Non si considera determinata da causa lavorativa una situazione di stress collegata al normale andamento dei rapporti lavorativi, personali e gerarchici dell’ambiente di lavoro (Tribunale di Rovigo, Sez. Lavoro, Sentenza n. 60/2021 del 16/03/2021- RG n. 289/2020)
Il lavoratore cita a giudizio l’Inail per vedere accertata la natura professionale della sindrome ansioso depressiva da stress.
Il lavoratore deduce di aver lavorato dal luglio 1980 quale magazziniere, inquadrato con effetto dal 1 luglio 1992 nel 5 livello – gruppo 3 del CCNL per l’Industria del Vetro e quindi promosso nel gruppo 2 dall’1.1.2000 con riconoscimento anche di un “superminimo” incrementato dal 1.7.2002 , e di avere svolto in quegli anni mansioni di vice responsabile del magazzino con il compito di provvedere, oltre che al carico -scarico del materiale, anche alla preparazione delle bolle, riordino materiale e controllo delle scorte sia nel magazzino che nei reparti e dunque operando sia in magazzino che in ufficio.
A partire dall’anno 2007, dopo alcune modifiche organizzative, la situazione lavorativa iniziava a presentare alcune criticità, rapportarsi con nuovi colleghi, privi di esperienza, non sempre in grado di svolgere correttamente le loro mansioni e dovendo egli fronteggiare anche un mutamento dell’atteggiamento dell’azienda nei suoi confronti, che portava all’avvio di diversi procedimenti disciplinari nei suoi confronti, con diverse contestazioni di addebito (a partire dal 22.09.2008, 23.09.2008, 8.1.2009, 22.01.2009, 10.02.2009) per svariati fatti, sino ad arrivare in data 9 marzo 2009 al licenziamento per giusta causa per avere minacciato i colleghi addetti al magazzino al termine di una discussione.
Il ricorrente impugnava il licenziamento e, successivamente, sottoscriveva il verbale di conciliazione sindacale che prevedeva l’accettazione di reintegro nella nuova collocazione presso il Reparto Fabbricazione con orario come turnista e conseguente inquadramento come Operaio E2.
Anche in questo reparto l’ambiente era sfavorevole, dovendo svolgere mansioni pesanti, tanto da dover subire un intervento chirurgico per ernia inguinale nell’aprile dello stesso anno, e doveva altresì interagire con colleghi di lavoro apertamente ostili che non solo si rifiutavano di collaborare con lui nell’esecuzione del lavoro disattendendo le sue direttive, ma lo offendevano e insultavano pesantemente, tanto che tra settembre e novembre 2009 trovava scritte offensive sugli armadietti all’interno dell’azienda, che venivano anche imbrattati e danneggiati, e subiva atti vandalici all’abitazione e alla macchina, fatti per i quali aveva presentato regolari denunce ai Carabinieri.
A causa del clima conflittuale all’interno dell’azienda con i colleghi e con i responsabili iniziava a soffrire di stress lavorativo, con episodi di vertigine, di orticaria e lesioni da grattamento, tanto da dover ricorrere a cure ospedaliere, e si sottoponeva anche a cure psichiatriche presso l’Ospedale, per un quadro sintomatologico compatibile con la diagnosi di “Depressione Maggiore” conseguente ad una problematica, difficile e reiterata situazione lavorativa.
Successivamente, in data 21.12.2015, al culmine di un periodo di forte tensione per il continuo ricevimento di richiami e contestazioni di addebito legate alla produzione, il ricorrente accusava un malore e veniva condotto al Pronto Soccorso ove veniva formulata la diagnosi di “precordialgie da stress “.
Rimaneva assente dal lavoro per circa 6 mesi e gli veniva riconosciuta una invalidità civile del 34% per sindrome ansioso depressiva reattiva.
Rientrato in azienda, veniva assegnato dal 21.07.2016 al reparto Scelta e Confezionamento ed in data 12.12.2016 presentava denuncia di malattia professionale per “disturbo depressivo persistente accompagnato da un disturbo di adattamento di verosimile origine professionale”, che veniva respinta dall’Inail in quanto “gli accertamenti effettuati per il riconoscimento della malattia professionale consentono di escludere l’esistenza di nesso causale tra il rischio lavorativo cui è stato esposto e la malattia denunciata ” .
Il ricorrente, pertanto, deduce che la Circolare del 17 dicembre 2003 ha inserito le patologie ansioso depressive negli elenchi di cui al D.M. 10 giugno 2014 (GU, 12 settembre 2014 , n. 212), trattandosi di malattie professionali non tabellate, il cui accesso alla tutela è subordinato alla dimostrazione, in termini di ragionevole certezza o di rilevante grado di probabilità, della loro connessione causale con lo stress lavoro – correlato.
Si costituisce in giudizio l’INAIL evidenziando che la malattia lamentata dal ricorrente era non tabellata e dunque il lavoratore doveva dimostrare l’esistenza della stessa, il nesso di causa tra rischio lavorativo e patologia e provare anche che la condotta datoriale fosse stata illegittima ed inadempiente e dunque causa efficiente della patologia lamentata.
La causa viene istruita mediante l’assunzione di prove testimoniali.
Il Tribunale evidenzia, che se è vero che la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che in tema di malattia professionale, la tutela assicurativa Inail va estesa ad ogni forma di tecnopatia, fisica o psichica, che possa ritenersi conseguenza dell’attività lavorativa, sia che riguardi la lavorazione che l’organizzazione del lavoro e le sue modalità di esplicazione, anche se non compresa tra le malattie tabellate, o tra i rischi specificamente indicati in tabella, il lavoratore deve dimostrare soltanto il nesso di causalità tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata.
Tale orientamento, in realtà, si limita ad affermare che anche le patologie di natura psichica possono ricevere la tutela indennitaria da parte dell’Inail, laddove sia dimostrato il nesso di causa delle stesse con la lavorazione patogena.
Ma, al fine di dare sostanza all’obbligo datoriale di farsi carico delle situazioni determinanti stress nell’ambiente di lavoro, ed al conseguente obbligo dell’Istituto assicuratore pubblico, è intervenuta la Circolare n. 71 del 2003, la quale ha precisato che all’interno della causa lavorativa di una patologia va ricompresa anche quella riconducibile all’organizzazione aziendale delle attività lavorative, sicché rilevano situazioni di marginalizzazione dall’attività lavorativa, di svuotamento delle mansioni, di mancata assegnazione di attività, di ripetuti trasferimenti ingiustificati (ed altre espressamente indicate nella circolare), mentre risultano esclusi dal rischio tutelato i fattori organizzativi/gestionali legati al normale svolgimento del rapporto di lavoro (nuova assegnazione, trasferimento) e le situazioni indotte dalle dinamiche psicologico relazionali comuni sia agli ambienti di lavoro che a quelli di vita (conflittualità interpersonali, difficoltà relazionali) che sono invece riconducibili a condotte soggettive.
La Circolare menzionata, (annullata poi dal TAR del Lazio con sentenza n. 5454 del 4.7.2005), ha comunque posto definizioni e limiti delle situazioni rilevanti al fine del determinarsi di uno stress lavoro correlato indennizzabile, che correttamente l’Istituto ha individuato in situazioni di patologica organizzazione aziendale delle attività lavorative, non potendosi ritenere determinata da causa lavorativa una situazione di stress collegata al normale andamento dei rapporti lavorativi, personali e gerarchici all’interno dell’ambiente di lavoro.
I testimoni hanno riferito di situazioni coinvolgenti il ricorrente che comunque appaiono rientranti nella fisiologia delle relazioni lavorative.
In particolare, uno dei testi: “(…) Ho lavorato con il ricorrente per più di tre mesi… assegnato provvisoriamente per tre mesi al magazzino, dove lavorava il ricorrente, da fine giugno 2008, successivamente non ho più lavorato insieme al ricorrente. (…)..In magazzino eravamo pochi, io e il ricorrente lavoravamo più di dieci ore quasi tutti i giorni, ovvero nei tre mesi in cui io ero lì abbiamo lavorato solo quindici giorni su turno normale, lavoravamo più ore perché c’erano meno addetti del necessario, stavano facendo una riorganizzazione del personale, noi eravamo in tre sicché quando uno dei tre andava in ferie gli altri due dovevano supplirlo. Dopo che io sono andato via dal magazzino, ho saputo dal ricorrente e anche l’ho visto andando a prendere del materiale che erano aumentati gli addetti al magazzino e la situazione era migliorata. (…)….Era un momento critico, le ore erano tante ma facevamo quello che potevamo, non abbiamo fatto alcuna rimostranza formale perché ci avevano avvisato che si trattava di una situazione momentanea, che si sarebbe risolta. (…)……C’era un soggetto che non ascoltava quello che il ricorrente gli diceva, non sistemava bene le cose, il ricorrente era il responsabile, quando io sono entrato c’era un attrito tra i due, il ricorrente lo richiamava ma l’altro a volte ascoltava e a volte no…….Durante i tre mesi in cui ho lavorato in magazzino la situazione è un po’ migliorata, non so dire se ci fossero attriti personali (…) ADR: il ricorrente segnalava alla titolare che il collega non gli obbediva, ma gli hanno detto di portare pazienza perché stavano riorganizzando tutto, il ricorrente era il responsabile provvisorio del magazzino. (…)”.
Secondo il Tribunale, da tali dichiarazioni, deve rilevarsi che la situazione di aggravio straordinario di attività del magazzino verificatasi nell’anno 2008 – che potrebbe apparire rilevante in quanto sintomo di disorganizzazione aziendale – non è neppure stata indicata dal ricorrente quale causa dell’insorgenza della sua patologia.
Il ricorrente ha invocato la causa dell’insorgenza delle patologie nel doversi rapportare con nuovi colleghi, privi di esperienza, non sempre in grado di svolgere correttamente le loro mansioni, e nel mutato atteggiamento dell’azienda nei suoi confronti.
Orbene, posto che uno dei testi ha riferito di un atteggiamento ingiurioso non solo verso il ricorrente, ma anche verso altri colleghi, da parte di uno specifico collega, deve comunque rilevarsi che nessuna delle circostanze descritte può ritenersi parte di un assetto lavorativo dolosamente o colposamente organizzato per emarginare o mortificare il ricorrente, il quale certamente ha patito dei conflitti insorti sul posto di lavoro, ma senza che di ciò si possa attribuire la causa a condizioni “patogene ” dell’ambiente medesimo.
Del resto, tale conclusione si rinviene anche nella relazione di CTP di parte ricorrente, laddove emerge che “ i disturbi dell’adattamento dell’attore sono sorti nel 2009 in seguito a problematiche sul lavoro, alla perdita del ruolo e di grado (da impiegato a operaio)… ” e come vi è stato un aggravamento della sintomatologia ” in concomitanza con problematiche emerse nel posto di lavoro “, ha evidenziato come la depressione della quale il ricorrente soffre sia “correlabile alla condizione di stress lavorativo e alle condotte vessatorio e squalificanti accadute sul posto di lavoro” , nella quale il ricorrente pativa per ” il sentirsi diverso, così cambiato rispetto al “prima” e soprattutto vittima di offese e vessazioni tramite modalità inaccettabili per ciò che concerne il rispetto della persona, penalizzato a causa di ciò, nella sua immagine sociale e professionale, colpito nelle attività che danno un senso e una dignità alla vita di una persona, ha innescato in lui vissuti di profonda incertezza e inadeguatezza, con ricaduta negativa anche sul versante dell’efficienza motivazionale, del rapporto con il mondo esterno e delle performances psico – fisiche in senso lato “.
Ne deriva che quanto lamentato dal ricorrente, si trova al di fuori di una causalità connessa all’organizzazione del lavoro nel quale il predetto operava, sicché la domanda svolta in tal senso deve ritenersi infondata.
La particolarità della vicenda trattata e la scarsità di precedenti decisioni in materia impongono l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.
In conclusione, il Tribunale di Rovigo, in funzione di Giudice del Lavoro, rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese di lite tra le parti.
Avv. Emanuela Foligno
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