In caso di scontro frontale per invasione di corsia il Giudice non deve fare giudizi tecnici non supportati da elementi oggettivi e accertati in maniera meramente empirica (Corte d’Appello di Genova, Sez. II, Sentenza n. 247/2021 del 01/03/2021 RG n. 87/2018)

Con sentenza n. 737/2017 il Tribunale di Massa dichiarava che la responsabilità del sinistro stradale era ascrivibile per il 75% al convenuto contumace proprietario del veicolo e per il 25% all’attore proprietario del motociclo; condannava, in solido fra loro i convenuti a pagare a favore dell’attore la somma di euro 84.551,65, comprensiva di rivalutazione monetaria ed interessi legali, liquidata previa detrazione dell’importo versato in corso di giudizio a titolo di provvisionale; condannava i convenuti, in solido, al pagamento delle spese processuali e di CTU.

Avverso tale sentenza, il proprietario del motociclo, parzialmente soccombente, ha proposto appello.

Si costituisce in giudizio la Compagnia assicuratrice contestando le domande e chiedendo il rigetto del gravame.

L’appellante lamenta errata ricostruzione del sinistro e conseguente errata valutazione da parte del Giudice di primo grado nella determinazione di responsabilità della causazione dello scontro frontale in misura pari al 25% a proprio sfavore.

In particolare, deduce che tutte le valutazioni tecniche espresse dal Giudice sulla velocità non adeguata, sulla distanza percorsa dallo scooter a seguito dell’urto, sui danni riportati dallo scooter e sulla posizione centrale nella carreggiata tenuta sempre dallo scooter nel procedere, sono state assunte senza prova.

La Corte d’Appello ritiene le doglianze fondate.

La Suprema Corte ha affermato che: “Nel caso di scontro tra veicoli, l’accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti e della regolare condotta di guida dell’altro, libera quest’ultimo dalla presunzione di concorrente responsabilità fissata in via sussidiaria dall’art. 2054, secondo comma, c.c., nonché dall’onere di provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno (tra le tante, Cass. n. 4648/1999). Con la precisazione che la prova che uno dei conducenti si è uniformato alle norme sulla circolazione dei veicoli ed a quelle di comune prudenza può essere acquisita anche indirettamente, tramite l’accertamento del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell’evento dannoso col comportamento dell’altro conducente”.

È del tutto condivisibile la doglianza del motociclista laddove evidenzia che il primo Giudice abbia esternato giudizi tecnici non supportati da elementi oggettivi, ma accertati in maniera meramente empirica.

È pacifico che il comportamento del conducente dell’autoveicolo si traduca in un elevato grado di colpa per avere effettuato un’azzardata e improvvisa manovra di inversione di marcia dalla posizione di sosta, così invadendo la corsia dei veicoli provenienti dall’opposta direzione di marcia, come appunto il motoveicolo dell’attore.

Difatti, l’automobile andava a scontrarsi frontalmente con lo scooter danneggiandone tutta la parte laterale sinistra.

Inoltre, risulta dal verbale della Polizia Municipale di Carrara che l’automobilista è stato sanzionato per violazione degli articoli 154 commi 1/8, 126 comma 7 e 145 commi 2/10 del codice della strada.

Sentito dagli agenti intervenuti in loco, il motociclista dichiarava che la manovra di inversione di marcia dell’automobile era assolutamente repentina e non lasciava alcuna possibilità di evitare l’impatto.

Ciò è comprovato dall’assenza di tracce di frenata, per contro, nessun indizio di una velocità non adeguata da parte dello stesso motociclista emerge dagli atti.

Infatti, allo stesso non è stata elevata nessuna sanzione, mentre numerose sono state le violazioni contestate al conducente del veicolo.

Oltretutto, la velocità tenuta dallo scooter non poteva essere elevata dato il traffico intenso al momento dell’incidente, come risulta dal verbale della Polizia Municipale.

Invece, il primo Giudice in modo errato afferma che il motociclista “percorse la via Roma, ovvero una strada rettilinea priva di anomalie di sorta, con condizioni di visibilità e climatiche ottimali, senza osservare la comune prudenza in concreto esigibile in base alle circostanze concrete dalle condizioni del traffico, ovvero tenendo comunque una condotta di guida non connotata dalla dovuta attenzione.”

Aggiunge, sempre il primo Giudice, che “Costituiscono elementi indiziari rivelatori del concorso di colpa”: la situazione dei luoghi, la mancanza di tracce di frenata, le buone condizioni di visibilità e del manto stradale, la distanza percorsa dopo l’impatto di 18,00 m, la modesta ampiezza della strada, delimitata da alberi, la consistenza dei danni subiti dai mezzi.”

Secondo la Corte, tali valutazioni sono discutibili.

Innanzitutto, viene ribadito che la velocità eccessiva del motociclista non risulta da alcun elemento, mentre è smentita dal fatto che nel verbale d’incidente si dà atto che il traffico era intenso.

L’assenza di tracce di frenata, depone proprio per l’impatto improvviso e non prevedibile, così come i punti d’urto.

Della distanza percorsa dopo l’urto, di 18 metri, non vi è riscontro alcuno nel verbale della Polizia Municipale e neppure emerge che il motoveicolo riportava danni materiali consistenti.

Ed ancora, la ristrettezza della strada è un ulteriore elemento a conferma dell’erroneità del ragionamento del Giudice di primo grado.

In una strada ampia, infatti, la manovra di inversione richiede un maggior tempo di esecuzione, con conseguente possibilità, per il conducente del veicolo che procede nella corsia dedicata all’opposto senso di marcia, di avvistarla e mettere in atto le manovre di emergenza.

Infine, dalle risultanze del verbale d’intervento, risulta non corretto che il motoveicolo “avesse arrestato la sua corsa contro un albero”, poiché fu lo stesso conducente dell’automobile che nell’immediatezza del fatto dichiarava agli agenti: “Il conducente veniva sbalzato dal motociclo e lo stesso veniva trascinato sulla parte frontale del mio veicolo per poi essere sbalzato sul marciapiede. Il conducente rotolava sul marciapiedi per poi finire contro un albero di pino”.

Non è condivisibile, quindi, l’affermazione del concorso di colpa ritenuto dal primo Giudice, dovendosi, al contrario, attribuire l’intera responsabilità dell’incidente all’autoveicolo.

All’appellante deve essere, per tali ragioni, riconosciuto l’intero danno non patrimoniale quantificato in euro 183.871,40, comprensivo di danno non patrimoniale per postumi permanenti quantificati dal CTU nella misura del 16% , e patrimoniale per danni al motociclo, a cui va detratto l’importo versato a titolo di acconto dalla Compagnia assicuratrice pari a euro 68.433,35.

Considerata l’integrale soccombenza degli appellati, vengono poste a loro carico le spese del giudizio.

In conclusione, la Corte d’Appello, accoglie il gravame e in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiara il conducente dell’autoveicolo responsabile esclusivo del sinistro stradale e lo condanna, in solido con l’Assicurazione, al pagamento dell’intera somma riconosciuta previa detrazione dell’importo corrisposto a titolo di acconto dalla Compagnia.

Condanna, inoltre, i convenuti in solido, alla rifusione a favore dell’appellante delle spese di giudizio che liquida in euro 804,00 per esborsi e euro 8.200,00, oltre accessori di legge, per compensi d’avvocato.

Avv. Emanuela Foligno

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