Sulla tardiva diagnosi di frattura del femore la CTU del Tribunale e quella del secondo grado pervengono a conclusioni opposte. La Suprema Corte sottolinea che valutare se il medico abbia rispettato le regole della diligenza professionale costituisce anch’esso un giudizio di fatto, riservato al Giudice del merito (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 26 novembre 2024, n. 30453).
I fatti
I familiari della paziente deceduta richiedono il risarcimento del danno asserendo una tardiva diagnosi di frattura del femore destro che aveva poi determinato la produzione di emboli (da cui una grave insufficienza cardio-respiratoria).
La paziente, in data 11 ottobre 2002, a seguito di una caduta accidentale, era stata condotta presso l’Ospedale civile di Sapri. Da qui, a seguito di diagnosi di trauma cranico con ferita lacero contusa e contusione toracica, era stata dimessa dopo 2 giorni.
Sussistendo ancora dolori nella regione lombare e all’anca destra, il 17 ottobre 2002 la donna era stata di nuovo sottoposta ad indagini radiografiche preso il pronto soccorso del suddetto ospedale. Dimessa con diagnosi di artrosi diffusa e prescrizione di terapia farmacologica antidolorifica, la donna tornava di nuovo in ospedale il 19 ottobre 2002, lamentando dolori più acuti e difficoltà respiratorie. In sede di ricovero, il 21 ottobre 2002 era stata diagnosticata la frattura del femore.
La vicenda giudiziaria
Il Tribunale riconosce la responsabilità dei sanitari e condanna l’Ospedale al pagamento della somma di 252.450,76 euro per ciascun erede a titolo di danno non patrimoniale, oltre ad 3.425 euro a titolo di danno patrimoniale, e 5.733 euro a titolo di danno non patrimoniale iure hereditatis, oltre interessi, sulla base delle omissioni riscontrate in occasione dell’accertamento strumentale eseguito in data 17 ottobre 2002.
Avverso detta sentenza propone appello la ASL e, previa nuova CTU, con sentenza del 3 aprile 2023 la Corte d’appello di Potenza accoglie il gravame rigettando la domanda risarcitoria.
Le conclusioni della seconda CTU
I Giudici di appello rilevavano che i sanitari in occasione dell’accertamento strumentale del 17 ottobre 2002 avevano descritto una “riduzione in altezza del corso D12-L1 senza sicuri segni d’interruzione; spondilo artrosi osteofìtosica con osteoporosi; scoliosi lombare; non evidenti segni di fratture nei rimanenti segmenti ossei in esame”. Quindi formulando la diagnosi di artrosi diffusa, e limitandosi alla prescrizione di terapia farmacologica antidolorifica, laddove dalla relazione di CTU, disposta in primo grado, non si evinceva se dalla lastra del femore destro emergesse già l’esistenza della frattura, in ipotesi non rilevata dal personale medico.
Richiamato l’onere di chi agisce in giudizio per responsabilità sanitaria di provare il nesso eziologico fra la condotta del sanitario e l’evento dannoso, osservava la Corte di Potenza che alla luce della nuova CTU disposta in sede di appello dovevano essere esclusi i profili di colpa ravvisati dalla CTU di primo grado, avendo il secondo CTU affermato che “l’esame Rx del 17/10/2002 non evidenzia alcuna frattura sottocapitata del femore destro”. Osservò ancora che non poteva essere attribuito valore probatorio alla consulenza di parte ed al parere allegato alla comparsa conclusionale, costituendo i rilievi in discorso mere argomentazioni difensive.
Sulla seconda CTU, i Giudici di appello affermavano che: “è indubbio che la consulenza tecnica d’ufficio espletata nel grado si lasci preferire, non tanto perché frutto di un’attività di controllo e riesame critico mirato, in relazione all’accertamento svolto dal primo C.T.U., ma soprattutto perché si avvale della collaborazione professionale di uno specialista della materia specifica, su cui si è registrato il contrasto di valutazioni tra i consulenti. Invero, a differenza del primo consulente, il secondo nell’esame delle lastre relative agli accertamenti rx-grafici, si è avvalso della collaborazione di un radiologo presso l’Ospedale di Matera, proprio perché la questione dirimente da risolvere involgeva la corretta lettura dell’accertamento radiografico eseguito il 17/10/2002”.
L’intervento della Cassazione
La decisione della Corte di Potenza viene posta al vaglio della Cassazione, che respinge ogni censura.
I familiari della vittima contestano che nella prima CTU si era stigmatizzata una negligenza in relazione alla valutazione del caso specifico nella sua globalità, omettendo la diagnosi della fattura già possibile alla data del 17 ottobre, per cui non veniva eseguita l’immobilizzazione che avrebbe impedito lo spostamento dei frammenti e la produzione di emboli grassosi (che poi condussero alla morte).
Precisano che nella CTU di primo grado l’omissione dell’individuazione della frattura del femore era stata valutata nel quadro della globalità della vicenda, in cui dovevano considerarsi altri fattori come il tipo di dolore lamentato, il tipo di caduta e l’età della paziente e che tale valutazione globale non era stata svolta nella CTU disposta in sede di appello. Conclude nel senso che la Corte territoriale si è adeguata a questa valutazione ristretta alla presenza della frattura del femore.
Tutte le censure vengono considerate inammissibili. Esse hanno ad oggetto il recepimento delle conclusioni della seconda CTU, la quale ha escluso che nell’accertamento radiologico svolto il 17 ottobre 2002 fosse presente la frattura del femore destro, identificata, sempre dal CTU, e recepita come tale dal Collegio, quale causa della sequenza patologica (embolia polmonare) sfociata nel decesso della paziente.
L’accertamento dell’esistenza del nesso eziologico spetta al Giudice di merito
La parte ricorrente oppone sia che la frattura del femore fosse identificabile il 17 ottobre, sia che in quest’ultima data l’accertamento fu limitato alla questione della frattura, senza indagare i fattori concausali del decesso (il tipo di caduta, il dolore lamentato, la mancata valutazione dell’età della paziente e/o delle condizioni cliniche della stessa). Ebbene, l’accertamento dell’esistenza del nesso eziologico, in quanto giudizio di fatto, spetta al Giudice di merito, la Corte di legittimità deve vagliare se nello svolgimento del giudizio di fatto il Giudice di merito abbia rispettato le connotazioni normative del rapporto causale fra condotta e danno.
La tesi, basata sull’esistenza sul piano fattuale di concause ulteriori rispetto alla frattura, sulle quali i sanitari avrebbero omesso di indagare, attiene chiaramente al profilo del giudizio di fatto, e dunque involge apprezzamenti di merito che non possono essere esaminati dalla Corte di Cassazione.
Al di là di questo, le ulteriori circostanze (il tipo di caduta, il dolore lamentato, la mancata valutazione dell’età della paziente e/o delle condizioni cliniche della stessa), anche se definite concause, attengono non al versante eziologico, ma al rispetto delle regole dell’arte nell’esecuzione della prestazione sanitaria.
Valutare se il medico abbia rispettato le regole della diligenza professionale costituisce anch’esso un giudizio di fatto, riservato al Giudice del merito.
Avv. Emanuela Foligno