Non provato il nesso causale tra la cosa in custodia e la caduta della donna asseritamente causata da sostanza scivolosa sul pavimento dello stabilimento termale

L’art. 2051 cod. civ., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima; b) la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 cod. civ., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso; c) il caso fortuito, il quale può essere rappresentato da fatto naturale o del terzo, o dalla stessa condotta del danneggiato, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall’accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere; d) la condotta del danneggiato, il quale entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, comma primo, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.; e) ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro. Lo ha chiarito la Suprema Corte con l’ordinanza n. 36906/2021 pronunciandosi sul ricorso di una donna che aveva agito in giudizio nei confronti della società gestrice di uno stabilimento termale per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti per essere caduta a causa di una sostanza scivolosa sul pavimento, uscendo dalla cabina idromassaggio del reparto di fangobalneoterapia, rovinando in spaccata a terra, nonostante indossasse gli zoccoli antiscivolo.

I Giudici del merito avevano rigettato la domanda ritenendo non provato il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso; in particolare, la Corte territoriale aveva osservato che la descrizione del fatto posta a base della domanda era smentita dal referto di pronto soccorso dal quale si evinceva che la paziente aveva detto di essere scivolata all’interno dello stabilimento senza però riferire della presenza di alcuna sostanza scivolosa sul pavimento, essendo “del tutto incomprensibile” che l’appellante non avesse ritenuto necessario riferire un particolare così rilevante.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, le eredi della signora lamentavano che la Corte di merito avesse violato i principi in tema di responsabilità oggettiva da cose in custodia e segnatamente il riparto degli oneri probatori in materia, dal momento che — contrariamente a quanto postulato in sentenza — non competeva alla attrice provare che sul pavimento era presente o meno una sostanza di qualsiasi tipo ma solo l’accaduto al quale erano conseguiti i danni; era piuttosto lo stabilimento — a loro dire — a dover fornire la prova liberatoria che il pavimento era asciutto, di aver provveduto e/o di provvedere frequentemente a pulire/asciugare i pavimenti del reparto con una continuità tale da permettere, in presenza di un utilizzo continuo dei servizi da parte della clientela, la sicurezza dei locali da parte dei frequentatori, o quantomeno la società doveva superare la responsabilità dimostrando il carattere imprevedibile o eccezionale dell’evento, ovvero che un caso fortuito avesse prodotto l’evento lesivo o che l’infortunata avesse fatto un uso anomalo della cosa così singolare da non poter essere neppure prevedibile e prevenibile.

Gli Ermellini, tuttavia, hanno respinto il ricorso, in quanto infondato.

La Corte territoriale aveva di fatto deciso sulla base di una valutazione di merito coerente con i principi sopra esposti; nello specifico, aveva ritenuto che il racconto dell’accaduto quale dedotto dalla danneggiata fosse “smentito” dalle dichiarazioni dalla stessa resa al pronto soccorso e, dunque, in buona sostanza, che non solo non fosse stato assolto l’onere su di essa gravante di dar prova del nesso causale tra la cosa in custodia (le strutture dello stabilimento e, segnatamente, il pavimento) e l’evento dannoso, ma che fosse piuttosto desumibile da quella dichiarazione la prova positiva che la caduta non fosse causalmente ascrivibile alle condizioni del pavimento.

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