L’infezione da Klebsiella Pneumoniae è conseguente agli interventi cui era stata sottoposta la paziente di sostituzione della valvola mitrale e successiva revisione  (Tribunale di Lecce, sentenza n. 1990 del 21 settembre 2020)

I congiunti della paziente deceduta citano a giudizio l’Azienda Ospedaliera di Lecce onde vederne accertata la responsabilità per il grave stato settico prolungato successivo a intervento chirurgico.

La causa viene istruita mediante CTU Medico-Legale e all’esito il Tribunale ritiene fondata la domanda avanzata.

Il Tribunale dà atto che a seguito della nota decisione 577/2008  la responsabilità del Medico nei confronti del paziente ha natura contrattuale e, quanto al riparto dell’onere probatorio, spetta all’attore provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia con l’allegazione di qualificate inadempienze, astrattamente idonee a provocare (quale causa o concausa efficiente) il danno lamentato, restando poi a carico del sanitario l’onere di dimostrare che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno.

Orbene, all’esito della CTU, integralmente condivisa dal Tribunale, il Collegio peritale  ha accertato che “.. può darsi per certo che la Klebsiella Pneumoniae è stata “selezionata” nella Terapia Intensiva dell’Ospedale; è altrettanto certo che essa ha avuto ruolo nel determinismo del decesso,…” , oltre che “la paziente presentava fattori di rischio per l’insorgenza delle infezioni correlate all’assistenza” .

La paziente decedeva il 24.7.2013 nel Reparto di Terapia Intensiva Cardichirurgica per “Multiple Organ Failure da sepsi “, ovvero uno “… shock cardiocircolatorio irreversibile conseguente a grave stato settico prolungato”.

Il 06.6.2013 fece accesso all’Ospedale di Manduria – dal quale venne immediatamente trasferita presso il nosocomio leccese – lamentando “… episodio prolungato di dolore toracico irradiato al braccio e associato a dispnea, insorto al domicilio durante la notte “……..” Esclusa quindi qualsiasi incidenza causale negativa sulle condizioni generali della paziente derivanti dalla mastectomia sinistra nel 1995 e dalla lobectomia polmonare sinistra nel 2000 – non presunta e rimasta indimostrata -, ed in difetto di indicazione di indici clinici che possano indurre a sospettare della integrità di esse al momento del ricovero, emerge altresì quale dato incontestato che la immunodeficienza nella quale la paziente successivamente incorse e versava il 15.6.2013 – all’epoca dell’insorgenza dello stato febbrile ascrivibile all’infezione da Klebsiella Pneumoniae – fu conseguente agli interventi cui era stata sottoposta il 12.6.2013 , di sostituzione della valvola mitrale a causa dell’accertata patologia cardiaca, e “… di revisione” , eseguita d’urgenza alle ore 21.50 dello stesso giorno onde rimediare al “sanguinamento postoperatorio” verificatosi (” …da intendersi quale complicanza prevedibile in assoluto, ma imprevedibile nel caso concreto”).”

“Né può insinuarsi alcun dubbio sull’irrilevanza nel giudizio di causalità dell’immunodepressione in cui la paziente versava al momento dell’infezione, poiché se è vero che “… il 90% degli eventi epidemici che si verifica in Ospedale interessa pazienti ricoverati in terapia intensiva, e la mortalità attribuibile a tali infezioni è altissima “, non è per colpa dell’inevitabile stato di defedazione in cui i pazienti in UTI versano a causa delle loro pregiudicate condizioni, anche conseguenti alle cure ricevute, ma dell’omesso incremento da parte della struttura cui essi si sono affidati per la tutela della loro salute delle misure di protezione allestite onde arginare detto maggior rischio, assolutamente prevedibile”.

Al riguardo la Struttura, sebbene onerata della dimostrazione di aver effettuato un’idonea profilassi ambientale e della strumentazione onde prevenire l’infezione, non ha allegato, né richiesto alcuna prova per addebitare l’insorgenza della complicanza ad un evento inevitabile nonostante le migliori cautele.

Inoltre le deposizioni testimoniali hanno confermato le gravissime condizioni di igiene della Struttura e le numerose omissioni nel trattamento dei pazienti ricoverati in terapia intensiva cardiochirurgica.

A ciò vi è da aggiungere, precisa il Tribunale, la discutibile tenuta della cartella clinica che depone nel senso di un aggravamento del giudizio di responsabilità, secondo il principio della Cassazione secondo il quale : “Per la ricostruzione delle vicende sanitarie ai fini di evincere la sussistenza o meno di responsabilità dei sanitari o della struttura, la cartella clinica ha un’incidenza che tuttavia non conduce automaticamente all’adempimento dell’onere probatorio da parte di chi adduce essere danneggiato, dovendosi al riguardo ritenere che l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il Giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente soltanto quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno”.

Pacifica, pertanto, la responsabilità della Struttura il Tribunale vaglia la richiesta risarcitoria da perdita del rapporto parentale invocata dagli attori.

Con l’applicazione delle Tabelle milanesi viene liquidato per ciascun convivente (coniuge e figli) la somma di euro 200.000,00 ciascuno e vengono riconosciute, inoltre,  le spese funebri nell’importo di euro 2.000,00.

In conclusione l’azienda Ospedaliera di Lecce viene condannata al pagamento di tali importi, oltre alle spese di giudizio e di CTU.

 Avv. Emanuela Foligno

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