In caso di soppressione del posto di lavoro per riorganizzazione aziendale, è legittimo il licenziamento se il datore di lavoro dimostri di aver assolto l’onere di repêchage, offrendo al dipendente, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori rispetto a quelle di inquadramento.

La vicenda

La Corte d’Appello di Roma aveva confermato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato dalla società datrice di lavoro a un proprio dipendente a causa della riorganizzazione aziendale e della soppressione del posto del lavoratore per esternalizzazione dell’attività da quest’ultimo svolta. La società aveva adempiuto all’onere di repêchage avendo offerto al lavoratore, nell’incontestata indisponibilità di posizioni del suo livello di inquadramento, un posto per mansioni inferiori con adeguamento del contratto in pejus.

La Corte di Cassazione (sentenza n. 29009/2019) ha confermato la pronuncia della corte capitolina ricordando che “in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è sufficiente, per la legittimità del recesso, che le addotte ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette a una migliore efficienza gestionale ovvero a un incremento di redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa: non essendo la scelta imprenditoriale, che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro, sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, in ossequio al disposto dell’articolo 41 Cost.”.

L’obbligo di repêchage

Quanto all’onere di repêchage, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo a causa della soppressione del posto cui era addetto il lavoratore, il datore ha l’onere di provare non solo che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa per l’espletamento di mansioni equivalenti, ma anche, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, di aver prospettato al dipendente, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale.

L’articolo 2103 c.c., deve, infatti, essere interpretato “alla stregua del bilanciamento del diritto del datore di lavoro a perseguire un’organizzazione aziendale produttiva ed efficiente e di quello del lavoratore al mantenimento del posto” (Cass. 19 novembre 2015, n. 23698).

La decisione

Di tali principi aveva fatto corretta applicazione la corte territoriale, la quale aveva accertato l’effettiva soppressione del posto di lavoro per esternalizzazione della attività e al tempo stesso, l’inesistenza di posti disponibili del livello di inquadramento professionale del ricorrente, con la conseguente, corretta offerta di una posizione di mansione inferiore, da quest’ultimo rifiutata. La decisione era pertanto insindacabile in sede di legittimità.

La redazione giuridica

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