Accolto in Cassazione il ricorso dei genitori di un giovane che chiedevano il risarcimento per i danni fisici patiti dal figlio dopo una caduta in motorino dovuta a un’anomalia stradale

Aveva riportato danni fisici a seguito di un sinistro verificatosi mentre era alla guida del proprio ciclomotore su una strada provinciale. Il ragazzo, all’epoca minore, era caduta a causa di “un’anomalia stradale”, asseritamente “una voragine esistente nel manto stradale”.

I genitori, in qualità di rappresentati legali del giovane avevano agito in giudizio nei confronti della Provincia chiedendo il risarcimento per le conseguenze dell’incidente riportate dal figlio, ma la loro pretesa, accolta in primo grado, era stata poi respinta dopo l’appello proposto dall’Ente convenuto.

Nell’impugnare la decisione di secondo grado, i ricorrenti eccepivano che, pur essendo incontestato che il danno fosse derivato dalla cosa, il giudice dell’appello avesse rigettato la domanda affermando che la cosa in custodia non presentava intrinseche connotazioni di concreta pericolosità, senza indicare neppure una delle diverse ipotetiche altre cause cui aveva ritenuto doversi ascrivere il sinistro.

Lamentavano, inoltre, che non fossero state considerate le dichiarazioni rilasciate dai testimoni, tra i quali un dipendente della Provincia, il quale aveva dichiarato che, dopo il sinistro in argomento, l’asfalto era stato ripristinato poiché il minore era caduto e attribuiva a quella anomalia stradale l’incidente, quindi si era proceduto in via cautelativa alla riparazione, così riconoscendo la pericolosità della “cosa” in custodia.

Per la Suprema Corte, che si è pronunciata sul caso con l’ordinanza n. 11096/2020, le doglianze esposte sono fondate e vanno accolte.

I Giudici Ermellini hanno ricordato che in base a un principio consolidato principio nella giurisprudenza di legittimità in caso di sinistro dei danni conseguenti ad omessa o insufficiente relativa manutenzione, il proprietario o il custode (tale essendo anche il possessore, il detentore e il concessionario) risponde ex art. 2051 c.c., salvo che dalla responsabilità presunta a suo carico si liberi dando la prova del fortuito.

In altri termini, il danneggiato che domanda il risarcimento del pregiudizio sofferto in conseguenza dell’omessa o insufficiente manutenzione della cosa in custodia, o di sue pertinenze, invocando la responsabilità del custode è tenuto, secondo le regole generali in tema di responsabilità civile, a dare la prova che i danni subiti derivano dalla cosa, in relazione alle circostanze del caso concreto.

Tale prova consiste nella dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e della relativa derivazione dalla cosa in custodia, e può essere data anche con presunzioni, giacché la prova del danno è di per sé indice della sussistenza di un risultato “anomalo”, e cioè dell’obiettiva deviazione dal modello di condotta improntato ad adeguata diligenza che normalmente evita il danno.

Il custode, invece, è tenuto – in ragione dei poteri che la particolare relazione con la cosa gli attribuisce cui fanno riscontro corrispondenti obblighi di vigilanza, controllo e diligenza (in base ai quali è tenuto ad adottare tutte le misure idonee a prevenire ed impedire la produzione di danni a terzi, con lo sforzo adeguato alla natura e alla funzione della cosa e alle circostanze del caso concreto) nonché in ossequio al principio di c.d. vicinanza alla prova – a dimostrare che il danno si è verificato in modo non prevedibile  né superabile con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso.

Deve cioè dimostrare di avere espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa in considerazione delle circostanze del caso concreto, tutte le attività di controllo, vigilanza e manutenzione su di esso gravanti in base a specifiche disposizioni normative.

Siffatta inversione dell’onere probatorio incide indubbiamente sulla posizione sostanziale delle parti, agevolando la posizione del danneggiato e aggravando quella del danneggiante, sul quale grava anche il rischio del fatto ignoto.

Al riguardo la Cassazione ha precisato che non spetta al danneggiato dare la prova dell’insidia o del trabocchetto, e in particolare dell’anomalia della strada, incombendo viceversa al proprietario di strade pubbliche dare la c.d. prova liberatoria, dimostrando cioè di avere adottato tutte le misure idonee a prevenire ed impedire che il bene demaniale presenti per l’utente una situazione di pericolo occulto produttiva di danno a terzi, con lo sforzo diligente adeguato alla natura della cosa e alle circostanze del caso concreto, al fine di fare in sostanza valere la propria mancanza di colpa; e, se del caso, invocare il concorso di colpa del danneggiato.

Nel caso in esame, la Cassazione ha evidenziato come il Giudice a quo avesse disatteso tali principi. Da li la decisione di accogliere il ricorso, con rinvio del caso al Tribunale, in diversa composizione, per un nuovo giudizio.

La redazione giuridica

Hai vissuto una situazione simile? Scrivi per una consulenza gratuita a redazione@responsabilecivile.it o invia un sms, anche vocale, al numero WhatsApp 3927945623 

Leggi anche:

SINISTRO STRADALE TRA VEICOLI NON ASSICURATI: RESPONSABILI ENTRAMBI AL 50%

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui