I trattamenti praticati alla paziente conformemente alle linee guida e raccomandazioni risultavano inefficaci rispetto alle gravi condizioni cliniche di accesso al pronto soccorso (Corte d’Appello di Cagliari, Sez. distaccata di Sassari, sentenza n. 254 del 2 settembre 2020)

Il marito della paziente chiede all’Azienda Ospedaliera di Olbia il risarcimento del danno patrimoniale quantificato in euro 546.000,00. Con atto di citazione l’attore, in proprio e quale genitore esercente la potestà sul figlio minore, conveniva dinanzi al Tribunale di Tempio Pausania l’Azienda Sanitaria di Olbia , per chiederne la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti a causa del decesso della moglie conseguente a sepsi grave del tessuto miocardico e imputabile a responsabilità dei sanitari della struttura ospedaliera di La Maddalena che l’avevano avuta in cura in data 16 febbraio 2007 allorché alle ore 9.00 circa veniva accompagnata presso il Pronto Soccorso con febbre ed algie muscolo-scheletriche, dolori al torace e tosse.

Assumevano gli attori che la donna, nonostante le gravi condizioni di salute con le quali si presentava in ospedale, veniva  sottoposta ad esami inadeguati che ritardavano la diagnosi della patologia in atto e la adozione di una tempestiva e idonea terapia, talché ne era conseguito il decesso subito dopo il trasferimento della paziente nel reparto di rianimazione di Olbia, anche questo sopraggiunto in ritardo.

La causa veniva istruita in primo grado con CTU Medico-Legale, poi rinnovata, al cui esito il Tribunale condannava l’Azienda Ospedaliera al risarcimento del danno non patrimoniale e del danno patrimoniale relativo alle spese funerarie per complessivi euro 286.655,78.

Il primo Giudice, muovendo dal presupposto che si trattasse di un caso di sepsi grave del tessuto miocardico, evidenziava che l’attività strategica in ambito diagnostico/terapeutico adottata dai Sanitari fosse stata carente.

In particolare evidenziava il Tribunale che i Sanitari, non assumevano alcuna iniziativa efficace e in linea con le raccomandazioni del caso, omettendo di adottare le strategie rispondenti alle Linee Guida (radiogramma del torace, ecocardiogramma, emogasanalisi, esame delle urine, ripetizione delle indagini di laboratorio ed esecuzione di ulteriori più mirate, emocoltura, terapia antibiotica ad ampio spettro, etc…), che ove adottate avrebbero consentito di pervenire ad una tempestiva diagnosi del focolaio sepsigeno e avrebbero consentito di adottare un adeguato trattamento terapeutico (somministrazione di liquidi, inotropi e adeguata terapia antibiotica) di talché la paziente sarebbe rientrata in quella percentuale di sopravvivenza indicata dalla letteratura in casi similari (pari al 60%).

In definitiva, il Tribunale riteneva che tali omissioni causavano il decesso della paziente.

I congiunti della paziente appellano la decisione per errata determinazione del danno patrimoniale quantificato in euro 546,000,00 oltre interessi, rivalutazione e spese.

Si costituisce in appello l’Azienda Sanitaria eccependo la non corretta valutazione da parte del Giudice delle CTU espletate.

La Corte osserva che entrambe le CTU svolte in primo grado, seppur con esiti diametralmente contrapposti riguardo la responsabilità dei Sanitari e l’evitabilità dell’evento, traggono spunto da un dato condiviso emergente dagli atti, ossia la derivazione del decesso della paziente da sepsi poi evoluta in shock settico.

Tuttavia la prima CTU è inficiata da un approccio metodologico errato che rende non condivisibili le conclusioni.

Il vizio della CTU è quello di aver valutato la condotta dei Sanitari che avevano avuto in cura la donna muovendo da un’ipotesi diagnostica formulata a posteriori (“la paziente sulla base delle definizioni sopra riportate si presentava in ospedale con un quadro di SIRS sostenuto da una miocardite”) … , cioè individuando in primo luogo la miocardite come causa della morte (così come accertata a seguito di indagine sui tessuti provenienti dall’esame post mortem) e, di conseguenza vagliando la condotta dei medici intervenuti in un quadro di Sirs (risposta infiammatoria sistemica) evoluto in pochissime ore dall’ingresso in PS a shock settico, secondo le linee guida (quanto a terapia antibiotica, anche indicando due fonti risalenti al 2015 successive all’epoca degli eventi) presupponenti la conoscenza della natura infettiva del focolaio, quindi escludendo un’eziologia non infettiva e astraendo, nonostante il richiamo, dalla gravità del quadro clinico in concreto presentato dalla paziente all’ingresso in PS, già caratterizzato da sintomi di sepsi grave in rapidissima evoluzione verso lo shock settico.

In tale errato ragionamento il CTU  ha estrapolato, dai dati contenuti nella cartella clinica, “quelli sospetti della presenza di infezione del miocardio ed ha ricostruito quale avrebbe dovuto essere il corretto operato dei medici in presenza di sospetto di sepsi di natura infettiva sostenuta da miocardite, indicando quali esami strumentali diagnostici erano stati omessi (emocolture indagini di urino colture, indagini radiografiche del torace, approfondimenti come esecuzione di EAB e plussometria), per pervenire entro breve tempo (un’ ora) all’individuazione esatta del focolaio infettivo ossia la miocardite, piuttosto che di un focolaio infettivo diverso e quindi indicando quali trattamenti terapeutici e farmacologici mirati sarebbero stati più efficaci in ipotesi di sepsi di natura infettiva come quella sostenuta da una miocardite piuttosto che di sepsi da infezione urinaria, polmonare o addominale etc., giungendo a rilevare anche l’assenza di una corretta terapia in termini di somministrazioni di liquidi, di inotropi e di antibiotici, ed imputando ai sanitari anche un ritardo nel trasferimento in un centro di livello superiore che avrebbe consentito di seguire una diagnostica più evoluta e un trattamento più intensivo” .

In definitiva la prima CTU ha omesso di contestualizzare le modalità con le quali l’intervento dei sanitari è avvenuto e ha omesso di valutare il quadro clinico concreto al momento dell’arrivo della paziente al PS e al momento del suo ricovero nel reparto di Medicina che risultava già gravissimo e indicativo di una condizione compromessa e in rapida evoluzione ingravescente verso lo shock settico.

Invece,  tale situazione clinica della paziente veniva ben considerata dal secondo collegio peritale  che nell’elaborato -condiviso dalla Corte- evidenzia come ” l’intervento dei sanitari dell’Ospedale di La Maddalena, per quanto corretto e tempestivo fosse stato, non poteva interrompere l’inarrestabile progredire di un quadro patologico oramai in fase avanzatissima, quale quello di uno shock sino a quel momento non trattato, tal ché qualunque trattamento diagnostico terapeutico non avrebbe, con alto grado di probabilità, scongiurato il decesso della povera donna.”

“All’ingresso in reparto di Medicina alle ore 9.40 (un quarto d’ora circa dopo l’arrivo al pronto soccorso alle ore 9.25) l’esame obiettivo della paziente mostrava già una compromissione dello stato generale con disidratazione (mucose e lingua aride) e segni di ridotta ossigenazione periferica, mentre dagli esami ematochimici emergeva già una compromissione delle funzionalità vitali (renale, epatica e cardiaca con aumento dei valori rispettivamente di azotemia e creatininemia; dei valori delle transaminasi e della concentrazione nel siero degli enzimi epatici), cui era seguito un rapido aggravamento delle condizioni generali, in cui i valori pressori della paziente erano andati incontro a decremento mostrandosi refrattari alla terapia infusionale con NormosolR, NormosolM, soluzione fisiologica e Emagel R e alla somministrazione della dopamina RevivanR e del Metilprednisolone(urbasonR), ed anche la terapia antibiotica ad ampio spettro (con somministrazione di TargosidR, Zetamicin) era risultata inefficace – risulta obiettivamente supportato dalla brevissima sopravvivenza della donna, di solo 10 ore dal momento del ricovero, elemento quest’ultimo fortemente indicativo di una profonda e irreversibile compromissione delle funzioni vitali già al momento dell’ingresso in PS”.

La Corte evidenzia inoltre che dalla lettura della cartella clinica, a differenza di quanto sostenuto in sentenza e dalla prima CTU, non emergono inadeguate omissioni diagnostiche e terapeutiche che possano porsi come causa del decesso ormai conseguenza irreversibile dello stadio patologico avanzato.

Difatti, venivano eseguiti diversi esami ematici, esami elettrocardiografici ed al contempo, conformemente alle linee guida e raccomandazioni all’epoca dei fatti, veniva somministrata una terapia di supporto a base di antibiotici ad ampio spettro, isotropi e cortisone preceduta da somministrazione di liquidi, risultata del tutto inefficace a fronte del rapido aggravamento della paziente che quindi aveva condotto alla dimissione dall’ospedale con diagnosi di shock settico e con immediato trasferimento nel reparto di Rianimazione dell’Ospedale di Olbia ove a poche ore di distanza decedeva.

Rispetto alle gravi condizioni cliniche descritte, non valutate quale dato di partenza da parte della prima CTU,  è evidente che l’esecuzione di una emogasanalisi, la cognizione dell’esito del radiogramma toracico, la ripetizione degli esami di laboratorio già eseguiti o l’esecuzione di altri esami ulteriori come esame urine, emocoltura, l’esecuzione di EAB, plussometria etc., ovvero la somministrazione via endovenosa di terapia antibiotica, nel concreto non avrebbero comunque consentito la sopravvivenza della paziente come correttamente affermato dal secondo collegio peritale che ha formulato il proprio giudizio di assenza di causalità e di responsabilità in capo ai Medici.

Conseguentemente, osserva la Corte, la domanda degli attori andava respinta dal primo Giudice.

Considerata, dunque, l’assenza di responsabilità in capo ai Sanitari e alla Struttura viene rigettata ogni pretesa risarcitoria azionata in totale riforma della sentenza del Tribunale di Tempio Pausania.

Spese di giudizio di entrambi i gradi e delle CTU vengono integralmente compensate tra le parti.

Avv. Emanuela Foligno

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