Respinto il ricorso di un motociclista che chiedeva di essere risarcito dal Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada per un sinistro stradale con una vettura rimasta sconosciuta a cui, tuttavia, non aveva fatto riferimento nelle dichiarazioni rese ai medici in Pronto soccorso dopo l’incidente

Il certificato medico è atto pubblico che fa fede fino a querela di falso sia della provenienza dal pubblico ufficiale che lo ha formato sia delle dichiarazioni al medesimo rese. Lo ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza n.16030 pronunciandosi sul ricorso di un centaura che aveva agito in giudizio per ottenere dal Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada il risarcimento dei danni subiti in occasione di un sinistro stradale occorso mentre era alla guida di un motociclo. Nello specifico  l’uomo affermava di essere stato urtato da un’auto di colore chiaro, proveniente da tergo ed a velocità sostenuta, che lo aveva fatto sbandare e finire violentemente contro il muro di cinta della carreggiata. Il conducente dell’auto rimasta sconosciuta si sarebbe poi allontanato senza prestare soccorso rendendosi irreperibile.

La pretesa era stata però respinta dai Giudici del merito. La Corte di appello, in particolare, aveva ritenuto il certificato medico rilasciato dall’ospedale un atto pubblico facente piena prova fino a querela di falso e che, pertanto, esso facesse fede delle dichiarazioni rilasciate dalla vittima nell’immediatezza dell’incidente e, in assenza di querela di falso, privasse di riscontro la circostanza da lui riferita, cioè di essere giunto in ospedale privo di sensi.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte il motocilista ribadiva di essere arrivato al pronto soccorso in stato di incoscienza o comunque in stato confusionale, perciò non avrebbe potuto rilasciare dichiarazioni ai sanitari del nosocomio. A supporto di tale circostanza adduceva la relazione del perito, cui avrebbe riferito di non essere stato cosciente fino all’arrivo all’ospedale, e la mancata sottoscrizione delle dichiarazioni riportate nel referto sanitario. Denunciava, inoltre, la sentenza impugnata per avere attribuito valore confessorio alle dichiarazioni raccolte nel referto medico, in assenza di prova della consapevolezza e volontà da parte sua di ammettere fatti a sé sfavorevoli e favorevoli alla controparte ed in assenza di ogni forma di controllo della corrispondenza tra quanto verbalmente espresso e quanto trascritto dall’accertatore.

I Giudici Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto di non aderire alle argomentazioni proposte, respingendo il ricorso in quanto infondato.

La Corte d’Appello, infatti, con una motivazione immune dalle censure, aveva dato rilievo alla dinamica del sinistro stradale contenuta nel certificato redatto dai medici del pronto soccorso e ricostruita sulla scorta delle dichiarazioni che il motociclista aveva reso loro nell’immediatezza del fatto, allorché aveva omesso di menzionare la presenza di un’auto sconosciuta e aveva riferito di essere sbandato in curva mentre guidava il motorino.

Le dichiarazioni rese dal ricorrente, dunque, erano entrate a far parte del compendio probatorio attraverso il certificato del presidio medico del pronto soccorso, a cui era stata riconosciuta, in sintonia con la giurisprudenza, natura di atto pubblico fidefacente, sulla base del rilievo che esso fosse caratterizzato – oltre che dall’attestazione di fatti appartenenti all’attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione – dalla circostanza che fosse destinato ab initio alla prova, cioè fosse precostituito a garanzia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell’esercizio di una speciale funzione certificatrice.

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