Nella domanda per gli arretrati dell’assegno di invalidità civile, la beneficiaria non ha mai documentato il possesso del requisito reddituale (Corte d’Appello di Reggio Calabria, Sez. Lavoro, Sentenza n. 528/2021 del 17/12/2021-RG n. 538/2019)

Con ricorso al Giudice del lavoro di Palmi, l’INPS proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 91/2016 emesso in data 25/04/2016 dal Tribunale di Palmi, con il quale era stato ingiunto il pagamento della somma di 13.843,40, oltre accessori, quali arretrati dell’assegno di invalidità civile a far data dal 5.7.2012, azionati dalla beneficiaria a seguito di decreto di omologa ex art. 445 bis comma 5 c.p.c., con cui era stato accertato il diritto al beneficio assistenziale.

A fondamento dell’opposizione deduceva: che la beneficiaria non aveva presentato, nella data del 05.07.2012, alcuna domanda amministrativa per ottenere la prestazione di invalidità civile per la quale ha richiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo, non risultando detta presentazione dalla consultazione del protocollo informatico, e che pertanto il decreto di omologa non doveva essere emesso, mancando uno specifico interesse ad agire ex art. 100 cpc che non era stato dimostrato il requisito reddituale richiesto ex art. 13 legge 118/71.

Il Giudice ha respinto l’opposizione.

La beneficiaria, dopo avere trasmesso all’Inps, in data 05/07/2012, una domanda per il riconoscimento dell’invalidità civile, senza essere stata chiamata a visita, proponeva ricorso ex art. 445 bis cpc per ottenere l’accertamento del requisito sanitario finalizzato alla percezione dell’assegno di inabilità ex art. 13 legge 118/71 e dell’indennità di accompagnamento.

Il giudizio per ATP si concludeva con il decreto di omologa che riconosceva la sussistenza del requisito sanitario richiesto per il conseguimento delle prestazioni economiche richieste dalla ricorrente sin dalla data della domanda amministrativa trasmessa in data 5 luglio 2012.

Ergo, la rituale trasmissione telematica della domanda amministrativa è stata documentata dalla beneficiaria e non può alla stessa addebitarsi il fatto che non sia stata presa in carico dall’Inps e che l’Istituto non abbia, per quanto di sua competenza, posto in essere tutta l’attività amministrativa successiva alla trasmissione.

Per quanto concerne la mancanza dei requisiti reddituali, l’Inps non offre alcuna prova dell’eccezione sollevata, pur avendo accesso ai dati reddituali della ricorrente, e che neppure nel corso del giudizio di ATP ha formalizzato dissenso alle risultanze della CTU e non ha introdotto, come avrebbe potuto, un giudizio a cognizione piena nel quale era possibile anche censurare la stessa proponibilità ed ammissibilità della domanda sotto il profilo della carenza ad agire art. 100 cpc.

Con il primo motivo di appello l’Inps deduce che il Giudice avrebbe travisato i fatti, ritenendo l’attestato di presentazione della domanda quale documento probatorio valido a provare l’avvenuta presentazione ed esistenza della domanda amministrativa, sebbene in tale documento si precisasse che “ la presente comunicazione non ha valore di ricevuta e si attestasse che la domanda era stata presentata presso il patronato SENAS ufficio RC0002”, e sebbene dalla consultazione del protocollo informatico non risultasse presentata alcuna istanza amministrativa da parte dell’odierna appellata.

L’appello è fondato.

Posto che la prestazione richiesta dalla beneficiaria era l’assegno di invalidità civile, per la quale è richiesto, tra gli altri, anche il requisito di possedere redditi inferiori al limite di legge, la Corte puntualizza che l’onere di fornire la prova della sussistenza di detto requisito incombe sull’istante, e che a tal fine non è sufficiente la mera produzione di un’autocertificazione da parte dell’interessato.

Tali principi sono consolidati in giurisprudenza e sono stati ribaditi con una recente pronuncia, nella quale si è chiarito che “La prova del mancato superamento del limite reddituale e delle altre circostanze rilevanti ai fini del possesso dei requisiti previsti per l’accesso alle prestazioni previdenziali e assistenziali non può essere fornita in giudizio mediante dichiarazione dell’avente diritto, anche se rilasciata con le formalità previste dalla legge per le autocertificazioni, trattandosi di atto che può assumere rilievo solo nei rapporti amministrativi ed è, al contrario, privo di efficacia probatoria in sede giurisdizionale né, in difetto di allegazioni nel ricorso introduttivo circa il possesso del requisito, la produzione in primo grado della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà può costituire, nella valutazione del giudice di merito, insindacabile ove congruamente motivata, un principio di prova idoneo a giustificare l’attivazione dei poteri officiosi ex art. 437, comma 2, c.p.c. (Sez. L – , Ordinanza n. 5708 del 09/03/2018).”

Nel caso in esame, non soltanto nel ricorso per decreto ingiuntivo, ma neppure nel giudizio di primo grado e in quello di appello nei quali la mancanza del requisito reddituale costituiva motivo, prima di opposizione a decreto ingiuntivo, e quindi di impugnazione avverso la sentenza di primo grado, la beneficiaria ha mai documentato il possesso del requisito reddituale, essendosi limitata a produrre un’autocertificazione inidonea allo scopo.

Pertanto, non viene condiviso quanto argomentato dal primo Giudice, nella parte in cui al fine di ricavare la prova indiretta di detto requisito – mette in correlazione la circostanza che l’Inps non aveva mosso alcuna contestazione al riguardo nella fase del giudizio di ATP, con ciò non contraddicendo quell’accertamento sommario anche sulla sussistenza dei requisiti extra sanitari cui è chiamato il Giudice di quella fase, con il fatto che in sede amministrativa il diniego della prestazione era stato giustificato solo con il difetto dell’istanza amministrativa e non con la mancanza del requisito reddituale.

Il ragionamento del Giudice di primo grado poggia su alcuni passaggi della sentenza n. 9755/2019 della Cassazione, e ha inteso valorizzare l’omessa contestazione, da parte dell’Inps del requisito reddituale nella fase del giudizio ATP, quale elemento probatorio da leggere in correlazione con la genericità della contestazione in ordine al requisito reddituale e con il fatto che il diniego del benefico in sede amministrativa era avvenuto unicamente per la mancanza della domanda amministrativa e non del presupposto reddituale.

Tale soluzione non viene condivisa, perché si fonda su una lettura incompleta della pronuncia della Corte di Cassazione e su una errata interpretazione della condotta processuale ed extraprocessuale dell’Inps.

Dunque, la pronuncia della Cassazione afferma che l’accertamento compiuto sul beneficio sanitario o, come in questo caso, mediante decreto di omologa dii ATP, oppure attraverso sentenza inappellabile, a seguito di opposizione, ai sensi dei commi 6 e 7 – non coinvolge l’accertamento sui requisiti diversi da quello sanitario.

Oltretutto, anche gli altri elementi cui il Giudice di primo grado attribuisce rilievo probatorio non appaiono significativi, ove si consideri che la contestazione inerente al requisito reddituale non poteva che risolversi nell’evidenziarne la mancata documentazione, e che l’omesso riferimento alla carenza di tale requisito in sede amministrativa si spiega con la preliminare indicazione della mancanza di istanza amministrativa, e comunque non preclude che in sede giudiziale si possa procedere alla rituale contestazione.

Per tali ragioni l’appello viene accolto e il decreto ingiuntivo viene revocato.

Avv. Emanuela Foligno

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