come, con il termine salute, non sia intesa solamente la integrità fisica, ma anche quella psicologica della donna. Con ciò, deve intendersi anche il diritto a conoscere ed essere informata sulle possibili malattie che potrebbero affliggere il nascituro al fine di poter consentire una completa e serena autodeterminazione rispetto alla scelta di proseguire o meno la gravidanza, ovvero, di interromperla anche oltre il canonico terzo mese di gestazione.
Solo e soltanto questo è il diritto tutelato dall’ordinamento, con la conseguenza che solo e soltanto la lesione del diritto materno alla autodeterminazione potrà portare ad un risarcimento del danno mentre è da escludersi categoricamente, per i genitori come per il nascituro la risarcibilità di un danno derivante dal nascere affetti da patologie.
Avv. Gianluca Mari