Allegazione e prova del danno morale: la Suprema Corte ne ha scolpito i confini

Allegazione e prova del danno morale: anche i criteri presuntivi possono essere utilizzati per il ristoro della voce di danno.

Cassazione Civile, Sez. III, sentenza n. 21970 pubblicata il 12/10/2020, così si è espressa: “Stante la piena autonomia del danno morale rispetto al danno biologico il giudice è tenuto a esperire la strada della risarcibilità del danno, anche affidandosi a criteri presuntivi ed in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta in atti“, in tema di allegazione e prova del danno morale.

La vicenda trae origine da un sinistro stradale deciso dal Tribunale di Vibo Valentia, su domanda azionata dalle terze trasportate.

La causa veniva istruita con prove testimoniali e due CTU medico-legali e il Tribunale dichiarava l’esclusiva responsabilità del sinistro in capo al conducente dell’autocarro e riteneva satisfattiva la somma già riconosciuta dall’Assicurazione in favore delle terze trasportate attrici.

La Corte d’Appello di Catanzaro, rigettava il gravame ritenendo che la sentenza di primo grado fosse adeguatamente motivata in merito all’adesione ad una sola delle due espletate CTU, con riguardo al calcolo dell’invalidità temporanea e del danno biologico; confermava l’assenza di allegazione e prova del danno morale e condannava le appellanti alle spese del grado in favore della Assicurazione.

Le danneggiate ricorrono in Cassazione lamentando la mancata allegazione e prova del danno morale ritenuta sussistente dai Giudici di merito al fine di giustificare una personalizzazione del risarcimento.

Secondo le ricorrenti la decisione non sarebbe conforme alla consolidata giurisprudenza che riconosce il danno morale quale componente del danno non patrimoniale.

II motivo è fondato.

La sentenza della Corte d’Appello omette qualsiasi richiamo alle disposizioni di cui agli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni Private, il quale, recependo la giurisprudenza consolidata esclude si possa omettere il calcolo del danno morale o non patrimoniale in quanto detta voce di danno non è ricompresa mai nel danno biologico e va liquidata autonomamente non solo in forza di quanto espressamente stabilito sul piano normativo dal  Codice delle Assicurazioni Private, ma soprattutto in ragione della differenza ontologica esistente tra di essi, corrispondendo infatti tali danni a due momenti essenziali della sofferenza dell’individuo, il dolore interiore e la significativa alterazione della vita quotidiana.

In virtù di ciò, il Giudice avrebbe dovuto esperire la strada della risarcibilità del danno, anche affidandosi a criteri presuntivi ed in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta.

Sul punto, in tema di allegazione e prova del danno morale è pacifico che il Giudice possa ricorrere ai criteri presuntivi con riferimento al caso concreto.

Avendo omesso ogni riferimento al danno non patrimoniale la decisione della Corte d’Appello si presenta errata.

A partire dalle celebri sentenze gemelle nn.8827/8828 del 2003, il danno non patrimoniale, e in particolare il danno morale, è stato alquanto travagliato e oggetto di significativi tentennamenti.

Da un lato viene statuito :“ Si deve quindi ritenere ormai acquisito all’ordinamento positivo il riconoscimento della lata estensione della nozione di ‘danno non patrimoniale’ inteso come danno da lesione di valori inerenti alla persona”; successivamente a seguito delle sentenze delle Sezioni Unite di San Martino del 2008 e degli ultimi orientamenti della Terza Sezione, si è approdati all’articolazione del danno biologico dinamico relazionale e da sofferenza soggettiva interiore.

Pacifico che il danno morale soggettivo è una componente del danno non patrimoniale, la personalizzazione è una operazione di adeguamento sia del danno biologico, sia del danno morale al caso concreto.

Nell’altrettanto celebre Ordinanza della Suprema Corte (27 marzo 2018 n. 7513) viene chiarito che “Una lesione della salute può avere le conseguenze dannose più diverse, ma tutte inquadrabili teoricamente in due gruppi: – conseguenze necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare tipo di invalidità: – conseguenze peculiari del caso concreto, che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili.”

La liquidazione delle prime conseguenze (quelle comuni ai casi consimili) presuppone la mera dimostrazione dell’esistenza dell’invalidità; la liquidazione delle seconde esige la prova concreta dell’effettivo, e maggiore pregiudizio sofferto. Ciò significa che il danneggiato deve indicare quali aspetti risultino maggiormente pregiudicati a causa dell’evento patito.  Compiutamente, così, allegazione e prova del danno morale risultano realizzati.

Infine, in tale medesima direzione anche le Tabelle del Tribunale di Milano (anch’esse di recente oggetto di vaglio da parte della Suprema Corte, proprio riguardo il danno morale).

Tornando al caso in esame, la Corte territoriale rilevava un “difetto di allegazione e prova del danno morale” e gli Ermellini ne evidenziano il difetto di motivazione.

La normativa, rammenta la Suprema Corte, “recependo, anche nelle ulteriori modifiche, la giurisprudenza consolidata esclude che si possa omettere il calcolo del danno morale o non patrimoniale in quanto detta voce di danno non è ricompresa mai nel danno biologico e va liquidata autonomamente non solo in forza di quanto espressamente stabilito sul piano normativo dall’art. 5, lettera C del D.P.R. 3 marzo 2009 n. 37 ed ora 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni Private, ma soprattutto in ragione della differenza ontologica esistente tra di essi, corrispondendo infatti tali danni a due momenti essenziali della sofferenza dell’individuo, il dolore interiore e la significativa alterazione della vita quotidiana.”

Avv. Emanuela Foligno

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