È stato dichiarato illegittimo il sequestro preventivo disposto su un immobile della società acquistato ben due anni prima dalla presunta data della commissione del reato
La vicenda
Il Tribunale del riesame di Gorizia aveva rigettato la richiesta di riesame proposta nell’interesse del soggetto indagato, conto il decreto di sequestro preventivo disposto dal Gip dello stesso tribunale, ai fini della confisca diretta di un immobile di proprietà della società, di cui quest’ultimo era amministratore di fatto.
Secondo la prospettazione accusatoria la società aveva omesso di versare entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta mod. 770/2012 le ritenute dovute per un importo che superava la soglia di punibilità prevista dalla legge.
Contro tale decisone l’indagato ha proposto ricorso per cassazione deducendo che l’immobile sequestrato era stato acquistato l’anno precedente a quello in cui sarebbe stato posto in essere il reato e dunque, venendo a mancare il nesso di derivazione tra l’asserita condotta delittuosa e l’immobile oggetto del sequestro e/o le somme impiegare per acquistarlo, l’ordinanza impugnata che aveva ritenuto di confermare la confisca diretta del bene quale profitto di reato, sarebbe stata illegittima.
Il giudizio di legittimità
Il ricorso è stato accolto. In primo luogo i giudici della Terza Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 50434/2019) hanno chiarito che l’indagato, pur non formalmente titolare del bene in sequestro (di proprietà della società) può proporre il gravame solo se vanta un interesse concreto ed attuale all’impugnazione che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro.
Nel caso di specie, si trattava di immobile utilizzato dallo stesso quale casa di abitazione in forza di un contratto di locazione con la predetta società.
Quanto al merito, era emerso che l’immobile sequestrato era stato acquistato dalla società l’anno precedente alla data della presunta commissione del reato.
Ed invero, presupposto per il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto (nella specie, del reato di cui all’art. 10-bis d.lgs n. 74/2000 che per la giurisprudenza di legittimità coincide con l’importo delle ritenute non versate) è l’esistenza di un rapporto di diretta derivazione causale della commissione del reato.
La decisione
Nel caso in esame, hanno chiarito gli Ermellini – il reato contestato “essendo integrato da una condotta unisussistente, si realizza e si consuma con l’omissione del versamento che supera la soglia minima prevista alla scadenza del termine finale per la presentazione della dichiarazione annuale relativa al periodo d’imposta dell’anno precedente”; dunque il reato contestato si sarebbe consumato ben due anni prima dalla data di acquisto dell’immobile sequestrato. Difettava perciò, il nesso di derivazione causale tra le somme impiegate per l’acquisto e la commissione del reato.
Peraltro, in una recente sentenza le Sezioni Unite hanno chiarito che sotto il profilo strutturale il profitto del reato è costituito dal “lucro” cioè dal “vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato” (Sez. Un. n. 10208/2008). In sostanza, il “profitto del reato” è tale in quanto, e solo in quanto derivi causalmente dal reato medesimo.
Tanto è bastato per accogliere il ricorso e cassare con rinvio la pronuncia impugnata.
La redazione giuridica
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