Negato il ristoro del danno patito da un uomo che si era procurato la rottura del femore cadendo a causa del suolo scivoloso e riportando postumi di invalidità permanente

Mentre percorreva a piedi i giardini comunali cadeva a terra nell’area circostante una statua, procurandosi la rottura del femore destro, con postumi di invalidità permanente del 13%, dopo essere scivolato su uno strato di foglie cadute sul manto stradale che, per l’acqua debordata dalla fontana lì posta, avevano reso il suolo scivoloso.

I Giudici del merito avevnao respinto la pretesa risarcitoria avanzata dal danneggiato nei confronti dell’Amministrazione comunale Gli eredi del danneggiato, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ.

Gli eredi dell’attore, deceduto nelle more del giudizio, si erano dunque rivolti alla Suprema Corte di Cassazione censurando, tra le altre doglianze, l’affermazione della Corte territoriale che aveva fatto ricadere sull’attore/danneggiato le “incertezze emerse dai testi escussi circa le modalità con cui si è verificata la caduta”, dal momento che i “testi indotti da parte attrice nulla hanno riferito circa le modalità di accadimento dell’evento, non avendo nessuno di questi assistito alla caduta dell’attore”; in questo modo, tuttavia, la Corte territoriale — secondo i ricorrenti — avrebbe “confuso l’onere di dimostrare l’esistenza del rapporto causale tra cosa ed evento dannoso con il diverso onere di individuare e provare la causa dell’evento dannoso”, con inversione dei principi sulla distribuzione dell’onere probatorio propri della fattispecie della responsabilità da cose in custodia; in ogni caso, il giudice di appello avrebbe potuto individuare la causa del sinistro occorso anche presuntivamente, ai sensi degli art. 2727 e 2729 cod. civ., in relazione al contesto in cui si era verificato.

Gli Ermellini, tuttavia, con l’ordinanza n. 21399/2021, hanno ritenuto il motivo del ricorso manifestamente infondato.

Per la Cassazione, la sentenza impugnata aveva correttamente escluso che l’attore avesse provato il nesso causale tra la “res” e l’evento dannoso, ovvero la rovinosa caduta subita; siffatta affermazione, lungi dal presupporre un onore probatorio non destinato a gravare su chi invochi la responsabilità da cose in custodia, risultava, viceversa, conforme alle indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “non sussiste responsabilità ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. per le cose in custodia, qualora il danneggiato si astenga dal fornire qualsiasi prova circa la dinamica dell’incidente e il nesso eziologico tra il danno e la cosa”, essendo, infatti, egli onerato dal dimostrare “l’esistenza del danno e la sua derivazione causale dalla cosa”. Proprio poiché la norma suddetta “non prevede una responsabilità aquiliana, ovvero non richiede alcuna negligenza nella condotta che si pone in nesso eziologico con l’evento dannoso, bensì stabilisce una responsabilità oggettiva, che è circoscritta esclusivamente dal caso fortuito, e non, quindi, dall’ordinaria diligenza del custode”, occorre che il preteso danneggiato dimostri almeno la sussistenza del nesso causale tra “res” e danno, giacché, altrimenti, quella prevista dall’art. 2051 cod. civ. sarebbe una fattispecie fondata su un criterio addirittura stocastico di imputazione della responsabilità.

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