E’ accaduto in Toscana nel corso di un’udienza per il cambio del nome di un transessuale. I legali annunciano la segnalazione del presidente del Collegio al Consiglio Superiore della Magistratura

Un grave abuso di potere. Così l’avvocato Cathy La Torre, attivista per i diritti Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender),  ha definito l’episodio accaduto alcuni giorni fa nell’aula di un Tribunale toscano, dove era in corso la prima udienza per il cambio del nome e di genere di un suo assistito transessuale, a cui da 13 anni è stata riconosciuta dalla magistratura una disforia di genere e che da allora vive una lunga attesa per vedere adeguati i suoi documenti all’identità di donna.
L’avvocato racconta del dopo l’introduzione del caso, peraltro molto corretta, da parte della giudice relatrice, la collega Cristina Polimeno ha chiesto al collegio dei giudici se avessero voluto fare delle domande, come da prassi, alla loro cliente al fine di accertare l’immedesimazione nel genere femminile. Il presidente del collegio, dopo un iniziale disinteresse, avrebbe posto una domanda circa la situazione lavorativa della donna. Questa avrebbe risposto di essere disoccupata, sottolineando come la difformità dei documenti rispetto all’aspetto esteriore rappresenti un forte handicap nella ricerca di un lavoro. A quel punto il magistrato le avrebbe chiesto se si prostituiva e, a fronte della reazione della donna, scoppiata in lacrime, avrebbe fatto mettere a verbale la dichiarazione, come se fosse stata resa spontaneamente.
I legali hanno allora fatto notare che la loro assistita non aveva in realtà risposto e hanno chiesto che l’espressione del giudice venisse censurata in quanto non attinente con la domanda di cambio del nome; la loro richiesta, tuttavia, non sarebbe stata accettata e il giudice le avrebbe congedate riservandosi sulla decisione. “Sto valutando di segnalare il comportamento al Consiglio superiore della magistratura – fa sapere La torre -. Non mi era mai capitata una cosa del genere, ho fatto oltre mille di queste udienze. Che un giudice si permetta di avvalorare lo stereotipo trans uguale prostituta, è un fatto gravissimo. Con un tasso di disoccupazione tra persone trans al 88% proprio a causa dei documenti difformi – evidenzia ancora l’avvocato –  il giudice avrebbe dovuto capire non solo che quella domanda non si fa, ma che spesso è proprio colpa della difformità dei documenti se le persone trans sui prostituiscono”.

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