In caso di angiofibroma naso-faringeo giovanile, Stadio IV b sec. Andrews o Stadio IIIb sec. Radowski, non viene considerata negligenza la mancata indicazione di radioterapia

Un bambino di 10 anni, a distanza di un anno dall’applicazione di un apparecchio protesico, iniziava a lamentare un dolore di tipo puntorio alla guancia sinistra, ove insorgeva una tumefazione. Dopo una lunga terapia a base antibiotica e alcune visite specialistiche, il dolore persisteva e il bambino veniva sottoposto ad esame ecografico della guancia sinistra, il cui referto evidenziava la presenza di un “processo espansivo solido con ricca vascolarizzazione”. Dopo essere stato visitato dal chirurgo maxillofacciale presso il CTO di Firenze, il bambino veniva ricoverato al CTO per sette giorni e veniva dimesso con  diagnosi di neoplasia e sollecito a ricoverarsi presso altra struttura di Firenze per biopsia e terapia. Dal referto istologico emergeva la diagnosi di angiofibroma giovanile del rinofaringe al IV stadio e successivamente veniva eseguito un intervento di embolizzazione della carotide sinistra presso diversa struttura finalizzato alla migliore riuscita dell’operazione neurochirurgica di “craniotomia bicoronale via paro -latero nasale sn, asportazione radicale.

L’intervento veniva eseguito nel novembre del 2004, ma non consentiva di asportare l’intera massa tumorale, per cui residuava il 10% di “porzione angiomatosa”.

Il bambino veniva dimesso senza alcuna prescrizione terapeutica e seguivano tre controlli ravvicinati sino alla primavera del 2005, periodo in cui veniva effettuata una RM che confermava il residuo neoplastico e una progressione della malattia.

Il mese successivo il bambino veniva sottoposto a una ulteriore embolizzazione e veniva dimessa senza prescrizione di terapia radiologica.

Nel settembre 2005 il bambino veniva sottoposto a una terza embolizzazione senza intervento di resezione.

L’anno successivo, alla visita di controllo si evidenziava la crescita della massa tumorale e il Medico suggeriva un quarto intervento di embolizzazione.

Tuttavia tale quarta embolizzazione non veniva eseguita e il medesimo Medico affermava l’opportunità di asportare la massa tumorale.

L’intervento veniva programmato per il luglio 2007, ma poi veniva posticipato due volte dall’Ospedale.

In attesa dell’intervento i genitori si rivolgevano a tre diversi Specialisti esteri che si dichiaravano favorevoli all’intervento di resezione.

Il bambino veniva ricoverato nel novembre 2007, ma nel corso dell’intervento preliminare di embolizzazione, entrava in coma e i Medici dichiaravano l’irreversibilità della sua condizione clinica, per cui veniva deciso il ritorno in Italia, dove il bambino decedeva in data 27.12.2007.

Su questi presupposti, i congiunti agiscono in giudizio (Tribunale di Firenze, Sentenza n. 2488 del 13/11/2020), nei confronti dell’azienda ospedaliera toscana e di tutti i Medici coinvolti  lamentando la tardiva esecuzione dell’intervento chirurgico del 17.11.2004, a ben quattro giorni di distanza dall’embolizzazione; l’omissione di una terapia radioterapica; l’esecuzione di due embolizzazioni non seguite da intervento chirurgico e/o radioterapia.

La causa viene istruita attraverso produzione documentale e CTU Medico-legale.

Preliminarmente, il Tribunale da atto che la domanda attorea è stata proposta successivamente all’entrata in vigore della c.d. Legge N. 24/2017 cd. “Gelli -Bianco”, ma in relazione a fatti antecedenti a tale data.

Recente giurisprudenza ha chiarito che il nuovo riparto di responsabilità tra quella contrattuale della struttura e quella extracontrattuale del medico, previsto dall’articolo 7 comma 3 della legge Gelli -Bianco, non opera retroattivamente.

Pertanto, i fatti di causa, collocandosi tutti anteriormente alla data di entrata in vigore della legge Gelli – Bianco (1 aprile 2017) non possono ritenersi regolati, sul piano del diritto sostanziale, dalla suddetta legge.

Occorre dunque considerare il titolo di responsabilità civile riguardante l’esercente la professione sanitaria applicabile all’epoca dei fatti (2004 -2007), che è di natura contrattuale da contatto sociale.

Quindi il danneggiato deve provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia, con l’allegazione di qualificate inadempienze, astrattamente idonee a provocare (quale causa o concausa efficiente) il danno lamentato, nonché fornire la prova del nesso eziologico tra l’inadempimento del medico ed il danno subito. Spetta, invece, al debitore danneggiante dimostrare che non vi è stato inadempimento, che l’inadempimento non è a lui imputabile o che l’inadempimento non ha avuto in concreto incidenza causale sulla verificazione del danno.

Ciò posto, il Tribunale ritiene la domanda infondata.

La CTU ha rilevato che:

  • “la patologia da cui era affetto il piccolo Filippo, angiofibroma naso -faringeo giovanile, Stadio IV b sec. Andrews o Stadio IIIb sec. Radowski, “è una lesione estremamente rara con una frequenza <1% della popolazione, 1/150000 nati vivi”;
  • “è una lesione istologicamente benigna, ma con elevata aggressività locale, con una mortalità > 9% strettamente dipendente dal grado di vascolarizzazione (la revisione delle immagini native, consegnate all’atto del conferimento dell’incarico, dimostra la ricchissima va scolarizzazione nel caso in esame) e dipendente dalla presenza “ab initio” di localizzazione intracranica (dato certamente confermato dalla valutazione delle immagini native, agli atti nel caso in esame)”;
  • “la letteratura scientifica segnala un importante tasso di recidiva (20% entro i 2 anni dalla diagnosi) soprattutto nelle forme con presenza di sconfinamento in sede intracranica (come nel caso de quo)”;
  • “la rarità della patologia e la proteiforme variabilità clinica determinano: 1) assenza di linee guide sanitarie di riferimento (ORL, neuro -chirurgiche, maxillo -facciali, neuro – radiologiche) nazionali e internazionali; 2) difformità di trattamento nei vari centri nazionali e sovranazionali, laddove è chiaro che il trattamento è basato principalmente su ll’esperienza locale. In alcuni centri parrebbe preferirsi l’utilizzo di RadioTerapia nelle localizzazioni cerebrali; nella maggior parte dei casi tuttavia, anche in questi centri, la RadioTerapia viene interpretata come terapia su residuo chirurgico di ma lattia. In pochi centri la RT è adottata come trattamento primario”;
  • “la difformità di pensiero viene anche peraltro evidenziata dall’analisi delle indicazioni terapeutiche dei tre altri Centri Ospedalieri contattati autonomamente dalla famiglia (Bruxell es, Gent e, indirettamente, Brescia) che differiscono grandemente l’una dall’altra per indirizzo terapeutico. Solo in un caso (Gent) fu proposta la Radio Terapia e, anche in quest’unico caso, solo successivamente a nuovo intervento di embolizzazione e di chirurgia”.

Ne consegue che l’operato diagnostico-terapeutico praticato al bambino è da ritenersi corretto.

I CTU non hanno evidenziato criticità in ordine alla riuscita dell’intervento. Una percentuale di lesione residua, sebbene sottostimata dai sanitari che ebbero in cura il bambino, era inevitabile “alla luce della impossibile attività radicale di tale procedura”.

Egualmente non sono stati rilevati profili di negligenza, imprudenza o imperizia riguardo gli interventi di embolizzazione eseguiti e alla mancata esecuzione di radioterapia.

E, in particolare, sugli interventi di embolizzazione successivi  al primo (maggio 2005, luglio 2006, marzo 2007), la CTU ha chiarito che essi furono eseguiti nel contesto di un peggioramento clinico, ma con un quadro RM sostanzialmente stabile e stazionario.

Dirimente, poi, quello che la CTU ha evidenziato: “manca, nell’analisi della documentazione depositata, la richiesta ufficiale di consulenza radioterapica che, ammesso potesse essere eseguita, avrebbe rappresentato un’opzione terapeutica possibile”.

Gli studi scientifici sviscerati dai CTU hanno individuato statisticamente “una pari percentuale di recupero sia applicando la chirurgia, sia la radioterapia e in un solo caso utilizzando entrambe”.

Ciò denota che “ognuna di queste combinazioni terapeutiche ha uguale possibilità di riuscita e che la bontà della scelta di una o dell’altra risulta in nessun modo presagibile a priori sulla base della situazione clinica iniziale”.

Ciò significa che l’eventuale radioterapia adiuvante non avrebbe determinato la guarigione, permanendo per il bambino una prognosi quoad vitam quasi certamente infausta in tempi non sostanzialmente diversi da quelli osservati e desumibili dal decorso clinico esaminato.

In definitiva, la patologia del bambino presentava già di per sé un indice predittivo di alta mortalità.

In conclusione, il Tribunale rigetta la domanda e considerata la peculiare natura del caso e l’elevato grado di complessità delle questioni esaminate, ritiene equo compensare integralmente tra le parti le spese di lite e di CTU.

Avv. Emanuela Foligno

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