Sorpasso con doppia striscia continua azzardato e pedone investito (Corte Appello Catanzaro, sez. II, 22/07/2022, n.881).
Sorpasso con doppia striscia continua e l’assenza di visuale sulla carreggiata provoca l’investimento del pedone.
Vengono citati a giudizio il proprietario/conducente della Smart e la relativa Assicurazione per sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali subiti a seguito del sinistro del 29.10.2012 e quantificati nella misura complessiva di euro 3.609.378,30.
Parte attrice (il tutore della danneggiata) deduceva che, in data 29.10.2012, alle ore 18:00 circa, la donna stava attraversando a piedi, sulle strisce pedonali, che giunta al centro della carreggiata, era stata violentemente investita dall’autovettura Smart la quale era in fase di sorpasso con doppia striscia continua.
A seguito dell’investimento veniva proiettata in avanti per oltre venti metri. L’urto provocava asportazione della milza, intervento alla testa con asportazione della calotta cranica dell’encefalo e di parte del cervello nonché alle gambe ed al braccio rimanendo in uno stato di coma vegetativo.
Nello specifico veniva diagnosticato: “Politrauma con frattura milza, stato di coma con trauma cranico commotivo ed ESA P.T. fratture craniche e sfenoidali, trauma chiuso toraco-addominale con versamento pericardio, sospette fratture gamba sinistra ed arto superiore sinistro, contusioni escoriate multiple”.
Seguiva stato di coma vegetativo.
Il primo Giudice accoglieva parzialmente la domanda e liquidava la complessiva somma di euro 613.594,62, a titolo di danni patrimoniali e non patrimoniali. Nello specifico ha riconosciuto un danno complessivo (danno non patrimoniale e danno patrimoniale) pari ad euro 1.652.196,25 (euro 1.311.720,00 + euro 7.000,00 + euro 333.476,25) da cui ha proceduto a detrarre gli importi erogati dalla compagnia assicurativa e trattenuti dall’attrice a titolo di acconto.
Ferma la responsabilità dei convenuti per il sorpasso con doppia striscia continua, il tutore legale della donna propone appello deducendo: l’erroneità della valutazione operata dal Tribunale in ordine allo stato di salute ed alla conseguente determinazione della percentuale di invalidità quantificata nella misura del 95%; l’erroneità della valutazione in ordine alla quantificazione della durata della invalidità temporanea, quantificata in primo grado, sulla base delle valutazioni del CTU, in 110 gg. di ITT e 150 gg. di ITP al 50%; l’applicazione della personalizzazione nella misura del 25%.
In estrema sintesi, e per quanto qui di interesse, l’appellante contesta: che il Giudice di prime cure erra nell’aderire totalmente alle risultanze della CTU e contestualmente erra nella sua decisione quando afferma che lo stato di salute della donna è uno stato di minima incoscienza, mentre in realtà versa in un vero e proprio stato vegetativo.
Deduce, sul punto, che “lo stato vegetativo, caratterizzato dall’assenza di responsabilità e coscienza dovuta a grave disfunzione degli emisferi celebrali, con sufficiente risparmio dell’encefalo e del tronco encefalico tale da preservare i riflessi neurovegetativi e motori ed il normale ciclo sonno veglia, ove si possono avere riflessi complessi, che inducono movimenti oculari, sbadigli, e movimenti involontari in risposta a stimoli dolorosi, ma non mostrano consapevolezza di sé stessi o dell’ambiente che li circonda’; che, invece ‘uno stato di minima coscienza, a differenza di uno stato vegetativo, è caratterizzato da alcune prove di consapevolezza di s e/o dell’ambiente, ed i pazienti tendono a migliorare, miglioramento che nel caso di specie non vi è assolutamente, visto che è lo stesso perito che dichiara una grave stabilità medica irreversibile”.
La censura è in parte fondata.
Preliminarmente la Corte do atto del passato in giudicato dei capi della sentenza non impugnati, ivi compreso l’an debeatur per il sorpasso con doppia striscia continua che causava il violento investimento della donna.
Ciò posto, il Giudice di prime cure, aderendo acriticamente alle valutazioni e conclusioni del proprio CTU, accertata la sussistenza delle lamentate lesioni e la loro certa riferibilità eziologica al sinistro in oggetto, ha ritenuto la donna affetta da ‘stato di minima coscienza’ con conseguente valutazione del danno biologico nella misura del 95%.
Tali conclusioni appaiono alla Corte solo in parte condivisibili.
Previa (impeccabile) illustrazione delle differenti condizioni patologiche di “stato di minima coscienza” e “stato vegetativo”, la Corte osserva che il C.T.U. (alle cui conclusioni il giudice di primo grado ha ritenuto di adeguarsi in toto) ritiene, in primo luogo, di poter qualificare la condizione patologica della donna quale stato di ‘minima coscienza’.
Tale valutazione medico-legale, secondo la Corte, seppur non supportata da adeguato apparato motivazionale (non avendo il C.T.U. fornito il ben che minimo dato oggettivo concreto per supportare tale sua conclusione), appare sostanzialmente corretta.
Dall’esame obiettivo condotto dal CTU sono emerse evidenze tali da ritenere sussistenti nel caso concreto alcune condizioni patologiche proprie e tipiche dello stato di minima coscienza., ciò in considerazione del fatto che la danneggiata “presenta movimenti di inseguimento con lo sguardo nell’emicampo destro”. Tale circostanza, è espressione sintomatica di una forma, anche minima, di consapevolezza propria e tipica dello stato di minima coscienza, assente nello stato vegetativo.
Infondate sono, pertanto, sul punto le deduzioni difensive; al contrario appaiono, invece, fondate le censure articolate in punto di quantificazione del danno biologico.
Posto che non sono riscontrabili margini di un miglioramento clinico (e che, anzi, la condizione patologica ‘in progressivo peggioramento’), è evidente che il mantenere anche solo un minimo di coscienza e di percezione della situazione soggettiva in un corpo ridotto in uno stato quasi vegetativo è un ulteriore indice di aggravio di uno stato prsico-fisico quasi annientato, se non del tutto distrutto.
Ed allora, in concreto, sia che si voglia parlare di ‘stato vegetativo’ sia che si voglia parlare di ‘stato di minima coscienza’, innegabile che le condizioni di salute della danneggiata sono tali da essere irrimediabilmente compromessa ogni forma di autonomia, anche minima, con devastante incidenza negativa su ogni aspetto della vita.
La valutazione del 100% prevista nella tabella per i casi in cui è residuato un cascame di validità biologica nasce dal presupposto medico legale che la perdita della salute non si identifica con la perdita della vita, ma, al contrario, la seconda può sussistere alla perdita della prima. In altre parole, la salute è tutelata come differente bene giuridico ed apprezzata in tale veste sotto il profilo medico legale.
Se quindi il punto di riferimento giuridico per il 100% è l’annullamento pressoché totale del bene salute, sotto il profilo medico-valutativo tale percentuale sussiste per tutte le condizioni menomative che annullano in concreto e permanentemente l’autonomia dell’individuo; punteggio che può essere attribuito nelle condizioni estreme in cui il soggetto abbia perso ogni capacità cognitiva e ogni forma di autonomia, anche minima, pur conservando i soli parametri vitali.
Ciò giustifica, ampiamente, pur mantenendo ferma la diagnosi di ‘stato di minima coscienza’, il riconoscimento di un danno biologico quantificabile in misura prossima al massimo, ossia nella misura del 99%.
La sentenza gravata deve, pertanto, essere riformata sul punto.
Avv. Emanuela Foligno
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