Respinta la richiesta di ristoro di una donna che aveva acquistato un pacchetto turistico all inclusive in Grecia ma era rimasta insoddisfatta delle condizioni dell’albergo in cui era stata ospitata

Aveva agito in giudizio nei confronti dell’agenzia di viaggi che le aveva venduto un pacchetto turistico all inclusive nell’isola greca di Santorini, lamentando le pessime condizioni igieniche e la distanza dal mare dell’albergo in cui era stata ospitata.

In primo grado, il Tribunale aveva accolto in parte la domanda di accertamento dell’inadempimento proposta dall’attrice riconoscendole, a titolo di risarcimento dei danni, il costo del pacchetto turistico, le spese relative al viaggio di ritorno e quelle legali per la fase stragiudiziale, mentre aveva ritenuto non provato il danno patrimoniale quale spesa per il viaggio di ritorno in aereo e quello non patrimoniale da vacanza rovinata.

La Corte di appello, invece, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dal tour operator aveva riformato la decisione in relazione al danno, condannando la cliente a restituire quanto ricevuto.

Nel ricorrere per cassazione la donna eccepiva, tra gli altri motivi, la violazione della normativa in materia di ripartizione dell’onere della prova in tema di responsabilità contrattuale per avere la corte ritenuto che la produzione fotografica con cui l’attrice avrebbe voluto dimostrare le condizioni dell’albergo era di dubbia provenienza;

La Suprema Corte, tuttavia, con la ordinanza n. 11758/2020 ha ritenuto il motivo del ricorso inammissibile.

Per i Giudici Ermellini, infatti, la censura non coglieva la ratio decidendi, ma richiamava un principio circa la ripartizione dell’onere della prova in materia di inesatto adempimento che era stato coerentemente applicato dalla corte territoriale, la quale aveva invero argomentato che, una volta acclarato che il prodotto fornito era conforme a quello indicato nel contratto, non fossero rilevanti ai fini della prova delle allegate pessime condizioni igieniche, le fotografie prive di data prodotte in giudizio, così come non era sufficiente l’allegata presunzione semplice al fine di provare la presenza degli scarafaggi ovvero del lamentato “fetore”.

Richiamando la giurisprudenza di legittimità la Suprema Corte ha ricordato che, in fattispecie simili a quella in esame, incombe sul danneggiato la prova rigorosa e specifica che il danno sia stato conseguenza dell’inadempimento contrattuale del gestore o della sua attività, conseguendone, in difetto, la declaratoria di infondatezza della relativa domanda.

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