Subamputazione della gamba e mancato riconoscimento della perdita di capacità lavorativa specifica (Cassazione civile sez. III, 15/07/2022, dep. 15/07/2022, n.22399).

Subamputazione della gamba: il danneggiato contesta il risarcimento dei danni.

La vittima propone ricorso per Cassazione articolato in due motivi nei confronti dell’Assicurazione per la riforma della sentenza della Corte d’appello di Brescia.

La donna, trasportata a bordo di una autovettura Ferrari, riportava gravi danni alla persona allorché il conducente perdeva il controllo dell’autovettura che andava a schiantarsi contro lo spigolo del muro di un’abitazione.

Dal sinistro derivava una subamputazione della gamba e la trasportata veniva ricoverata in ospedale in rianimazione e riportava lesioni con esiti permanenti nonché danni psichici e morali riconducibili alla scarnificazione della gamba, i cui muscoli venivano strappati dalle lamiere e ad una innumerevole serie di fratture soprattutto alle gambe.

La causa veniva decisa dal Tribunale di Bergamo, che dichiarava l’esclusiva responsabilità del conducente della Ferrari e lo condannava, in solido con la Compagnia, al risarcimento del danno non patrimoniale patito dalla donna che quantificava nella misura di euro 600.000,00 Euro.

La vittima proponeva appello, censurando il rigetto della domanda di risarcimento del danno da riduzione della capacità lavorativa specifica ed anche la non adeguata personalizzazione del danno non patrimoniale; i genitori denunciavano a loro volta il mancato riconoscimento di un adeguato risarcimento a titolo di danno riflesso e il rigetto della domanda di ristoro delle spese sostenute per assistere la figlia durante la degenza in ospedale.

La Corte territoriale accoglieva in parte le impugnazioni, aumentando il danno biologico già liquidato dal Tribunale, a titolo di personalizzazione per la subamputazione della gamba, di un ulteriore importo di Euro 28.000. Rigettava, invece, il secondo motivo di appello proposto non riconoscendo il danno patrimoniale conseguente alla riduzione della capacità lavorativa specifica (ed è questo il punto su cui si concentra la censura in Cassazione).

La sentenza d’appello, in particolare, afferma che la liquidazione del danno patrimoniale per riduzione della capacità lavorativa specifica implica necessariamente una valutazione prognostica del danno futuro, rispetto alla quale sono utilizzabili le presunzioni semplici e tuttavia rigetta la domanda affermando che le presunzioni per poter operare necessitavano di specifiche allegazioni relative alle condizioni, alla qualità del soggetto e alle sue aspirazioni future, allegazioni non sottoposte nel caso specifico all’attenzione del giudice.

Entrambe le censure proposte in Cassazione dalla donna sono relative al rigetto della domanda di risarcimento del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica, conclusione cui la Corte d’appello è pervenuta, nella ricostruzione della ricorrente, disattendendo le conclusioni cui erano arrivati alcuni dei Consulenti tecnici nominati in primo e poi in secondo grado.

Nello specifico, col primo motivo la ricorrente segnala che non si sia tenuto conto delle conclusioni del Consulente, il quale indicava che la menomazione fisica riportata a seguito della subamputazine della gamba, oltre aver comportato un ritardo nel completamento degli studi, fino ad allora una brillante studentessa, avrebbe costituito un handicap per qualsiasi tipo di approccio lavorativo e quindi non solo per le attività manuali che richiedono un diretto impegno fisico, ma anche per le attività di natura intellettuale, che pur richiedono un minimo di deambulazione e, nel caso dell’insegnamento, la stazione eretta protratta per alcune ore.

Sottolinea di essere stata al momento dell’incidente una brillante studentessa di lettere presso l’università, proiettata verso un lavoro di tipo intellettuale non meglio all’epoca ancora ipotizzato o individuato ma comunque, qualsiasi esso potesse essere, che la sua possibilità di accedere al lavoro e la sua idoneità a mantenerlo si fossero profondamente ridotti a causa dei postumi permanenti dell’incidente perché, come affermato già dal giudice di primo grado, aveva riportato una limitazione nei movimenti che le inibiva e le rendeva più penose tutte le attività che comportavano mobilità o un elevato numero di ore da trascorrere in piedi.

Ebbene, la ricostruzione della ricorrente non tiene nel dovuto conto la distinzione esistente, sia come nozione, sia sotto il profilo della tutela predisposta dall’ordinamento, tra riduzione o perdita della capacità lavorativa generica e riduzione o perdita della capacità lavorativa specifica.

Laddove un soggetto abbia riportato, come esito permanente di un evento traumatico, una elevata percentuale di invalidità permanente e quindi una lesione permanente e rilevante delle proprie condizioni psicofisiche, tale danno si traduce in una compromissione biologica dell’essenza dell’individuo e va liquidato onnicomprensivamente come danno alla salute, potendo il Giudice, che abbia adottato per la liquidazione il criterio equitativo del valore differenziato del punto di invalidità, anche ricorrere ad un appesantimento del valore monetario di ciascun punto in ragione della particolarità della situazione.

Questa componente del danno è stata tenuta in debita considerazione dai Giudici di merito, e proprio in considerazione di essa, considerando la maggiore difficoltà,  per la ricorrente, a causa della subamputazione della gamba, nello svolgimento di qualsiasi attività lavorativa futura, ritenuto che tutte le possibili attività comportano, seppur in diverso grado, un impegno fisico, è stata aumentata in appello la somma liquidata a titolo di danno biologico, operando una maggior personalizzazione del danno, proprio in considerazione della afflittività e della ingente fatica fisica che costerà alla donna per affrontare qualsiasi lavoro.

Nessuna indicazione ha ritenuto il Giudice di merito di poter trarre dalle scarne allegazioni della ricorrente, proprio perché ai fini del danno da perdita della capacità lavorativa specifica non rileva la generale condizione invalidante, ma che questa abbia negativamente inciso su una particolare capacità, o una particolare inclinazione, che nel soggetto si sia già manifestata o fosse già stata coltivata in modo da poterne inferire la possibilità di un possibile sbocco lavorativo, precluso o sia pregiudicato dalla sopraggiunta invalidità.

Il ricorso viene rigettato e in ragione della particolarità della vicenda, le spese di giudizio vengono compensate.

Avv. Emanuela Foligno

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