Il CTU del penale ipotizzava diverse cause alternative del decesso e non perveniva a una conclusione certa, il CTU del civile identifica la causa del decesso nell’inadeguato monitoraggio del paziente (Tribunale di Alessandria, Sez. I, sentenza n. 407/2020 del 22 luglio 2020)

La moglie del paziente deceduto cita a giudizio l’Azienda Ospedaliera onde vederne accertata la responsabilità per il decesso del marito.

Nelle more tra la notifica dell’atto di citazione e la prima udienza di comparizione, l’attrice propone ricorso per ATP volto ad ottenere l’espletamento di una CTU medico-legale sulla sua persona allegando l’aggravamento del proprio stato di salute in conseguenza della morte del marito.

Con Ordinanza del 29.04.16, il precedente Giudice Istruttore rigettava l’istanza di CTU medico-legale preventiva in corso di causa.

Successivamente, la donna incardinava, sempre in corso di causa, procedimento ex art. 700 c.p.c. volto ad ottenere in via provvisionale l’immediato pagamento da parte dell’Azienda Ospedaliera convenuta di una somma di denaro a titolo risarcitorio.

Il precedente Giudice Istruttore, con Ordinanza del 22.09.16, non ravvisando i presupposti di legge per pronunciare il richiesto provvedimento d’urgenza, rigettava anche tale ricorso.

La donna proponeva reclamo ex art. 669terdecies c.p.c. avverso la predetta ordinanza, salvo poi rinunciarvi, in quanto nell’ambito del giudizio di merito, il Giudice disponeva CTU Medico-Legale volta ad accertare le cause del decesso del paziente.

L’Azienda I****o provvedeva ciononostante a depositare memoria difensiva, dichiarando di non accettare la suddetta rinuncia e chiedendo la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite, anche ex art. 96 c.p.c.

Nel frattempo, con ricorso notificato in data 20.07.16, la figlia adottiva del de cuius radicava dinanzi al Tribunale di Alessandria procedimento ex art. 702bis c.p.c domandando anch’essa la condanna dell’Azienda Ospedaliera.

Le cause veniva riunite ed entrambe istruite con CTU Medico-Legale, al cui esito il Tribunale ritiene parzialmente fondate le domande delle attrici.

Preliminarmente viene dato atto, contrariamente a quanto sostenuto dalle attrici, che la natura contrattuale della responsabilità sanitaria e del personale sanitario da essa dipendente, essendo il caso concreto sottratto rationae temporis alla disciplina dettata dall’art. 7 comma 3 della L. n. 24/2017, è predicabile solo limitatamente al risarcimento del danno richiesto iure hereditatis.

Il diritto che i congiunti possono vantare per i danni direttamente subiti a causa del decesso del danneggiato principale, si colloca nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, non potendo essi giovarsi del diverso inquadramento contrattuale che lega unicamente le parti del contratto di spedalità.

Egualmente, non può discorrersi di contratto con effetti protettivi per i terzi, figura, applicata in giurisprudenza con riferimento alla fattispecie dei danni subiti dal nascituro o dal padre nell’inadempimento del rapporto tra medico (o ente ospedaliero) e gestante, unicamente in ragione della peculiare posizione di questi ultimi rispetto agli interessi in gioco.

Quindi, l’azione spiegata dalle attrici iure proprio ai fini del ristoro dei danni patiti iure proprio deve essere ricondotta alla responsabilità extracontrattuale di cui agli artt. 2043 e 2049 c.c., non essendo le cc.dd. vittime secondarie legate da alcun rapporto contrattuale alla struttura sanitaria ed al personale medico operante presso la stessa.

Conseguentemente, riguardo l’onere probatorio, incombe sui congiunti l’onere della prova governato dall’art. 2043 c.c..

Le attrici hanno agito in giudizio sulla scorta della perizia Medico-legale eseguita su richiesta del P.M. nel procedimento penale.

Il Consulente ha ricondotto la morte del paziente ad uno scompenso cardiaco acuto dovuto ad un improprio approccio terapeutico e ad un inadeguato monitoraggio del paziente nelle ore che ne precedettero la morte.

Tale conclusione è stata confermata dalla CTU Medico-Legale, laddove è stato accertato che “la causa della morte del paziente è rinvenibile in uno scompenso cardiaco acuto dovuto ad una insufficienza respiratoria non correttamente monitorata dai sanitari che lo ebbero in cura.”

In particolare, il CTU rileva:

“- il paziente veniva ricoverato in data 3.9.2013, presso l’Ospedale di Aqui Terme per un’infezione al piede sinistro in soggetto diabetico; durante il ricovero venne sottoposto ad esami accertanti un’infezione al piede sostenuta da Proteus Mirabilis, quindi impostata la terapia antibiotica adeguata sulla base del relativo antibiogramma e monitorato e trattato il quadro di scompenso metabolico e cardiocircolatorio;

– per il proseguimento delle cure in data 17.9.2013 venne poi trasferito presso la divisione di Endocrinologia e Malattie metaboliche dell’Ospedale di Alessandria, ove all’ingresso in anamnesi si registrava ” soggetto con diabete mellito tipo secondo da 20 anni in terapia insulinica, insufficienza renale cronica da nefropatia diabetica, scompenso cardiaco, retinopatia diabetica, lesione infetta piede sinistro con gangrena “;

– dal 17.9.2013 le condizioni del paziente migliorarono, tanto che si programmarono le sue dimissioni per il giorno 27.9.2013;

– sennonché, la mattina del 27.9.2013, alle ore 04.50, il paziente cadde accidentalmente mentre si trovava da solo in bagno: non riportò traumi, né vennero segnalati perdita di coscienza o deficit neurologici, ma gli venne riscontrata una temperatura corporea di 38,2°C e somministrato un farmaco antipiretico;

– alle ore 10.00 del 27.9.2013, il paziente veniva segnalato come cianotico e soporoso, con una temperatura corporea di 38,1 °C e una saturazione periferica al 37%; alle 10.30 veniva descritto ancora come cianotico e soporoso e con 25% di saturazione periferica, motivo per il quale gli veniva posizionata maschera di ossigeno reservoir;

– non venivano effettuati altri controlli medici sino alle ore 16.30, quando il paziente risultava ancora ” cianotico e dispnoico, si posiziona CV, si infonde Lasix 2 fl in 100 di sf. Controlli ematochimici, aggiunge Nitrati”;

– nel pomeriggio del 27.9.2013 veniva annotata una saturazione del 92% e segnalato che ” il paziente si toglie la maschera reservoir “; alle ore 22.00 la saturazione era del 91% ed era nuovamente segnalato che ” il paziente rimuove più volte la maschera reservoir. Posizionato occhiali con O2 a 4l/min. Saturazione d 83%. Riposizionata maschera reservoir “alle ore 23.30 saturazione a 93%. Il paziente non tollera la maschera. Alle ore 04.00 saturazione 89 -90%”.

– alle ore 06.00 del 28.9.2013 veniva constatato il decesso del paziente.

“La causa del decesso del paziente è da ravvisarsi in uno scompenso cardiaco acuto determinato, come concausa, da una situazione di insufficienza respiratoria (ipossemia ed ipercapnea) dovuta ad una inadeguata somministrazione e monitoraggio dell’ossigeno terapia…….(…)… una significativa criticità negli scambi respiratori sia in grado di incidere, anche in maniera letale, sulle funzionalità cardiache.”

“Sin dalla mattina del 27 .9.2013 vi erano chiari elementi per rilevare nel paziente una condizione di insufficienza respiratoria (di tipo II) ipossiemica e ipercapnica (pH 7.30/pO2 – 18,3/pCO2 63) con acidosi respiratoria grave scompensata che, se adeguatamente trattata, in idoneo reparto di Terapia Intensiva respiratoria e/o in Rianimazione, avrebbe evitato il decesso “.

“Al contrario, i sanitari ebbero un approccio incompleto e superficiale, omettendo di monitorare il paziente in modo continuativo durante l’ossigeno terapia in modo da controllare che tale somministrazione compensasse il giusto scambio gassoso fondamentale per la sopravvivenza, quando un attento e continuo monitoraggio del paziente avrebbe permesso di constatare la riduzione della saturazione dell’ossigeno e di interpellare un anestesista/rianimatore e/o di trasferire il paziente in terapia intensiva dove si sarebbe, con quasi certezza, utilizzando strumenti di monitoraggio adeguati, potuto evitare l’evento morte “.

Il Tribunale condivide e fa proprie le conclusioni del Consulente e dichiara accertata la responsabilità della Struttura in relazione al sopravvenuto decesso del paziente.

E’ senz’altro sussistente il nesso causale tra la condotta negligente e omissiva dei sanitari e l’evento morte in quanto un più attento monitoraggio (anche tramite trasferimento in terapia intensiva), avrebbe evitato il decesso in termini di “quasi certezza”, e quindi ben oltre il criterio del “più probabile che non”.

Al riguardo, viene rammentato che la causalità materiale nel processo civile è governata dal principio del più probabile che non e non a quello, vigente nel settore penale, della prova oltre ogni ragionevole dubbio.

Invero, il CTU nominato nel processo penale, lungi dal riferire di una ineccepibile condotta dei sanitari ed anzi evidenziando la presenza di elementi critici che avrebbero imposto un attento monitoraggio clinico del paziente, iipotizzava diverse cause alternative del decesso, salvo poi concludere di non poter pervenire ad alcuna considerazione certa, anche per la povertà descrittiva della clinica nella giornata del 27.9.2013.

Ebbene, il fatto che le risultanze istruttorie della sede penale non hanno consentito di individuare con certezza, o almeno con elevata probabilità la causa della morte del paziente, non assume alcuna rilevanza nel giudizio civile, in quanto in questa sede è sufficiente, attraverso il criterio di prevalenza causale che un attento monitoraggio del paziente durante l’ossigeno terapia nella giornata del 27.9.2013 avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare l’esito infausto.

Ciò chiarito, il Tribunale esamina i danni risarcibili.

La moglie del defunto invoca il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti iure proprio (danno da perdita del reddito familiare, danno da perdita della capacità lavorativa generica, danno da perdita del rapporto parenterale, danno biologico- morale) e, iure hereditatis , il risarcimento del danno biologico e non patrimoniale subito dal marito nell’intervallo temporale tra la manifestazione dello scompenso cardiaco e la morte.

La figlia del defunto, invoca il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti iure proprio per la perdita del proprio padre (danno perdita del rapporto parenterale, danno morale).

Sul ristoro del danno da perdita parentale, il Tribunale, utilizzando le Tabelle milanesi, liquida alla moglie l’importo di euro 207.450,00, mentre alla figlia liquida l’importo di euro 165.960,00.

A nessuna delle due donne, invece, viene riconosciuto l’invocato danno morale, essendo tale posta risarcitoria iure proprio già stata valutata unitamente al danno per la perdita del rapporto parentale secondo i valori delle Tabelle di Milano.

Al riguardo, il Tribunale sottolinea, “in assenza di particolari e specifiche circostanze di fatto idonee a superare le conseguenze ordinarie in termini di sofferenza interiore già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata delle Tabelle di Milano, il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. preclude un risarcimento separato e autonomo per ogni tipo di sofferenza patita dalla persona”.

Relativamente al ristoro del danno biologico richiesto dalla moglie per lo stato di depressione e ansia che le sarebbe residuato dopo il decesso del marito, non risulta provato alcun danno psico-fisico, ovvero altro danno biologico causalmente ancorato alla morte del marito.

Il solo certificato medico prodotto in atti attesta genericamente uno stato di ansia e non anche la sua esclusiva riferibilità alla perdita del congiunto.

Mancando un accertamento Medico-Legale sul punto (l’attrice vi ha rinunciato), non vi è la prova.

Eguali considerazioni per il danno patrimoniale da perdita di capacità lavorativa generica richiesto dalla donna.

In conclusione, l’Azienda Sanitaria viene condannata a pagare l’importo di euro 207.450,00 in favore della moglie e l’importo di euro 165.960,00 in favore della figlia.

Inoltre, l’Azienda viene condannata al pagamento delle spese di lite e di CTU.

La decisione qui a commento è meritevole di attenzione per la disamina svolta riguardo il risarcimento del danno da perdita parentale e per la attenta riflessione sulle poste risarcitorie a titolo patrimoniale invocate dalle attrici.

Pregevole, infine, anche la differenziazione delle risultanze probatorie del procedimento penale, rispetto a quello civile.

Avv. Emanuela Foligno

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