Stato settico e aborto dei due feti (Cassazione penale, sez. IV, dep. 31/07/2023, n.33370).
Aborto dei due feti per stato settico ingravescente e responsabilità penale del Ginecologo.
I Giudici di merito dichiaravano doversi procedere nei confronti del Ginecologo per prescrizione del reato di cui agli artt. 40 cpv. e L. n. 194 del 1978, art. 17, comma 1, perché nella sua qualità, con condotta imprudente, negligente ed imperita, di tipo commissivo ed omissivo, e con inosservanza di regolamenti, discipline e protocolli, cagionava l’aborto dei due feti portati in conseguenza di uno stato settico ingravescente della madre (da ascesso alla regione perineale/coscia destra) non adeguatamente e tempestivamente diagnosticato e fronteggiato, che di fatto portava, oltre alla morte della donna, per un sopraggiunto shock settico, alla connessa interruzione colposa della gravidanza gemellare, con perdita del prodotto del concepimento per asfissia dei due feti dei quali non si garantiva tempestivamente la nascita.
In particolare, il Ginecologo riteneva che il caso clinico sottopostogli dal Medico di Pronto Soccorso fosse di esclusiva competenza chirurgica; non consigliava, come avrebbe dovuto fare, un trasferimento della gestante in ospedale attrezzato con reparto di terapia intensiva neonatale, in previsione di un possibile parto prematuro e di una possibile sofferenza neonatale, ed infine perdeva tempo prezioso nell’effettuazione di una inutile quanto tardiva ecografia, allorché la paziente, nel post-operatorio, accusava un malore in ragione del sopraggiunto shock settico e procedeva, unitamente a un collega e a due anestesisti, ad un preliminare ed esclusivo tentativo di rianimazione della paziente mentre avrebbe dovuto dapprima concorrere ad effettuare, con precedenza, in ragione delle concrete prospettive di sopravvivenza dei feti, un taglio cesareo d’urgenza.
Il Ginecologo ricorre in Cassazione e deduce violazione di legge, poiché la Corte d’Appello avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione del reato di aborto colposo multiplo per intervenuta prescrizione maturata prima della sentenza di primo grado, conseguentemente revocando le statuizioni civili.
In ogni caso, sempre secondo la sua tesi, non sarebbe configurabile alcuna responsabilità professionale riguardo la mancata esecuzione di taglio cesareo subito dopo l’arresto cardiaco della madre. Le linee guida cui faceva riferimento la Corte di Appello risalgono al 2010 e fanno riferimento ai Medici rianimatori e non ai Ginecologi. Oltre a ciò, sostiene il Ginecologo, non sono state tenute in considerazione la problematicità o equivocità della vicenda; la particolare difficoltà delle condizioni in cui ha operato; la difficoltà obiettiva di collegare le azioni cliniche; il grado di atipicità e novità della situazione; l’urgenza; la motivazione della condotta; la consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa. Pertanto la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare l’applicabilità dei criteri di cui all’art. 2236 c.c., in considerazione del contesto effettivo.
La Suprema Corte osserva che dall’epoca dell’evento contestato (2011) si sono succedute tre normative. Nel 2011 l’ordinamento non dettava alcuna particolare prescrizione in tema di responsabilità medica, risultando applicabili i principi generali in materia di colpa, alla stregua dei quali il Professionista era penalmente responsabile, ex art. 43 c.p., quale che fosse il grado della colpa. Nel 2012 entrò in vigore la legge Balduzzi, che all’art. 3 recitava: “L’esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività, si attiene alle linee-guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi, resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo“.
Successivamente, nel 2017, è entrata in vigore la L. Gelli-Bianco, inapplicabile al caso di specie, poiché l’art. 590 sexies, da essa introdotto, come correttamente rilevato dalla Corte d’appello, inerisce esclusivamente ai reati di cui agli artt. 589 e 590 c.p. e non al reato di aborto colposo.
Occorre dunque stabilire quale sia il regime applicabile al caso di specie.
Da escludersi che sia applicabile l’assetto normativo vigente all’epoca del fatto, in quanto irrilevante la distinzione fra colpa lieve e colpa grave ai fini della responsabilità professionale penale.
Ragionando nel senso di “norma più favorevole”, potrebbe essere applicato, in quanto –appunto- più favorevole, l’art. 3 del decreto Balduzzi, applicabile anche al reato di aborto colposo. Quest’ultima disposizione, però, ai fini dell’esonero dalla responsabilità, richiede che sia ravvisabile esclusivamente una colpa lieve.
Orbene, nella valutazione del grado della colpa, possono essere utilizzati i seguenti parametri: a) la misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi; b) la misura del rimprovero personale, sulla base delle specifiche condizioni dell’agente; c) la motivazione della condotta; d) la consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa.
Il Giudice di merito ha fatto proprie le risultanze della perizia espletata, fondate su una letteratura trentennale univoca nel senso che se la gravida in arresto non riprende il ritorno al circolo spontaneo entro 4-5 minuti, si deve procedere ad un taglio cesareo per asportare i feti, senza anestesia perché la madre è già morta e si interviene sui feti.
Su tali basi è stata sottolineata la colpa grave del Ginecologo in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, poiché la condotta omissiva e attendista tenuta dall’imputato era marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della vicenda e alle condizioni dei feti, essendosi anche accertato che l’imputato proseguì in una pratica del tutto inutile, come l’ecografia dei feti in una donna in arresto cardiaco.
Ne deriva la correttezza della decisione dei Giudici di Appello che hanno preso in esame tutte le deduzioni difensive pervenendo alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico del tutto congruo, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili.
Il ricorso viene rigettato.
Avv. Emanuela Foligno
Sei vittima di errore medico o infezione ospedaliera? Hai subito un grave danno fisico o la perdita di un familiare? Clicca qui o chiamaci al 800 332 771
Leggi anche: