È stato condannato per rifiuto di atti di ufficio il medico di turno che anziché eseguire la visita domiciliare della paziente, si era limitato a prescriverle un antidolorifico

Il rifiuto della visita domiciliare

Per il rifiuto della visita domiciliare la Corte d’Appello di Trieste aveva confermato la condanna inflitta dal Gup dello stesso Tribunale a carico di un medico (ai sensi dell’art. 328 c.p., comma 1) di turno presso l’A.S.S. il quale non si era recato a visitare una paziente malata di neoplasia polmonare allo stadio terminale.

Infatti, il medico, raggiunto telefonicamente dalla figlia della paziente, si era limitato a suggerire di somministrarle un antinfiammatorio di cui già disponeva.

Il quadro normativo

Il D.P.R. 25 gennaio 1991, n. 41, art. 13, comma 3, (Accordo collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici addetti al servizio di guardia medica ed emergenza territoriale, ai sensi della L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48) prescrive che: “Durante il turno di guardia il medico è tenuto ad effettuare al più presto tutti gli interventi che gli siano richiesti direttamente dall’utente, oppure – ove esista – dalla centrale operativa, entro la fine del turno cui è preposto“.

Il delitto descritto nell’art. 328 cod. pen. (Rifiuto di atti di ufficio) è un reato di pericolo, perché prescinde dalla causazione di un danno effettivo e postula semplicemente la potenzialità del rifiuto a produrre un danno o una lesione. La Corte di Cassazione, al riguardo, ha costantemente affermato il principio che l’esercizio del potere-dovere del medico di valutare la necessità della visita domiciliare D.P.R. n. 41 del 1991, ex art. 13, comma 3, è pienamente sindacabile da parte del giudice sulla base degli elementi di prova acquisiti (Sez. 6, n. 23817 del 30/10/2012; Sez. 6, n. 35526 del 06/07/2011, Sez. 6, n. 12143 del 11/02/2009).

La giurisprudenza

In realtà – ha aggiunto la Cassazione con la sentenza in commento -, a differenza che in altri casi nei quali il medico di guardia rifiuta sic et simpliciter non solo di recarsi al domicilio del paziente ma di anche di intervenire o consigliare di rivolgersi ad altro servizio, nel caso in esame, l’imputato aveva formulato delle sue valutazioni tecniche collegate al problema sottopostogli, per cui non poteva affermarsi che non avesse aderito, in maniera assoluta, alla richiesta di intervento domiciliare urgente; ma neppure potevano trascurarsi le peculiarità della fattispecie.

Nel caso in esame, l’intervento domiciliare richiesto era non solo urgente ma anche del tutto improcrastinabile perché si trattava di intervenire per alleviare i forti dolori di una paziente alla quale restavano poche ore di vita e in una condizione in cui (per le varie ragioni emerse) l’intervento doveva essere attuato valutando specificamente le specifiche condizioni in cui la paziente si trovava anche a causa di precedenti trattamenti praticati per alleviarle i dolori. Nè poteva assumere alcuna rilevanza il fatto che, a posteriori, non sarebbe stato possibile praticare interventi diversi da quelli indicati dal medico (Sez. 6, n. 12143 del 11/02/2009).

La visita domiciliare urgente

Per i giudici della Suprema Corte di Cassazione (Sezione Sesta, sentenza n. 43123/2017) non si trattava dunque, di una ipotesi nella quale l’intervento del medico avrebbe potuto essere preceduto da una interlocuzione telefonica esplorativa (Sez. 6, sent. n. 2892 del 27/11/1985, Rv. 172432), propedeutica a una successiva visita domiciliare eventualmente necessaria – essendo l’intervento in questione da attuare assoluta con urgenza. Peraltro, il sanitario al riguardo non aveva neppure addotto altre esigenze di servizio per esempio altre richieste di intervento, altri pazienti in attesa) che gli avrebbero potuto produrre un conflitto di doveri (anche solo potenziale).

La decisione

Su questa linea Corte di appello aveva adeguatamente argomentato affermando che nel suggerire la somministrazione dell’antinfiammatorio e antidolorifico, l’imputato non poteva non aver considerato che “tale medicinale non era “idoneo” in relazione alle condizioni della madre della denunciante che lo aveva già assunto e che non era più efficace” per cui “la prescrizione sarebbe dovuta avvenire, stante la particolarità del caso, prevista effettuazione della visita domiciliare espressamente richiesta dalla figlia“.

Per queste ragioni il ricorso è stato rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle costituite parti civili.

Avv. Sabrina Caporale

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