Il danneggiato, terzo trasportato a bordo di un veicolo, aveva già percepito dall’Inail il corrispettivo per l’infortunio in itinere
Aveva convenuto in giudizio l’assicuratore, il conducente e il proprietario della vettura sulla quale aveva viaggiato come terzo trasportato, nonché il conducente, il proprietario e l’assicuratore del mezzo antagonista, chiedendo che fossero condannati in solido al risarcimento dei danni subiti nell’incidente stradale avvenuto tra i due mezzi.
Espletate due c.t.u. e svolte prove orali, il Tribunale aveva stabilito che la responsabilità dell’incidente fosse da ricondurre a carico esclusivo del conducente del veicolo a bordo del quale viaggiava il danneggiato, condannandolo al pagamento della somma di euro 135.500 a titolo di danno biologico e morale, nonché di euro 450 a titolo di spese mediche, con detrazione dell’eventuale provvisionale corrisposta, con il carico delle spese di lite.
La Corte territoriale, in parziale accoglimento del ricorso presentato dalla compagnia assicurativa, aveva rideterminato in euro 45.900 la minore somma dovuta all’attore, confermando nel resto la pronuncia del Tribunale.
Per il Collegio distrettuale, il Giudice di prime cure non aveva considerato che il danneggiato avesse percepito dall’INAIL, nel corso del giudizio, la somma di euro 106.007,53, trattandosi di infortunio in itinere.
Detta somma andava detratta dal risarcimento complessivo, tenendo comunque presente che rimanevano escluse dalla compensazione il danno morale e le somme riconosciute per inabilità temporanea totale e parziale. Dalla somma risultante dopo dette operazioni di scomputo doveva essere detratto il solo acconto di euro 40.000, mentre non poteva essere accolta l’ulteriore richiesta di condanna dell’attore alla restituzione di quanto asseritamente percepito dalla società di assicurazione, “in difetto di valida ed efficace prova circa eventuali ulteriori somme versate” in esito al primo giudizio.
Nel rivolgersi alla Suprema Corte, la Compagnia assicurativa sosteneva di aver corrisposto alla controparte prima la somma di euro 20.000 a titolo di provvisionale e poi la somma di euro 125.008 a mezzo di assegno del 27 ottobre 2008. Nonostante tale richiesta, la Corte di merito avrebbe omesso in dispositivo ogni decisione sul punto, limitandosi in motivazione a sostenere che di tali versamenti non vi sarebbe prova. Inoltre eccepiva che la Corte d’appello avrebbe dovuto considerare, nel pronunciare la sentenza di condanna, i versamenti già compiuti a titolo di provvisionale e di esecuzione della sentenza di primo grado.
Gli Ermellini, con l’ordinanza n. 6553/2021, hanno effettivamente ritenuto fondate le doglianze proposte.
Per la Cassazione, infatti, la stessa sentenza impugnata dava conto, nel trascrivere le conclusioni rassegnate dalle parti, che l’appellante aveva chiesto che l’attore fosse condannato “alla restituzione di quanto percepito, sia in via di acconto sia a seguito della esecuzione della sentenza di primo grado o, in subordine, alla restituzione della somma pagata in eccesso rispetto a quanto effettivamente dovuto”. Nel supportare tale domanda con le necessarie prove documentali, la società assicuratrice aveva dedotto di aver corrisposto al danneggiato dapprima la somma di euro 20.600 a titolo di provvisionale e, successivamente, quella di euro 125.008 in esecuzione della sentenza di primo grado, a mezzo di un assegno emesso in data 27 ottobre 2008. La Corte d’appello, però, nell’esaminare il merito dell’intera vicenda, dopo aver dato atto che l’attore aveva percepito, a titolo di danno biologico, una somma maggiore di quella dovuta — e tanto in conseguenza di quanto a lui versato dall’lNAIL per l’infortunio in itinere — aveva concluso nel senso che il credito residuo del danneggiato ammontava ad euro 45.900, che doveva essere maggiorato di rivalutazione ed interessi secondo i noti criteri applicabili in materia. Da tale credito doveva essere sottratta la somma di euro 40.000 percepita a titolo di acconto, mancando invece ogni prova di un versamento ulteriore da parte della società di assicurazione in esecuzione della sentenza di primo grado.
Tale conclusione dimostrava però – a detta dei Giudici del palazzaccio – che la Corte non avesse neppure esaminato la questione dell’ulteriore versamento che la società di assicurazione sosteneva di aver effettuato in esecuzione della sentenza di primo grado, individuando con precisione la data dell’assegno. E poiché la sentenza del Tribunale portava la data del 19 settembre 2008, la circostanza del pagamento della somma di euro 125.008 in data 27 ottobre 2008 si palesava come non irragionevole, dal momento che era coerente con la tempistica processuale.
La Corte d’appello, invece, si era limitata a fornire una risposta generica circa la mancanza di prova, senza dire nulla di preciso in ordine all’assegno di cui si parlava nell’atto di appello; la sentenza impugnata, inoltre, aveva continuato a ribadire che la ricorrente aveva versato un acconto di curo 40.000 mentre la stessa società assicuratrice aveva chiarito di aver pagato a quel titolo soltanto euro 20.600 (dichiarazione sfavorevole alla parte che l’aveva compiuta, la quale denotava un atteggiamento di sostanziale correttezza).
La redazione giuridica
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