La Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti sull’atto di utilizzare la foto di un altro su Facebook e la possibilità di integrare reato

È reato di sostituzione di persona utilizzare la foto di un altro sul proprio profilo Facebook?

La Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 4413/2018 ha fornito importanti precisazioni a riguardo.

Per i giudici, utilizzare la foto di un altro su Facebook comporta il rischio di una condanna per il reato di sostituzione di persona.

Nel caso di specie, la Corte ha confermato la sanzione penale, patteggiata da una donna innanzi al G.U.P., a 15 giorni di reclusione, convertita in una multa di 3.750 euro, da pagare in trenta rate mensili.

All’imputata era ascritto il reato previsto dall’art. 494 c.p.. La donna, infatti, aveva utilizzato, per il proprio profilo Facebook, la foto di un’altra persona.

In Cassazione la donna deduce la nullità dell’accordo stipulato fra lei e il pubblico ministero.

Secondo la Cassazione, infatti, è sostituzione di persona utilizzare l’altrui foto come immagine del profilo Facebook.

Secondo la difesa, erroneamente il giudice non aveva consentito di revocarlo a seguito della possibilità sopravvenuta, stante la pronuncia della Corte Costituzionale n. 201/2016 di richiedere, con l’atto di opposizione al decreto penale, la sospensione del procedimento per la messa alla prova.

In particolare, il giudice non aveva concesso il richiesto termine a difesa. Al contrario, aveva accolto l’istanza subordinata di ripartire il pagamento della multa in 30 rate, piuttosto che nelle 18 dell’originario accordo.

L’accordo, infatti, non era affetto da alcuna nullità poiché emesso il 20 maggio 2016 quando non era stata ancora né pronunciata né pubblicata la sentenza a cui la difesa fa riferimento che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 460, comma 1, lett. e), c.p.p., nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna contenga l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere mediante l’opposizione la sospensione del procedimento con messa alla prova.

Inoltre, nel caso concreto, l’istanza di revoca del consenso al patteggiamento fatta dalla difesa, non si era fondata sulla esplicita richiesta di sospensione del processo per la messa alla prova.

Bensì, solo sulla richiesta di un termine a difesa per valutarne la convenienza.

Il ricorso è stato dunque respinto.

 

 

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