La vittima, dopo avere riportato una ferita alla gamba causata da una catena, il 3 marzo 2014 si era recata presso il Pronto Soccorso di Desio, facente capo all’ASST di Vimercate. Qui il medico, all’esito delle domande di prassi, l’aveva medicata e suturata previa anestesia locale. Inoltre disponeva, come da referto, la “regolarizzazione della posizione antitetanica al distretto ASL” poiché, non riuscendo a farsi comprendere nella lingua italiana, e non riuscendo a ottenere il necessario consenso informato, si era astenuto dalla relativa somministrazione, che avveniva il giorno seguente presso l’ASL di Monza e Brianza ma senza la contestuale terapia immunoglobulinica, necessaria a evitare l’infezione tetanica infatti intervenuta nelle giornate ancora a seguire, con significativa invalidità permanente.
La vicenda giudiziaria
Il Tribunale di Monza accoglie la domanda sottolineando che non erano risultati problemi per l’assistenza di persone straniere in relazione a difficoltà linguistiche, ferma la necessità del loro superamento al fine di adempiere all’ordinaria prestazione medica, consistente nella completa profilassi del caso.
La Corte di appello di Milano, invece, osserva che, a fronte dello specifico fattore di rischio di shock anafilattico, il medico del Pronto Soccorso, non avendo potuto ottenere il consenso informato dalla paziente, nonostante tentativi posti in essere per quasi un’ora cercando pure di sollecitarla a farsi raggiungere da parenti, sia per incomprensioni linguistiche, sia perché la stessa era affetta da decadimento cognitivo, aveva invitato quest’ultima alla regolarizzazione della vaccinazione, avvenuta in modo incompleto il giorno dopo per indisponibilità delle immunoglobuline presso l’ASL interessata, sicché non era possibile imputare il preteso inadempimento causalmente colposo, e l’omesso trattamento. Doveva invece ritenersi, in concreto, una libera scelta della vittima.
Il ricorso in Cassazione
Tale decisione viene impugnata in Cassazione, che accoglie (Cassazione civile, sez. III, 16/08/2024, n.22888).
Secondo la danneggiata, la Corte di appello avrebbe errato non solo sovrapponendo il profilo causale e quello colposo, ma soprattutto motivando in maniera contraddittoria, perché da un lato era stata affermata l’impossibilità per ragioni linguistiche, di ottenere il consenso informato, e dall’altro lato era stata affermata invece la pratica, sino all’anestesia, di altre cure che imponevano un dialogo con il medico, finendo poi per addebitare alla paziente il ritardo, ovvero la scelta di non completare la profilassi.
Ed ancora, la Corte di appello avrebbe omesso l’esame, e comunque, la motivazione sulle basi istruttorie dell’apodittica affermazione inerente ai tentativi svolti dal medico di PS di ottenere dalla paziente un consenso informato, e, al contrario, sulle risultanze dei referti medici da cui si evinceva che la stessa avrebbe potuto essere messa nelle condizioni di comprendere, come avvenuto, il giorno successivo 4 marzo 2014, presso l’ASL di Monza e Brianza, in occasione della somministrazione dei vaccini antitetanico e antidifterico, all’esito della quale era stato dato atto, nella refertazione prodotta dalla ASST , delle informazioni date e del consenso informato acquisito senza traduttore linguistico, così come del resto imposto pure ai fini dell’anestesia locale praticata il giorno prima.
Tutte le censure sono fondate
La decisione della Corte di Milano è contraddittoria e del tutto carente su punti potenzialmente decisivi.
Non si comprende come sia stato possibile dare atto di un “dialogo” tra paziente e medico quanto alle cure mediche poste in essere sino all’anestesia, presso il PS dell’Ospedale di Desio, necessitanti o meno di uno specifico consenso informato, per poi concludere per “l’assoluta impossibilità di farsi comprendere anche con un linguaggio semplice riguardo alla necessità di somministrazione di un vaccino”, al fine di prevenire gravi patologie, se non esiti peggiori. Un’assoluta impossibilità di farsi comprendere avrebbe logicamente dovuto impedire pressoché ogni cura, invece è la stessa Corte di Milano che discorre, invece, di un dialogo preliminare svolto.
L’addebito di condotta omissiva alla paziente
Egualmente non si comprende la logica sottesa all’addebito di condotte omissive della paziente, a fronte delle raccomandazioni date riguardo alla generica indicazione di “regolarizzazione della posizione antitetanica”, quando al contempo si concluda per una “impossibilità di farsi capire” con riferimento alla necessità di somministrare un medicinale essenziale per evitare conseguenze gravi, il tutto concludendo poi nel senso che, stanti i consigli, ricevuti sia il 3 che il 4 marzo 2014, si sarebbe trattato di “libera scelta”, quindi consapevole, della vittima. Tale conclusione si scontra con il consenso informato pacificamente acquisito in occasione della vaccinazione effettuata il 4 marzo 2014, quale infatti documentato dalla stessa ASL.
Ciò significa che esisteva, comunque, la possibilità di farsi capire dalla paziente, se del caso chiamando familiari. A quest’ultimo riguardo non si comprende da quale dato istruttorio la Corte di Milano desume che il medico di PS avrebbe provato a chiedere alla paziente di farsi raggiungere dai familiari senza riuscire a farsi capire neppure con riferimento a tale semplice comunicazione, e perché non avrebbe avuto rilievo il tentativo di contattarli diversamente, se possibile, dopo l’avvenuta identificazione della paziente.
Secondo la tesi del medico di PS, la ragione dell’impossibilità di acquisire il consenso informato sarebbe derivata dall’accertato decadimento cognitivo della paziente, tuttavia si tratta di elemento che non incide sulle carenze evidenziate, sia perché resta da conciliare, come non accaduto, con il fatto del consenso informato acquisito il giorno seguente per la vaccinazione svolta, sia perché genericamente riferito dalla Corte di appello come “compromissioni logico cognitive” senza alcuna specificazione del perché impedissero, in quel momento, anche di comprendere un’informazione trasmissibile in modo semplificato ma compiutamente utile da parte del medico.
In questo quadro non è possibile decifrare la logicità della motivazione resa dai Giudici di secondo grado.
Avv. Emanuela Foligno