La violenza sessuale che si esercita contro le donne all’interno della coppia di sposi contraddice la natura stessa dell’unione coniugale

La storia ci mostra gli eccessi delle culture patriarcali dove la donna non veniva considerata sotto nessun profilo. La riforma del diritto di famiglia del 1975 non ha di certo superato totalmente quel modello istituzionale di famiglia delineato nel nostro Codice Civile nei lontani anni ’40 del secolo scorso.

Attualmente l’impostazione e la chiave di lettura del modello famiglia è improntata sulla più moderna visione tutelante i singoli interessi dei componenti del nucleo.

La riforma della filiazione, del resto, ne è una importante dimostrazione.

Egualmente dicasi per il riconoscimento delle unioni civili e la possibilità di regolarizzazione delle convivenze.

La concezione del vincolo matrimoniale, sotto il profilo della indissolubilità, rimane tuttavia ancora lontana dalle esigenze sociali attuali.

Nell’accezione ampia del termine la famiglia è un luogo di incontro e di vita dei suoi componenti ove vengono stabilite relazioni di affetto, di rispetto e di reciprocità.

In tale seno non devono sussistere compressioni, mortificazioni o altri comportamenti lesivi di quella eguaglianza sancita dalla nostra Costituzione all’art. 3.

Il principio di eguaglianza applicato ai coniugi o alla coppia convivente, si traduce in eguali responsabilità e doveri dei coniugi e parimenti in eguale diritto di sviluppo e di arricchimento della personalità dei componenti del nucleo.

Nella categoria dei diritti-doveri dei coniugi rientrano, come noto, quelli riferiti ai rapporti sessuali nella loro proiezione non solo verso la procreazione ma anche verso la reciproca donazione della sessualità intesa come condivisione della propria intimità.

Tale diritto costituisce ed esprime una relazione interpersonale importante tant’è che viene ricompreso nei diritti inviolabili tutelati e garantiti dalla nostra Costituzione.

In giurisprudenza è fermamente consolidato l’orientamento secondo il quale la mancanza di un’intesa sessuale serena, rispettosa e appagante, come anche il mancato accordo tra i coniugi sui rapporti, sulla tipologia e sulla frequenza degli stessi, legittima la domanda di separazione.

Ove debitamente comprovata, la mancanza di intesa sessuale costituisce elemento che prova la carenza di legami tra i coniugi e l’intollerabilità della convivenza, potendo anche costituire causa di addebito, laddove sussista un comportamento colposo di uno dei coniugi volto a precludere la possibilità all’altro di soddisfare i propri bisogni sessuali opponendo un persistente rifiuto non giustificato e violando in tal modo uno degli obblighi di assistenza morale previsti nel matrimonio.

L’astensione sessuale ingiustificata di uno dei coniugi non legittima l’altro a imporre o costringere o indurre al rapporto carnale.

Preme ricordare al riguardo che sino alla metà degli anni settanta la dottrina era concorde nel ritenere che il coniuge potesse commettere il delitto di violenza carnale nei confronti dell’altro coniuge. In altri termini, veniva riconosciuto come lecito, in virtù del vincolo matrimoniale, il comportamento del coniuge che costringeva l’altro a subire un rapporto sessuale contro la sua volontà.

Questo orientamento è stato superato, a partire dalla seconda metà degli anni 70 con la celeberrima pronunzia della Cassazione del 1976 con la quale si è ammessa la punibilità a titolo di violenza carnale del coniuge che costringe con violenza o minaccia l’altro coniuge a subire il rapporto sessuale.

La sentenza ha affermato che il rapporto di coniugio non degrada la persona di un coniuge ad oggetto di possesso dell’altro. Principio poi ribadito nel 1978: “L’esercizio del diritto di congiungersi carnalmente con il proprio coniuge, quale effetto del matrimonio, non comprende il potere di imporre con la violenza (fisica o morale) il congiungimento al coniuge dissenziente, ma, in caso di dissenso ingiustificato, costituente ingiuria reale e violazione degli obblighi di assistenza coniugale verso il coniuge respinto, questi può ricorrere al giudice civile per ottenere sentenza di separazione personale per colpa dell’altro coniuge. Ma non può mai farsi ragione da sé esercitando il preteso diritto a detta prestazione, di natura incoercibile, in forma minacciosa e violenta”.

Consolidato, a seguito del lavorìo della giurisprudenza, il principio secondo il quale il concetto di violenza sessuale è da considerarsi in una visuale fermamente unitaria che non consente -giustamente- di distinguere tra violenza sessuale consumata tra estranei e violenza sessuale tra coniugi o conviventi.

La penale rilevanza dello stupro coniugale o di coppia è stata cristallizzata dal nostro Legislatore con l’introduzione del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 ottobre 2013, n. 119, che ha stabilito la pena della reclusione da sei a dodici anni a danno di chi commette il reato di stupro coniugale.

In buona sostanza, rispetto alla previsione codicistica è stata introdotta una pena aggravata nei casi in cui la violenza sessuale sia commessa nei confronti di “persona della quale il colpevole sia il coniuge, anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza”.

Oggi, nell’ambito di un rapporto coniugale o semplicemente di coppia, non soltanto vi può essere a tutti gli effetti una violenza sessuale, ma tale violenza è da considerarsi addirittura aggravata, in ragione della particolare vulnerabilità della vittima in presenza di abusi che si consumano nelle mura domestiche o che vengono perpetrati da persone nei cui confronti la vittima è comunque potenzialmente più esposta emotivamente a causa di una precedente relazione.

Avv. Emanuela Foligno

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