Uno studio evidenzia che, associando alla chemioterapia l’immunoterapico atezolizumab, il rischio di progressione del tumore polmonare di tipo squamoso rallenta significativamente

Dall’immunoterapia arriva una speranza concreta per la lotta al tumore polmonare di tipo squamoso, uno dei più difficili da curare perché quasi sempre privo dei ‘bersagli’ molecolari contro cui sono diretti i farmaci biologici finora a disposizione. Nel nostro Paese questo genere di neoplasia viene diagnosticata a circa 10 mila persone ogni anno. I casi rappresentano circa un quarto di tutti i tipi di carcinoma polmonare.

Uno studio internazionale, denominato IMpower131 e condotto su oltre mille pazienti ha dimostrato che combinando l’immunoterapia atezolizumab – che punta a riattivare il sistema immunitario contro il cancro – con la chemioterapia, la malattia rallenta in tutti i casi e in taluni pazienti metastatici la sopravvivenza arriva quasi a triplicare, passando da una media di 10 mesi a 23 mesi.

Il lavoro, coordinato da Federico Cappuzzo, direttore del Dipartimento di Oncologia ed Ematologia dell’AUSL della Romagna a Ravenna, è stato presentato a Barcellona durante la Conferenza mondiale sul tumore al polmone.

Il tumore polmonare di tipo squamoso non risponde, come detto, a farmaci ‘intelligenti’, diretti su bersagli molecolari tumorali specifici, ed è quindi trattata con la sola chemioterapia. Per questo, spiega Cappuzzo, “abbiamo associato a due tipi diversi di chemioterapia l’immunoterapico atezolizumab, per verificare se la nuova combinazione fra immunoterapia e chemioterapia potesse migliorare la prognosi di questi pazienti rispetto alla sola chemioterapia”.

“I risultati – aggiunge – mostrano che l’immunoterapia è l’unica vera opportunità che possiamo offrire a questi malati: in tutti infatti rallenta significativamente il rischio di progressione di malattia, ma i risultati diventano eclatanti nei pazienti che esprimono in abbondanza la proteina PDL-1, bersaglio di atezolizumab”. In questi casi, infatti, “la risposta è ancora maggiore e abbiamo registrato una sopravvivenza quasi triplicata rispetto alla sola chemio”.

Livelli elevati della proteina PDL-1 – prosegue ancora l’oncologo – si trovano in circa il 20-25% dei malati: “questi sono perciò i candidati ideali per questo tipo di associazione di immunoterapia e chemioterapia; è quindi sempre più necessaria un’attenta selezione dei pazienti per individuare chi risponderà meglio alle terapie a disposizione”.

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