Incapacità a testimoniare in caso di sinistro stradale (Cass. Civ. S.U., 6 aprile 2023, n. 9456).
Le S.U. si pronunciano sull’incapacità a testimoniare e sulla nullità della testimonianza.
La questione posta al vaglio delle Sezioni Unite riguarda l’art. 246 c.p.c. che disciplina la incapacità a testimoniare nel procedimento civile.
Le S.U. analizzano l’istituto della incapacità a testimoniare di tutto il percorso processuale: dalla eccezione di incapacità, all’eccezione di nullità della testimonianza comunque assunta fino alla precisazione delle conclusioni.
La vicenda trae origine dalla richiesta di risarcimento danni derivanti da sinistro stradale. Dei due testimoni della parte danneggiata l’uno veniva ritenuto inattendibile, l’altro incapace di testimoniare. Conseguentemente, i Giudici di merito respingevano le domande risarcitorie per mancanza di prova.
La questione posta all’attenzione delle S.U.: “l’erroneità della affermata incapacità della teste, pone la questione della sorte dell’eccezione di incapacità a testimoniare, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., quando la parte, che l’abbia tempestivamente sollevata, ometta poi, di formulare l’eccezione di nullità della testimonianza una volta che essa sia stata ammessa ed assunta, ai sensi dell’art. 157, comma 2, c.p.c.”.
La nullità della testimonianza resa da persona incapace ai sensi dell’art. 246 cpc, in quanto titolare di un interesse idoneo a legittimare la sua partecipazione al giudizio, deve essere eccepita subito dopo l’espletamento della prova, ai sensi dell’art. 157, comma 2, c.p.c., o al più nell’udienza successiva quando il difensore della parte interessata non sia stato presente all’assunzione del mezzo istruttorio, con conseguente sanatoria mancanza dell’eccezione.
La testimonianza resa da incapace viene considerata come affetta da nullità relativa dalla giurisprudenza e dottrina maggioritaria, pur essendoci una tesi dottrinale minoritaria secondo cui le deposizioni assunte in violazione del divieto di cui all’art. 246 c.p.c. non sono nulle ma inefficaci, così da non poter essere utilizzate dal giudice ai fini della decisione.
Da qui la questione di verificare l’attualità e l’effettiva portata del principio secondo cui l’incapacità a testimoniare, prevista dall’art. 246 c.p.c., determina la nullità della deposizione e non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata a farla valere al momento dell’espletamento della prova o nella prima difesa successiva, restando altrimenti sanata ai sensi dell’art. 157 comma 2 c.p.c., senza che la preventiva eccezione di incapacità a testimoniare possa ritenersi comprensiva dell’eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante l’opposizione.
Le S.U. osservano:
“l’art. 246 c.p.c., secondo cui non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio, viene tradizionalmente considerato espressione del principio nemo testis in causa propria, principio di origine romanistica: esso afferma l’incompatibilità della posizione processuale di parte con quella di testimone, in forza di una valutazione compiuta a priori, poiché la confusione tra i due ruoli inficia la credibilità del teste, perché privo della condizione di terzietà che ne caratterizza, o meglio ne caratterizzerebbe, la figura. In generale, l’incapacità a deporre prevista dall’art 246 si verifica solo quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell’interesse ad agire di cui all’art. 100, tale da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui è richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia in discussione, non avendo, invece, rilevanza l’interesse di fatto a un determinato esito del processo – salva la considerazione che di ciò il giudice è tenuto a fare nella valutazione dell’attendibilità del teste – né un interesse, riferito ad azioni ipotetiche, diverse da quelle oggetto della causa in atto, proponibili dal teste medesimo o contro di lui, a meno che il loro collegamento con la materia del contendere non determini già concretamente un titolo di legittimazione alla partecipazione al giudizio (Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 2018, n. 167).”
Ragionando in tal senso, nei procedimenti sulla responsabilità civile derivante da circolazione stradale, il terzo trasportato è incapace a deporre, ai sensi dell’art 246 cpc, quando abbia riportato danni in conseguenza del sinistro (Cass. civ., sez. VI, 17 luglio 2019, n. 1912).
Le S.U. precisano che l’indubbia rilevabilità della nullità su eccezione di parte e non di ufficio, deve seguire una precisa sequenza: è necessaria la preventiva eccezione di incapacità, nel caso in cui il Giudice ammetta egualmente la testimonianza, la prova è nulla. L’eccezione di nullità va attentamente coltivata in sede di precisazione delle conclusioni.
La parte, in sede di precisazione delle conclusioni, ha l’onere di reiterare in modo specifico le istanze istruttorie già rigettate, senza limitarsi ad un richiamo generico agli atti difensivi, pena l’implicito abbandono e l’impossibilità di riproporle, anche nei successivi gradi di giudizio.
Dunque, l’eccezione di nullità per incapacità a testimoniare va espressamente riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, altrimenti ritenendosi rinunziata.
Avv. Emanuela Foligno
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