Intervento di varicocele di terzo grado con posizionamento di protesi testicolare provoca atrofia testicolare nel paziente con postumi permanenti del 7% (Tribunale di Perugia, Sez. I civile, Sentenza n. 497/2021 del 23/03/2021 RG n. 5141/2016 – Repert. n. 1072/2021 del 23/03/2021)
Il paziente cita a giudizio l’Azienda Ospedaliera onde vedere accertato l’inadempimento dei Sanitari nell’esecuzione dell’intervento di varicocele di terzo grado e nel trattamento post operatorio.
L’attore deduce:
- di essersi recato, il 5.11.11, al Pronto Soccorso dell’Ospedale per la presenza di dolore ricorrente al testicolo sinistro, divenuto persistente e per il quale il medico curante aveva prescritto antibiotici; che l’ecografia del 10.11.11 evidenziava spiccato varicocele a sinistra e lo spermiogramma effettuato il 24.1.12 mostrava un calo del numero di spermatozoi con riduzione marcata della loro motilità;
- che veniva posta diagnosi di varicocele di grado III, e in data 8.2.12 avveniva il ricovero per la esecuzione di intervento chirurgico;
- di avere avvertito sin da subito dolore insopportabile, trattato con morfina e lixidol; che il dolore era persistito, tanto da necessitare nuovamente accesso al Pronto Soccorso in data 13.3.15, ed in tale occasione era emerso che il testicolo sinistro era ridotto di volume ; che il 12.10.15 si era reso necessario un intervento chirurgico di orchiectomia ed il posizionamento di una protesi testicolare.
Secondo l’attore l’asportazione del testicolo è da attribuirsi all’incongrua esecuzione del trattamento chirurgico, dal quale sono derivati danni da inabilità temporanea e permanente.
Si costituisce in giudizio l’Azienda Ospedaliera chiedendo il rigetto della domanda e deducendo la improcedibilità dell’azione per mancato esperimento della Mediazione obbligatoria.
Secondo l’Azienda l’intervento è stato eseguito nel rispetto delle procedure chirurgiche, senza complicanze o imprevisti operatori, e nel decorso post – operatorio non si sono evidenziate anomalie a carico dell’area oggetto di intervento e che non vi è nessun nesso causale tra l’intervento, eseguito nel 2012, e l’atrofia testicolare verificatasi tre anni dopo.
La causa viene istruita attraverso l’acquisizione della documentazione sanitaria del paziente e l’esecuzione di CTU Medico-Legale.
Preliminarmente il Tribunale passa in rassegna i principi in materia di responsabilità medica che sono da ricondurre alla tematica di natura contrattuale.
All’uopo, la valutazione circa la sussistenza di inesatto adempimento da parte della Struttura sanitaria generativo di obbligazione risarcitoria è disciplinata dall’art. 1218 c.c., secondo l’interpretazione e le applicazioni che sono state elaborate in materia dalla cospicua giurisprudenza intervenuta in materia a partire dalla fine degli anni ’90 con ricorso alla figura contrattuale di spedalità derivante dal contatto sociale.
L’onere probatorio, in ambito di responsabilità medica è governato dalla regola per cui il paziente che intenda far valere la responsabilità della struttura per danni derivanti da trattamento sanitario inadeguato deve dimostrare il titolo della sua pretesa, consistente nell’aggravamento della propria situazione patologica (o nell’insorgenza di nuove patologie) ed allegare la sua derivazione e connessione causale con la prestazione erogata.
Adempiuto ciò, è onere della Struttura dare prova dell’esatto adempimento della prestazione medica, ovvero che il peggioramento delle condizioni soggettive sia dipeso da eventi o reazione soggettiva del tutto estranei, imprevedibili e dunque non prevenibili; e che non sussiste dunque per tali ragioni alcun nesso causale tra condotta del debitore e pregiudizio del creditore.
Più di recente è stato chiarito che “per ritenere sussistente un nesso causale tra prestazione e danno onde rinvenire responsabilità per inadempimento nel giudizio civile – diversamente che dall’ambito penalistico, vige invece la regola della preponderanza dell’evidenza causale, altresì detta del più probabile che non.
Ed ancora, la regola per addivenire ad accertamento di responsabilità professionale dei sanitari non è peraltro limitata al piano oggettivo dell’illecito, ma rileva anche sul piano del concreto atteggiarsi dell’elemento soggettivo della colpa, intesa come prevedibilità e prevedibilità dell’evento dannoso da parte del sanitario stesso e/o della struttura, e dunque della qualità della prestazione richiesta per il raggiungimento dell’obiettivo costituito dalla guarigione del paziente, o dalla prevenzione di possibili esiti negativi o peggiorativi delle condizioni personali rispetto a quanto era previsto come ragionevole attendersi dall’intervento.
La Struttura ha il peso di un duplice onere probatorio:
- dimostrare di aver impiegato la perizia ed i mezzi tecnici adeguati allo standard professionale della categoria di interventi in esame;
- dimostrare che l’inesatto adempimento è dovuto a causa non imputabile agli operatori sanitari, in quanto determinato da fattore non prevedibile né prevenibile con la diligenza nel caso dovuta.
Ciò posto, sulla scorta della espletata CTU Medico-Legale, le doglianze dell’attore risultano fondate.
Il C.T.U. ha evidenziato:
“- che il percorso diagnostico pre -operatorio (diagnosi ed indicazione dell’intervento chirurgico) fu corretto;
– che durante l’operazione fu eseguita una legatura soprainguinale, facendo attenzione a non lesionare strutture anatomiche viciniori, ma che l’operatore non ha specificato di avere proceduto alla ricerca dell’arteria spermatica (che deve essere lasciata integra perché una sua lesione comporterebbe un ridotto apporto di sangue arterioso al testicolo) ;
– che vi è nella fattispecie indiscusso nesso causale tra l’atto chirurgico a l’atrofia testicolare (in cui può evolversi una patologia su base ischemica o congestizia , il cui primo sintomo può essere la tumefazione testicolare, lamentata dal paziente nell’immediatezza dell’intervento);
– che non è possibile identificare con esattezza l’atto intraoperatorio foriero del danno, poiché l’operatore non ha offerto descrizioni operatorie che possano documentare la condotta erronea ; ad ogni modo è certo che l’intervento non comportava la risoluzione di problemi di speciale difficoltà;
– che l’atrofia testicolare è stata cagionata da danno vascolare, espressione di lesione iatrogena realizzata dal chirurgo per non aver tenuto condotta operatoria corretta.
– che sono riconoscibili postumi permanenti nella misura del 7%, che tiene conto del fatto che la menomazione permanente non abolisce la capacità di procreare e del disestetismo causato dalla non ottimale riuscita della protesizzazione testicolare.”
Il Tribunale condivide le conclusioni del Consulente e ne rileva anche la condivisione delle parti.
Per la monetizzazione e liquidazione dei danni patiti vengono applicate le tabelle delle micropermanenti di cui agli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, eventualmente integrate con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli.
Il danno non patrimoniale complessivo ammonta ad euro 10.871,86, di cui: Danno biologico permanente 7% euro 9.656,74, Invalidità temporanea parziale al 75% euro 694,35, Invalidità temporanea parziale al 50% euro 347,18, Invalidità temporanea parziale al 25% euro 173,59.
Inoltre, il Giudice, considerata l’età del paziente al momento dei fatti, la certa incidenza della vicenda nella sfera psicologica e della vita intima e sessuale, personalizza nella misura massima il danno addivenendo all’importo complessivo di euro 14.495,45.
Le spese di lite e quelle di CTU seguono la regola della soccombenza.
In conclusione, il Tribunale di Perugia: dichiara tenuta e condanna l’Azienda Sanitaria al pagamento in favore dell’attore della somma di euro 14.495,45 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale; condanna la parte convenuta a rifondere all’attore le spese processuali , liquidate in euro 4.355,00, oltre accessori e pone a carico sempre dell’Azienda convenuta le spese di CTU Medico-Legale.
§ §
Premesso che non sono disponibili gli atti di causa e l’elaborato peritale, risultano un po’ tentennanti, a parere di chi scrive, gli stralci della CTU riportati in sentenza.
“- che vi è nella fattispecie indiscusso nesso causale tra l’atto chirurgico a l’atrofia testicolare (in cui può evolversi una patologia su base ischemica o congestizia , il cui primo sintomo può essere la tumefazione testicolare, lamentata dal paziente nell’immediatezza dell’intervento);
– che non è possibile identificare con esattezza l’atto intraoperatorio foriero del danno, poiché l’operatore non ha offerto descrizioni operatorie che possano documentare la condotta erronea ; ad ogni modo è certo che l’intervento non comportava la risoluzione di problemi di speciale difficoltà;
– che l’atrofia testicolare è stata cagionata da danno vascolare, espressione di lesione iatrogena realizzata dal chirurgo per non aver tenuto condotta operatoria corretta.”
Ebbene, dapprima il CTU afferma che vi è nesso causale tra l’atto chirurgico e l’atrofia testicolare, poi, afferma che non è possibile identificare con esattezza quale atto sia stato concretamente apportatore del danno perché dalle descrizioni operatorie non risulta documentata condotta erronea.
Delle due l’una.
Se vi è nesso causale tra intervento chirurgico e atrofia testicolare, in base alla regola del più probabile che non, il Consulente avrebbe dovuto identificare, o quanto meno ipotizzare, quale concreta procedura operatoria abbia potuto cagionare il danno vascolare.
Avv. Emanuela Foligno
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