Due coniugi evocano in giudizio un ginecologo e la Casa di Cura, chiedendo il risarcimento di tutti danni subiti dal figlio a seguito di una anossia da parto

In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, l’acquisizione di un completo ed esauriente consenso informato del paziente, da parte del sanitario, costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto l’intervento terapeutico, dal cui inadempimento può derivare – secondo l’id quod plerumque accidit – un danno costituito dalle sofferenze conseguenti alla cancellazione o contrazione della libertà di disporre, psichicamente e fisicamente, di se stesso e del proprio corpo, patite dal primo in ragione della sottoposizione (come nella specie) a terapie farmacologiche ed interventi medico – chirurgici collegati a rischi dei quali non sia stata data completa informazione. Tale danno, che può formare oggetto, come nella specie, di prova offerta dal paziente anche attraverso presunzioni e massime di comune esperienza, lascia impregiudicata tanto la possibilità di contestazione della controparte quanto quella del paziente di allegare e provare fatti a sé ancor più favorevoli di cui intenda giovarsi a fini risarcitori”.

Questo è il principio di diritto espresso dalla Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione nella sentenza n. 7248 depositata il 23 marzo 2018.

I fatti.

Due coniugi, in proprio ed in qualità di genitori esercenti la potestà su un minore, evocano in giudizio, un ginecologo e la Casa di Cura chiedendo il risarcimento di tutti danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti a seguito della nascita del figlio, venuto alla luce con grave sofferenza fetale e conseguente anossia da parto dalla quale aveva riportato un’invalidità pari al 100%.

Veniva autorizzata la chiamata in causa delle compagnie di assicurazioni con le quali la Casa di Cura aveva stipulato le polizze per la responsabilità civile, e deceduto, nelle more, il neonato, la domanda veniva parzialmente accolta nei confronti del ginecologo, mentre venivano, invece, rigettate le pretese avanzate nei confronti della Casa di Cura.

Avverso la sentenza è stato proposto appello principale dai genitori del bimbo e appello incidentale dalla struttura sanitaria.

La Corte territoriale, dispone il rinnovo della consulenza tecnica d’ufficio e respinge l’appello principale ed accoglie quello incidentale, con compensazione delle spese di lite.
I coniugi ricorrono per la cassazione della sentenza, affidandosi a quattro motivi di gravame.
La violazione delle norme sul consenso informato e i danni che ne derivano.

Gli Ermellini, nella decisione in commento, danno seguito all’orientamento ormai consolidato ed espressamente confermato da un arresto coevo alla sentenza impugnata (cfr. Cass. 11950/2013) che ha riconosciuto l’autonoma rilevanza, ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria, della mancata prestazione del consenso da parte del paziente, e che ha espressamente ritenuto, così come del resto già argomentato dal giudice di primo grado, che “la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; nonché un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute“. (cfr. ex multis Cass. civ. 2854/2015; Cass. civ. 24220/2015; Cass. 24074/2017; Cass. 16503/2017).

Qual’è il diritto del paziente?

Secondo la Suprema Corte, il paziente è titolare della legittima pretesa, di conoscere con “la necessaria e ragionevole precisione” le conseguenze dell’intervento medico cui verrà sottoposto, in modo da prepararsi ad affrontarle con maggiore e migliore consapevolezza, e ciò in quanto la nostra Costituzione sancisce “il rispetto della persona umana in qualsiasi momento della sua vita e nell’integralità della sua essenza psicofisica, in considerazione del fascio di convinzioni morali, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive” (cfr. Cass. n. 21748/2007; Cass. 23676/2008, in tema di trasfusioni salvavita eseguite al testimone di Geova contro la sua volontà).

… e quali sono le conseguenze di una corretta informazione?

Se l’informazione fornita al paziente è corretta e compiuta, da tanto scaturirà:
a. il diritto, per il paziente, di scegliere tra le diverse opzioni di trattamento medico;

  1. la facoltà di acquisire, se del caso, ulteriori pareri di altri sanitari;
  2. la facoltà di scelta di rivolgersi ad altro sanitario e ad altra struttura, che offrano maggiori e migliori garanzie (in termini percentuali) del risultato sperato, eventualmente anche in relazione alle conseguenze post-operatorie;
  3. il diritto di rifiutare l’intervento o la terapia – e/o di decidere consapevolmente di interromperla;
    e. la facoltà di predisporsi ad affrontare consapevolmente le conseguenze dell’intervento, ove queste risultino, sul piano postoperatorio e riabilitativo, particolarmente gravose e foriere di sofferenze prevedibili (per il medico) quanto inaspettate (per il paziente) a causa dell’omessa informazione.
    Fatte queste premesse, la Corte di Cassazione ha esaminato le quattro ipotesi che possono avverarsi in astratto:
  4. omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe in ogni caso scelto di sottoporsi nelle medesime condizioni, hic et nunc: in tal caso, il risarcimento sarà limitato al solo danno alla salute subito dal paziente, nella sua duplice componente, morale e relazionale (cfr. sul punto, Cass. 901/2018);
  5. omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento sarà esteso anche al danno da lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente;
  6. omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta non colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento, sarà liquidato con riferimento alla violazione del diritto alla autodeterminazione (sul piano puramente equitativo), mentre la lesione della salute – da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poiché, in presenza di adeguata informazione, l’intervento non sarebbe stato eseguito – andrà valutata in relazione alla situazione differenziale tra quella conseguente all’intervento e quella (comunque patologica) antecedente ad esso;
    4. omessa informazione in relazione ad un intervento che non ha cagionato danno alla salute del paziente (e che sia stato correttamente eseguito): in tal caso, la lesione del diritto all’autodeterminazione costituirà oggetto di danno risarcibile tutte le volte che, e solo se, il paziente abbia subito le inaspettate conseguenze dell’intervento senza la necessaria e consapevole predisposizione ad affrontarle e ad accettarle, trovandosi invece del tutto impreparato di fronte ad esse.

Ebbene, secondo gli Ermellini, l’errore commesso dalla Corte  territoriale è consistito nell’aver da un lato ammesso la sussistenza della violazione relativamente al consenso e dall’altro  aver riformato la sentenza sullo specifico punto, respingendo le pretese risarcitorie avanzate.
La forma del consenso.

I Supremi giudici hanno escluso la validità del consenso prestato verbalmente affermando, con orientamento al quale la Corte intende  dare seguito, che: “In tema di attività medico-chirurgica, il medico viene meno all’obbligo di fornire idonea ed esaustiva informazione al paziente, al fine di acquisirne un valido consenso, non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando ne acquisisca con modalità improprie il consenso, sicché non può ritenersi validamente prestato il consenso espresso oralmente dal paziente“. (Cass. 19212/2015).

Per ciò che concerne le forme da utilizzare per manifestare il consenso, è stato pure ritenuto che “In tema di attività medico-chirurgica, il consenso informato deve basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell’intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative, non essendo all’uopo idonea la sottoscrizione, da parte del paziente, di un modulo del tutto generico, né rilevando, ai fini della completezza ed effettività del consenso, la qualità del paziente, che incide unicamente sulle modalità dell’informazione, da adattarsi al suo livello culturale mediante un linguaggio a lui comprensibile, secondo il suo stato soggettivo ed il grado delle conoscenze specifiche di cui dispone” (Cass. 2177/2016).

In base alle su esposte considerazioni gli Ermellini hanno cassato la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Catania, in diversa composizione, che dovrà riesaminare la controversia alla luce del principio di diritto innanzi riportato.

Avv. Maria Teresa De Luca

 

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